PENA DI MORTE, DOMANI TOCCA A JOE CANNONGIUSTIZIA ALL'AMERICANA
Di: Ennio Caretto
L'intervista di Enzo Biagi a Joe Cannon, che sarà giustiziato domani notte nel Texas per un omicidio commesso quando aveva 17 anni, ora ne ha 38, ha ricordato agli italiani che l'America è l'unica delle cosi dette democrazie mature a condannare a morte i minorenni. Ma un recente rapporto della Commissione ONU per i Diritti umani, che ha lanciato una campagna per l'abolizione della pena capitale in tutto il mondo, ha sottolineato altre due tragedie della giustizia americana. La prima è che la Superpotenza è l'unico Paese sviluppato a giustiziare i minorati mentali o presunti tali. La seconda è che la percentuale di neri e di appartenenti ad altre minoranze è sproporzionatamente alta rispetto a quella dei bianchi.
Chiamati a giustificarsi all'ONU, gli Usa hanno risposto che la capitale non viola il diritto internazionale, e che comunque è voluta dai due terzi dell'elettorato; e che la commissione dei Diritti umani farebbe meglio a concentrarsi sui Paesi dove "la giustizia è sommaria o arbitraria o inesistente". Sul piano formale non hanno torto: la Superpotenza è garantista, e ogni volta che si registrano vicende come quella del serial killer ligure, sempre più frequenti negli Stati Uniti, aumenta da parte dell'opinione pubblicala richiesta di punizioni esemplari. Né è ammissibile prendere l'America a bersaglio, mentre si chiude un occhio, per esempio, sulla Cina; le circa 150 esecuzioni compiute negli Usa dal ripristino della condanna a morte nel '76 scompaiono di fronte a quelle di massa di Pechino.
Sul piano sostanziale, tuttavia, la Superpotenza sbaglia, come ammoniscono da alcune settimane i giornali che più fanno opinione, dal Washington Post al New York Times. Sbaglia non soltanto perché la pena capitale è un istituto barbaro, ma anche perché l'America si propone come modello della moderna società civile, oltre che dell'economia di mercato. In realtà essa va contro corrente, e la sua voglia di leadership si scontra con il suo sistema giudiziario. In un'epoca in cui è urgente rafforzare il diritto internazionale a causa delle atrocità e dei genocidi in Bosnia, Ruanda e altri Paesi, a causa della criminalità e del terrorismo, in ragione della globalizzazione stessa, gli Stati Uniti rischiano di diventare un ostacolo difficilmente superabile. Lo ha dimostrato tra l'altro, la scorsa settimana, il loro rifiuto di sospendere, su ordine della Corte dell'Aja, l'esecuzione del cittadino paraguaiano Angelo Breard.
L'America si considera la culla della legalità e dell'ordine, e rivendica il merito di avere posto i diritti umani a fondamento della democrazia. Ma per giustiziare Breard ha violato la Convenzione di Vienna del '63, negando al condannato l'assistenza consolare del Paraguay (per tenere la Baraldini in carcere sta violando quella di Strasburgo). Il nascente diritto internazionale, che comporta parziali sacrifici di sovranità, sembra starle sempre più stretto. E lecito chiedersi se gli Usa non si ritenga superiori o esentati dalle comuni norme di comportamento. Soltanto così si possono spiegare leggi extraterritoriali come quelle che penalizzano le aziende straniere che trafficano con l'Iran o Cuba; e la legge che autorizza l'FBI ad arrestare all'estero i ricercati dalla giustizia americana, anche all'insaputa delle autorità locali.
Il caso Breard - scrive il Washington Post - ha indebolito la Corte dell'Aja, mentre Pentagono e Congresso si oppongono al consolidamento del Tribunale internazionale dei crimini di guerra nel timore che processi cittadini americani. Il giornale attribuisce questo atteggiamento alla dottrina dell'unicità (exceptionalism) degli Stati Uniti, cioè alla loro convinzione di essere la migliore società possibile. "No basta - ammonisce - gloriarsi della globalizzazione, di Internet, della forza militare. Questi sono strumenti, non valori. L'America deve contribuire a plasmare un nuovo sistema giudiziario mondiale, non tenersene fuori".
E difficile che l'ONU e l'Europa inducano l'America a cambiare. Hanno però l'obbligo di provarci. Il crescente divario culturale tra Washington e gli alleati, di cui il braccio di ferro sulla pena capitale e sul diritto internazionale è forse la manifestazione più evidente, rappresenta il pericolo più grave per la comunità atlantica. A causa della Baraldini e della strage di Cavalese, l'Italia è in prima fila. Tra le forze dell'ordine italiane e quelle americane la collaborazione è straordinaria: il direttore dell'Fbi, Louis Freeh, la addita a modello al Congresso e all'Amministrazione Clinton. Tocca all'America dimostrare che la stessa collaborazione è possibile anche tra i sistemi giudiziari.