LE PAURE DI USA E CINA
Di: Antonio Gambino
Gli aspetti di grande rilievo contenuti nella decisione, presa nella notte tra venerdì e sabato scorso, a Roma, di dar vita a una Corte penale internazionale sono tanti che anche un primo bilancio si presenta tutt'altro che facile. I punti su cui vale comunque la pena di fermare l'attenzione appaiono i seguenti:
negare che, da un punto di vista concettuale, si sia di fronte a una svolta storica, non appare possibile. Nell'idea di un tribunale, almeno teoricamente indipendente, che prende in esame e giudica una serie di comportamenti criminali su base sovranazionale, si trova incarnata infatti, almeno in embrione, l'idea di un "mondo uno", vale a dire la convinzione che , e non solo nel campo economico, attraverso il fenomeno della globalizzazione il pianeta in cui viviamo ha cominciato davvero ad eliminare le proprie divisioni e le proprie paratie stagne, e ad unificarsi. Ovviamente è facile constatare quanto tale impostazione sia ancora debole: perché nessuno può ignorare che una Corte giudicante si colloca logicamente all'interno di uno Stato già esistente, come espressione del suo ordinamento giudiziario, mentre, nel nostro caso, uno Stato mondiale è ancora di là da venire. Quindi, ed è inutile da illudersi, su questa strada si potranno compiere, nei prossimi anni, passi avanti, ma anche passi indietro, aver post
o, e non solo a parole ma con un atto preciso, tale tema al centro della dialettica internazionale rappresenta però, in tutti i casi, un fatto importante.
La bozza approvata, dopo una lunga gestazione contrassegnata da prove di forza e da compromessi, è sicuramente per molti aspetti difettosa: anche perché alle limitazioni che già oggi risultano palesi è inevitabile pensare che si aggiungeranno quelle che appariranno solo nel passare del tempo. Rimane però il fatto che il tentativo, che originariamente è stato quello di quattro tra le cinque grandi potenze: con la solo esclusione dell'Inghilterra, di sottoporre ogni iniziativa del Procuratore generale della Corte all'approvazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU è uscito sconfitto. Nel testo che abbiamo di fronte, l'organo supremo delle Nazioni Unite conserva infatti unicamente il potere di bloccare una simile iniziativa, e per un periodo di 12 mesi. Dopo di che può anche rinnovare la sua decisione. Ma tutto questo potrà avvenire solo pubblicamente e quando la richiesta di incriminazione sarà già formulata: vale a dire davanti a gli occhi e sotto il controllo dell'opinione pubblica mondiale.
Il documento finale è stato approvato a maggioranza, con 120 voti a favore, 21 astenuti e 7 contrari. e tra questi ultimi, mentre non ci sono i voti della Francia e della Russia, per lungo tempo indecise, vi è ,accanto a quelli di Cina, India, Israele, Filippine, Sri Lanka e Turchia, quello degli Stati Uniti. E la cosa può, la tempo stesso, essere considerata come molto sorprendente o del tutto scontata. E sorprendente dal punto di vista dell'immagine: per tutti coloro che hanno ancora in mente l'America di Woodrow Wilson e della sua battaglia per una "diplomazia aperta", basata su un insieme di diritti universali. Si presenta invece come normale se si tiene in mente quello che, prima e dopo di allora, e specie negli ultimi anni, è stato l'atteggiamento dell'America in campo internazionale: con il suo costante richiamo ai propri "interessi nazionali" e con ripetuta enfatizzazione del suo "eccezionalismo", vale a dire della posizione unica che essa ha, ed ha il diritto di avere, sulla scena internazionale.
Un chiaro riconoscimento di merito va infine attribuito alla posizione dell'Italia: e non solo per aver organizzato la Conferenza e ospitato la solenne cerimonia con cui, ieri pomeriggio, si è conclusa, per la posizione politica che essa ha assunto. Anche perché non si è trattato di una scelta facile: visto che, se da un lato vi era la spinta che veniva dal chiaro orientamento, favorevole alla Corte penale e ad ogni iniziativa sovranazionale, della grande maggioranza della nostra opinione pubblica e del nostro governo, dall'altro vi erano gli atteggiamenti spesso incerti di non pochi esperti, pronti, ad esempio, a negare, contro ogni evidenza, la dichiarata opposizione degli Stati Uniti a questo progetto; o in seconda battuta, a cercare a tutti i costi un compromesso. Sempre più, col procedere dei lavori, ha prevalso la posizione giusta. E di questo non ci si può altro che rallegrare.