ITALIA IN PRIMA LINEA PER VINCERE LE RESISTENZE
"E' un accordo di portata storica". Il ministro degli Esteri Lamberto Dini è in perfetta sintonia col segretario generale dell'ONU nel commentare la nascita della Corte penale internazionale. "Anche senza la presenza degli Stati Uniti che, dici Dini, ci auguriamo che prima o poi arrivi. In ogni caso la Corte parte bene, la sua competenza è vasta, è dotata di indipendenza e quindi di autorevolezza".
L'ha sorpresa anche la schiacciante maggioranza con cui gli Usa sono stati isolati al momento del vuoto?
"Questo dimostra che la società civile, la gente e i cittadini di tanti Paesi desideravano che questa Corte fosse costituita".
Sarà vendibile questa vittoria italiana? Matureranno dei meriti?
"L'Italia, afferma Dini, ha dato un grosso contributo facendo più che sua parte e credo che sia già un riconoscimento che questo sia avvenuto a Roma e che lo Statuto della Corte si chiami "Trattato di Roma". I meriti? Devono esserci attribuiti da altri, non possiamo attribuirceli da soli".
Anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi, esprime grande soddisfazione per il successo della Conferenza delle Nazioni Unite. "Tale storico risultato che, è detto in un comunicato di Palazzo Chigi, corona l'impegno della Comunità internazionale di dotarsi di strumenti giuridici per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, è stato fortemente voluto e perseguito dall'Italia. Il Governo italiano si è fortemente adoperato fin dall'inizio dei lavori della Conferenza affinché si aggiungesse alla stesura dello Statuto e alla definizione della Corte Penale Internazionale quale Istituzione sovranazionale indipendente, imparziale nella propria attività, rispettosa dei diritti degli accusati ed efficiente nella propria amministrazione. Tali risultati sono stati pienamente conseguiti al termine di un negoziato al quale tutti i Paesi partecipanti hanno contribuito con impegno e dedizione".
Infine Emma Bonino, la Giovanna D'Arco, della giustizia senza frontiere: "E' una Corte adeguatamente forte, che in futuro, spero, vedrà l'adesione anche degli Stati Uniti". Poi una frecciatina ad Amnesty International che, venerdì sera, aveva criticato duramente la bozza dello Statuto. Posizione, ieri un po' ammorbidita, in netto contrasto con la reazione euforica di "Non c'è pace senza giustizia". "Ognuno, ha commentato Bonino, ha il diritto di sbagliare. Forse hanno letto male il documento".
USA PRIGIONIERI DELLA "SINDROME VIETNAM"
Di: Anna Guaita
Il mondo festeggia, gli Stati Uniti sbadigliano. Se la creazione del primo Tribunale internazionale è stata notizia da prima pagina ovunque sul pianeta, negli Stati Uniti è passata quasi inosservata. Il presidente Clinton se ne è andato qualche giorno nello Stato natio dell'Arkansas, il Congresso è tutto immerso nel dibattito di una legge per la protezione del malato, e la politica estera appare quanto mai distante e inutile.
L'improvvisa consapevolezza che il governo statunitense si trovava ad essere compagno di letto dei paesi quali l'Algeria e la Libia aveva creato nei giorni scorsi una scarica di interventi sui principali quotidiani e da parte di noti opinionisti. Tutti sollecitavano Clinton a riesaminare il no al Tribunale. Ma nessuno si aspettava davvero che lo facesse. Come potevano immaginare, infatti, che un uomo la cui presidenza è paralizzata da un procuratore indipendente che indaga su di lui da due anni e mezzo possa combattere contro l'indifferenza generale del suo paese per fare accettare un tribunale che crea a livello internazionale la stessa figura che lo perseguita?
Questo dunque era, ed è rimasto, uno dei "no" americani: no a un procuratore che possa iniziare indagini senza il via libera del paese interessato. L'altro "no" è stato voluto insistentemente dal Pentagono: niente sostegno di Washington se la creazione del tribunale permette che soldati e funzionari americani vengano incriminati in un paese straniero. Dietro questa posizione di intransigenza c'è la teoria ufficiale che gli americani siano più esposti di altre nazionalità per il loro ruolo dominante nelle forze di pace ONU: il tribunale potrebbe diventare un'arma di vendetta contro innocenti soldatini statunitensi di stanza in paesi cattivi. Ma c'è anche un'altra meno nobile lettura: tanta paura di un tribunale potrebbe derivare dalla "sindrome post-Vietnam", il complesso di persecuzione che gli americani si portano dietro da quando buona parte del mondo li condannava per una guerra di aggressione, sanguinaria e ingiusta. Dopo più di 25 anni, agli americani quelle critiche bruciano ancora. E il sospetto che,
se già allora ci fosse stato un tribunale, molti dei suoi biys ci sarebbero finiti è presente (ma non confessato) nella mente di tutti.