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Conferenza Tribunale internazionale
Castellino Susi - 23 luglio 1998
IL RESTO DEL CARLINO

Giovedì 18 giugno 1998

USA E ITALIA, LA CORTE DELLA DISCORDIA

Posizioni opposte dei due paesi alla conferenza sul Tribunale internazionale

Washington vuole che sia subordinata all'Onu, Roma chiede "alto profilo". Dini: "Un'istituzione forte"

Di Alessandro Farruggia

Roma - Gli ideali dell'Italia, che come molti altri paesi dalla Gran Bretagna al Sudafrica di Mandela vorrebbe una corte penale internazionale in grado di perseguire davvero i crimini contro l'umanità, rischiano di essere gelati sul nascere dalla posizione americana, espressa ieri alla conferenza di Roma dall'ambasciatore americano alle Nazioni Unite. "Una cosa - ha detto Bill Richardson - è quello che sembra bello sulla carta e una cosa è quello che funziona nel mondo reale. Una corte penale non può stare da sola, deve far parte dell'ordine internazionale. E il consiglio di sicurezza rimane una parte vitale di tale ordine". "Gli Stati Uniti - ha proseguito Richardson - credono che il Consiglio debba giocare un ruolo importante nel lavoro di una corte permanente". Ergo, " sono irrealistiche e non sagge le proposte di garantire al procuratore il diritto di avviare indagini e di chiedere provvedimenti contro chiunque, ovunque: questo supererebbe i limiti della corte, provocando confusione e controversie e quin

di indebolendola". "Questa corte - ha proseguito l'ambasciatore - non può trasformarsi in un difensore civico dei diritti umani aperto a tutti gli appelli da qualsiasi fonte provengano. La proposta di dare al procuratore il diritto di iniziare autonomamente l'azione penale è quantomeno prematura. La corte dovrà agire su indicazione di uno stato o del consiglio di sicurezza e dovrà perseguire solo le più serie violazioni delle leggi umanitarie come il genocidio, i crimini di guerra su larga scala e i crimini contro l'umanità: la corte dovrà anche aver giurisdizione su i conflitti armati interni ad uno stato e in caso di gravi violenze sessuali".

Sostanzialmente l'America resta quindi favorevole alla corte solo se sarà una corte "sotto il cappello" del Consiglio di sicurezza e quindi del volere delle superpotenze. Siamo molto lontani della posizione italiana, ieri chiaramente espressa dal ministro Dini. "Quello che vogliamo - ha detto il nostro ministro degli esteri - è un'istitzione forte, indipendente e credibile, con giurisdizione automatica che s'imponga agli stati sulla base della semplice adesione. Se così non fosse la corte rimarrebbe un tribunale arbitrale, operante solo in base alla volontà politica contingente e quindi inadeguato".

Dini ha anche sottolineato l'importanza di includere l'aggressione a un altro stato fra i crimini perseguibili. "Naturalmente - ha proseguito - dovrebbe spettare al Consiglio di sicurezza, le cui prerogative vanno salvaguardate, sancire un crimine di aggressione e istituire il procedimento giudiziario. Ma se questo poi si bloccasse, allora la Corte dovrebbe avere il potere di mandarlo avanti da sé". Dini - anche qui in contrasto con Washington - ha anche ribadito che "il procuratore dovrà avere il potere di iniziativa" e ha sottolineato che "bisogna puntare a una corte di alto profilo, non annacquare i contenuti per avere l'adesione di uno stato, per quanto grande". Il nostro ministro degli esteri è insomma convinto che sacrificare il merito sarebbe un errore " e, che sarà la forza dei numeri, la forza della coscienza, a far superare le diffidenze e le reticenze e a far ricredere chi non dovesse firmare".

Nelle cinque settimane di negoziato molto potrà accadere e molte differenze potranno ridursi e forse annullarsi ma, ha ricordato ancora ieri Amnesty Italia. "deve esser chiaro che è meglio nessun tribunale penale internazionale piuttosto che un tribunale inefficace". E a proposito di Amnesty va detto che ha incluso anche l'Italia nella sua lista nera. Il che significa che se la Corte avrà gli attributi anche noi rischieremo di finire sul banco degli accusati.

 
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