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Conferenza Tribunale internazionale
Palumbo Stefano - 3 agosto 1998
LA REPUBBLICA DOMENICA, 19 LUGLIO 1998

Approvato l'atto di costituzione della Corte contro i genocidi. Ma Usa, Israele e Cina ribadiscono il loro no

A ROMA LA FIRMA DEL TRIBUNALE ONU

KOFI ANNAN: "E' DAVVERO UN MOMENTO STORICO"

Di: Giampaolo Cadalanu

Roma - Sono le 13,36 del 18 luglio 1998: il ministro degli Esteri italiano mette la prima firma di ratifica sulle pagine del Trattato per la Corte penale internazionale, e comincia una fase nuova per la storia del mondo. Al Campidoglio i delegati di oltre centosessanta paesi sudano e sorridono, stipati nella sala degli Orazi e Curiazi, trasformata in forno dalle luci delle tv e dall'assenza di condizionatori. Ma pochi fanno caso alla temperatura tropicale: i toni sono alti, qualcuna ha gli occhi lucidi, la soddisfazione è diffusa. Una nuova barriera è stata costruita in difesa dei deboli della Terra e nella sauna del municipio di Roma tutti se ne rendono conto.

Al tavolo c'è Kofi Annan, arrivato in fretta e furia a Roma per benedire la realizzazione di un ambizioso sogno dell'ONU. Tocca a lui aprire gli interventi: "E' davvero un momento storico", esordisce il segretario generale, ricordando subito una frase di Cicerone: "In mezzo alle armi, la legge deve restare muta". "Come risultato di quello che stiamo facendo qui oggi, c'è la speranza che questa cupa affermazione sarà meno vera in futuro che in passato".

Lamberto Dini lancia segnali verso gli Stati Uniti: "Tutti i Paesi hanno collaborato alla elaborazione dello statuto, anche quelli che si sono dichiarati non disponibili a sottoscriverlo. Possiamo comprenderne le ragioni, ma auspichiamo una diversa considerazione e l'adesione alla nuova istituzione, in una scadenza non lontano". Giovanni Conso, presidente della conferenza, parla di "una pagina di storia", sottolineando che il trattato permette l'ingresso nel nuovo millennio "a testa alta".

Poi è il momento delle firme: dopo Dini, si alternano paesi piccoli e potenze, Albania e Francia, Grecia e San Marino, Angola e Senegal. Sono solo le adesioni dei paesi che hanno inviato a Roma rappresentanti "plenipotenziari", pochi in realtà: quasi a segnalare che in fondo a credere nel risultato non erano in tanti. Gli altri, ovviamente, hanno tempo per aderire. Il trattato resterà a Roma per la firma, dopo di che verrà trasferito nell'ufficio di Annan a New York, per rimanere aperto ai paesi che lo vogliono ratificare fino al 31 dicembre del 2000.

La firma del rappresentante francese Marc Perrin de Brichambaut è accolta da un applauso. La "conversione" di Parigi, infatti, è l'esempio più eclatante del potere della diplomazia: contrari fino all'ultimo, i francesi sono stati convinti in extremis dalla capacità negoziale del canadese Philippe Kirsch, estensore della bozza che alla fine ha "deliziato" i rappresentanti di Parigi.

E quando de Brichanbaut ha sollevato la penna d'argento del librone del trattato, il pensiero di tutti è andato ai grandi assenti. Alla Cina, mai troppo attenta al tema dei diritti umani, soprattutto se sottolineati da osservatori stranieri. A Israele "che ha subito il genocidio più atroce, e da cui ci si aspettava un atteggiamento diverso", come dice Umberto Leanza, capo della delegazione italiana. Ma soprattutto all'America.

La delegazione statunitense non si è fatta vedere in Campidoglio, e per tutti l'ultima immagine disponibile è quella dei telegiornali: Richard Scheffer, capo della missione, che guarda sconsolato il giubilo delle altre rappresentanze dopo l'ultima voto, nella serata di venerdì. Diffuse dal portavoce Charles Brown, le ultime battute di Scheffer prima di ripartire per gli Usa (questa mattina) sanno di amaro. "Gli Stati Uniti sono il paese leader nel promuovere la giustizia internazionale", dice il capo della missione americana. "Ed è tragico che il nostro desiderio di essere i primi in questa aspirazione sia stato ignorato. L'America ha la capacità di essere un forte sostenitore di questa Corte, ma purtroppo non può".

Genocidi, crimini di guerra, delitti contro l'umanità, aggressioni: anche per gli Stati Uniti sono orrori da non tollerare. E ieri la convinzione che anche Washington presto aderirà al sogno di Giustizia mondiale rappresentato dal nuovo organismo era rappresentato quasi universalmente.

Nella votazione conclusiva, venerdì sera, Scheffer aveva detto che "la sfida di una giustizia internazionale resta. Gli Usa si sono impegnati a portare davanti alla Giustizia chi commette questi delitti. Chiunque guardi in faccia una vittima, sa che dobbiamo adempiere a questa solenne responsabilità".

 
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