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Conferenza Tribunale internazionale
Castellino Susi - 22 luglio 1998
LA REPUBBLICA

Venerdì 19 giugno 1998

BIANCA LA "STAR" DEI DIRITTI UMANI

Di Raffaella Menichini

Roma - I tratti decisi e i lampi negli occhi scuri sono gli stessi di venti anni fa, gli anni della swinging London, del matrimonio con la stella dei Rolling Stones Mick Jagger, delle notti scambiate per il giorno. Di quegli anni, Bianca Jagger ha conservato il cognome e il magnetismo. Ma oggi, a 48 anni, i suoi tour sono fatti di interviste e incontri su temi lontani dallo "showbitz": diritti umani violati, bambini sfruttati, condannati a morte. Fa parte del "Twentieth century fund", la task force di giuristi americani ed europei impegnati sul fronte della cattura dei criminali di guerra in ex jugoslavia e Ruanda. E ancora: Amnesty International, Human Rights Watch, Campaign for Criminal Justice. Lei è la "star", ma vuole anche vedere, ascoltare, raccontare. La tappa a Roma è obbligata, per la Conferenza che darà vita al Tribunale internazionale dell'Onu per i crimini contro l'umanità. E' piccola e sottile, in lino bianco, una grande pietra trasparente al collo. Scandisce con decisione e un lieve accento l

atino.

"E' fondamentale che questo Tribunale nasca, e che abbia pieni poteri, sia indipendente e non soggetto alla volontà delle grandi potenze. I civili, le donne e i bambini vittime dei conflitti, aspettano giustizia. In Bosnia Karadzic e Mladic sono a piede libero. Questo è un sistema globalizzato di impunità. La Nato fa i raid di avvertimento per il Kosovo, noi qui a Roma parliamo del Tribunale e intanto lì si uccide e si tortura impunemente".

Questa è l'ultima di molte cause umanitarie in cui lei è impegnata. Come è cominciata?

"Era il 1981, mi trovavo in un campo profughi salvadoregni in Honduras con una delegazione del Congresso. Uno squadrone della morte fece irruzione nel campo. Catturarono 34 profughi, li legarono e li spinsero via. Decidemmo in un lampo: li abbiamo seguiti per venti minuti lungo il letto di un fiume. A un certo punto ci hanno puntato i mitra addosso, gridando: "questi figli di puttana ci controllano". Ho pensato che stavo per morire. Non so cosa è successo, ma ci hanno lasciati andare, e anche i profughi, che abbiamo portato i Salvador. Lì ho capito l'importanza di esserci fisicamente, di testimoniare".

Questo ha qualcosa a che fare con le sue radici?

"Certo. Sono nata in Nicaragua, conosco il Terzo mondo e le sue pene. Il fatto che viva nel Primo mondo, che ne condivida lo stile di vita e la lingua mi permette di essere più efficace".

Lei ha vissuto a lungo nel mondo dello spettacolo. Oggi tutti fanno show umanitari. E' solo moda?

"Dipende. Ci sono celebrità che cercano la e altri che si rendono utili. Come Pavarotti o Bono degli U2. Coinvolgono chi non sa neanche cosa gli accade intorno, soprattutto i giovani. Un modo nuovo di fare politica, negli spazi che la politica non riempie".

Quanto conta il suo nome?

"Tutto conta. Il mio nome ha pro e contro: io ho superato i contro e preso i vantaggi. Bisogna imparare a gestirsi, a usare al massimo quel che si ha per essere più efficaci possibile".

Scusi, ma chi glielo fa fare?

"E' vero, si soffre. E poi non si riesce a dimenticare. La Bosnia, soprattutto: tutti quelli che ci sono stati ne sono come ossessionati. Ma non mi pento, quando cominci a vedere certe cose non ti puoi più fermare".

 
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