IL BOOMERANG DI CLINTON
Di: Paolo Garimberti
Con il gran rifiuto ad aderire al trattato sulla Corte Internazionale, dopo quello per il bando delle mine antiuomo, gli Stati Uniti hanno rinunciato a esercitare il ruolo di guida morale del mondo, complemento naturale e doveroso della leadership politico-economica riconosciuta all'unica superpotenza globale sopravvissuta alla fine della guerra fredda.
In entrambi i casi l'America di Clinton ha privilegiato le ragioni della politica interna e gli interessi nazionali rispetto a quelli della collettività internazionale. Il Pentagono, sostenuto dall'ala conservatrice e isolazionista del Congresso, si è opposto a ambedue i trattati, sostenendo che rischiano d mettere in pericolo la sicurezza dei militari americani impegnati all'estero. E il presidente si è allineato a questa linea egoista e arrogante, così come si è finora rifiutato - per evitare conflitti con il Congresso - di saldare il debito americano con l'ONU.
E un'interpretazione singolare del ruolo di superpotenza e di leader dell'Occidente, che si traduce nella pretesa di affermare i propri diritti, dando ad essi una valenza universale, e di essere esentati dai doveri, se non coincidono con l'interesse nazionale. E la cosi detta "teoria degli interessi vitali", enunciata dallo stesso Clinton, secondo la quale gli Stati Uniti "operano multilateralmente quando è possibile, ma unilateralmente quando è necessario".
Questa teoria rischia, però, di essere un boomerang per la credibilità degli Stati Uniti. in primo luogo, perché contiene in sé una visione orwelliana del multilateralismo e delle istruzioni che ne sono espressioni. Alle Nazioni Unite, come al WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio, l'America accetta che i paesi siano tutti eguali purché uno sia uno più eguale degli altri. Secondariamente, questo atteggiamento pone sempre più spesso Washington in rotta di collisione con i suoi stessi alleati naturali e storici. E accaduto con la famosa legge "Helmes - Burton", che dava agli Stati Uniti il diritto di sanzionare le imprese straniere che facessero affari con paesi all'indice, come Cuba o la Libia. Ma è accaduto anche nell'ultima crisi con Saddam Hussein, quando la Casa Bianca pretendeva di agire unilateralmente e al di sopra dell'ONU, nonostante il diverso avviso dei partner europei e dello stesso Consiglio di Sicurezza. Infine, la "teoria degli interessi vitali" mette Clinton in contraddizione con se st
esso: sia nel caso sul trattato delle mine antiuomo, che in questo della Corte internazionale di giustizia, l'America ha finito per trovarsi in cattiva compagnia, alleata di paesi ai quali pretende di insegnare la democrazia e il rispetto dei diritti civili come valori universali.
Nel voto sull'istituzione della Corte permanente, l'effetto boomerang è stato particolarmente vistoso e quasi devastante per l'immagine dell'America, che ha subito un rovescio diplomatico senza precedenti. I tentativi della delegazione statunitense di bloccare il trattato anche ricorrendo a velati ricatti (come quello, sia pure ufficialmente smentito, di ritirare i propri soldati dall'Europa) sono andati a vuoto; anzi, persino i più solidi alleati dell'America, quali la Gran Bretagna, hanno finito per prendere le distanze. Mai come nell'estenuante negoziato romano i nodi della "teoria degli interessi vitali", del multilateralismo "a' la carte" teorizzato da Clinton sotto la spinta del Congresso, sono venuti al pettine, mettendo l'America in contraddizione con se stessa, con le sue enunciazioni di gendarme del mondo e con gli stessi principi fondamentali della sua democrazia.
Quando Clinton annunciò al mondo la conclusione degli accordi di Dayton sulla Bosnia, ormai tre anni fa, teorizzò non soltanto il dovere dell'America, quale paese guida della Nato, di intervenire per mettere fine al conflitto, ma anche di proseguire e assicurare alla giustizia i criminali di guerra. Questo obiettivo è stato realizzato in minima parte, con la cattura di "pesci piccoli", a causa del rischio di perdite umane che comporta la caccia ai vari Karadzic e Mladic. Ma, come ha osservato il New York Times, può anche esservi una lettura rovesciata di quanto è accaduta in questi tre anni in Bosnia. Nessun soldato della Nato è stato ucciso in scontri a fuoco perché i principali criminali di guerra sono costretti a nascondersi e quindi sono ridotti all'impotenza militare: se escono allo scoperto rischiano di essere tradotti davanti al Tribunale dell'Aja. Una Corte permanente, a maggior ragione, diventa dunque non solo un fattore di giustizia, ma anche di deterrente, che andrebbe sostenuto e non bloccato da
chi, a buon diritto, si sente gendarme del mondo. Quanto alla pretesa di Washington di sottoporre la Corte a un controllo politico, essa urta con quel principio della divisione e dell'indipendenza dei poteri, che è un pilastro secolare della democrazia americana.
E la prima volta da cinquant'anni a questa parte che gli Stati Uniti escono non soltanto sconfitti da un negoziato diplomatico, ma soprattutto macchiati nella loro immagine. Resta da vedere in che misura il "no" americano indebolisca la Corte e ne riduca l'efficacia, oltre che la capacità operativa. Indubbiamente tutti i compromessi e le clausole di esenzione, che si sono resi necessari per arrivare a un voto positivo, hanno prodotto un trattato diverso, con minore efficacia coercitiva, da quello che volevano i suoi più ferventi sostenitori. Ma per il momento conta il risultato politico, del quale l'Italia, con la sua infaticabile mediazione, ha un merito non piccolo: il consenso di ben 120 paesi al principio di giustizia universale, secondo il quale non può esservi delitto senza castigo. Fino a ieri valeva il principio opposto, quello dell'impunità garantita e, dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri, vi sono stati 130 milioni di morti in 250 conflitti. Comunque vada, la nascita della Corte è un pas
so avanti per l'umanità e un passo indietro per quell'Aids della comunità internazionale, che sono il genocidio organizzato e la pulizia etnica. Presto o tardi, anche gli Stati Uniti dovranno rendersene conto e cambiare idea.