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Conferenza Tribunale internazionale
Castellino Susi - 29 luglio 1998
IL MESSAGGERO

Venerdì 12 giugno 1998

CORTE INTERNAZIONALE PER I CRIMINI DI GUERRA, VERTICE ONU A ROMA

Conferenza alla Fao con 186 Paesi

Di Riccardo De Palo

ROMA - "Siamo stanchi di arrivare con i cerotti quando chi ha causato un genocidio va in vacanza". Staffan de Mistura, capo dell'ufficio Onu a Roma, tocca subito il cuore del problema: a quando un altro Ruanda? O un'altra Bosnia? Per quanto tempo bisognerà assistere impotenti alla pulizia etnica nel Kosovo, ai genocidi prossimi e venturi (che si tratti di vittime curde, albanesi o musulmane)? Da lunedì prossimo - e per un mese di fila - Roma diventerà la capitale dei diritti umani: 186 delegazioni da tutto il mondo affluiranno alla sede della Fao, per istituire - se tutto filerà per il verso giusto - un Tribunale penale internazionale, permanente e preventivo, che dovrebbe segnare il superamento degli odierni "cerotti" - i vari Tribunali "ad hoc" - della diplomazia internazionale.

"E' un'occasione che non va mancata", ammonisce de Mistura, che appare ottimista: "Presto non avremo più Pol Pot, o Menghistu o Karadzic a piede libero dopo avere commesso gravi crimini contro l'umanità".

Sarebbe un bel colpo, nel cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Non sarà, però, una passeggiata. Entro il 17 luglio i quasi duemila diplomatici (e 260 organizzazioni non governative) presenti alla Conferenza dovranno trovare un compromesso sulle numerose - e basilari - questioni rimaste irrisolte: il procuratore potrà agire d'ufficio? Il Consiglio di sicurezza avrà poteri di veto? I singoli Stati potranno opporsi alle decisioni della Corte? Il Tribunale sarà un organo indipendente?

Le posizioni sono ancora distanti. Gli Usa frenano, anche l'ex presidente Jimmy Carter cerca di "addolcire" il diniego di Clinton (strattonato, a sua volta, dal Congresso, e dal Pentagono, e dalle manovre di lobby). La Cina - che vuole avere mano libera in patria - vede di cattivo occhio qualsiasi "ingerenza". L'Europa è divisa: se la Germania resta un grande "sponsor" del Tribunale, la Francia nega giurisdizione a qualsiasi Corte straniera sui suoi cittadini - e soprattutto sui suoi soldati all'estero. L'Italia - ha spiegato ieri il ministro degli Esteri Lamberto Dini, a un convegno di "Non c'è pace senza giustizia" - preme invece per la "complementarietà" del Tribunale internazionale con i sistemi giudiziari dei singoli Stati; ma vorrebbe che, accanto ai crimini di guerra, a quelli contro la pace e contro l'umanità, fosse inserito nelle competenze della Corte anche il crimine di aggressione, "per il quale sussiste - ammette Dini - la ben nota competenza del Consiglio di sicurezza".

"Serve un atto di coraggio", ammonisce il capo della Farnesina. Ma va ricordato il coraggio degli africani che - compatti come raramente accade, e malgrado la presenza di numerosi regimi totalitari - appoggiano senza riserve l'istituzione del Tribunale. Il rischio ò - come si sussurra già tra gli addetti ai lavori - che si vada a un'ulteriore Conferenza, da convocare l'anno prossimo chissà dove, e che vedrebbe morire sul nascere - come sottolineano i radicali di "Non c'è pace senza giustizia" - le aspirazioni di almeno cento Paesi nel mondo.

 
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