INTERVISTA A PHILIPPE KIRSH, PRESIDENTE DEL COMITATO PREPARATORIO, GRANDE TESSITORE DELLA CONFERENZA
"MA PRESTO GLI USA FIRMERANNO"
Philippe Kirsh sembra stanco, ma assolutamente sereno. Per il delegato canadese, capo del Committee of the Whole, cioè il comitato preparatorio che di fatto ha guidato i lavori dell'assemblea plenaria, è stato un successo personale. Il trattato che istituisce in Tribunale penale internazionale è stato considerato un capolavoro di equilibrio, e lui ne è uno degli artefici principali. Ma preferisce nascondersi dietro un atteggiamento diplomatico.
"Non credo che sia un trionfo personale. Molte persone erano impegnate in questo lavoro. Io sono solo quello che ha firmato la bozza. Ma il lavoro è stato davvero collettivo. Se è un trionfo, è per il mondo intero. Ho solo fatto la mia parte".
Come giudica il sostegno dell'Italia?
"Splendido".
Il migliore possibile?
"Tutto ciò che il governo italiano ha fatto, specie sulle fasi finali della Conferenza, è davvero oltre ogni mia aspettativa".
Qualcuno nelle organizzazioni non governative ha criticato la scarsa "energia" dell'Italia, anzi, ha detto che "il paese ospite è il Canada". Cosa ne pensa?
"Il Canada ha cercato di fare la sua parte, ma il paese ospite era davvero l'Italia".
E stato difficile trovare un accordo tra le delegazioni?
"Molto: fino all'ultimo gli Stati erano divisi sullo Statuto. Ma io sono davvero convinto che una volta superato il trauma della Conferenza, con i suoi contrasti, una volta che si rifletterà sulle garanzie offerte da questo statuto, l'atteggiamento dei paesi critici cambierà".
Crede che le altre nazioni, quelle che sono rimaste fuori, in futuro firmeranno il trattato?
"Credo che succederà. La Conferenza è preceduta a una incredibile velocità, forse più in fretta di quanto era auspicabile. Ma penso che una volta analizzato lo statuto, anche i governi più critici vedranno che il numero delle salvaguardie verso i soldati è davvero alto, e tormentato".
C'è anche chi critica lo statuto, reputandolo troppo debole. Che cosa ne dice?
"Il documento riflette davvero un equilibrio fra le posizioni degli Stati, fra chi voleva una Corte energica e chi invece si preoccupava delle garanzie. Se si fosse aggiunto qualcosa, si sarebbe finito per indebolire il Tribunale".
Ritiene che questo Tribunale potrà davvero fermare i Saddam Hussein e i Pol Pot di domani?
"Sono convinto che potrà tutto dipende dagli Stati: se gli permetteranno di giocare questo ruolo. Bisogna vedere quali Paesi lo firmeranno, e come giudicheranno, dall'esterno, le altre nazioni che per ora si sono tenute fuori".
Questi riferimenti sono rivolti agli Stati Uniti?
"No, a tutti quelli che sono rimasti fuori".
Ma è l'esclusione degli Stati Uniti quella che brucia, che indebolisce di più il Tribunale. E d'accordo?
"Secondo me è solo questione di tempo. Sono convinto che gli Usa si uniranno a noi, nel sostenere in Tribunale ma prima è, meglio è".