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Conferenza Tribunale internazionale
Palumbo Stefano - 9 ottobre 1998
L'UNITA' DOMENICA, 19 LUGLIO 1998

"MOLTO PIU' DI NORIMBERGA"

Di: Giandomenico Picco

La Corte criminale internazionale per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio è oggi una realtà. Si tratta di un passo avanti enorme nella storia della civiltà internazionale per due ragioni: il tribunale avrà una certa giurisdizione al di sopra delle frontiere e giudicherà non solo i vinti ma chiunque si macchi di crimini di guerra o contro l'umanità, e quindi potrà giudicare anche i vincitori. La convenzione adottata a Roma dovrà essere ratificata da 60 parlamenti prima che il Tribunale diventi effettivo e ciò significa che passerà qualche anno. Sette paesi non hanno votato a favore del testo e tra essi Stati Uniti, Cina. Nonostante i compromessi che, proprio su loro richiesta, hanno limitato i poteri del Tribunale, questi due grandi paesi hanno scelto di distinguersi dalla maggioranza della comunità internazionale. E importante riflettere su questo.

La battaglia alla conferenza di Roma è stata infatti tra chi voleva una supremazia politica sul tribunale e chi invece voleva una "corte" indipendente dalla autorità del Consigli di Sicurezza dell'ONU, cioè dai governi dei Grandi. Russia, Gran Bretagna e alla fine anche Francia hanno accettato questo secondo approccio e alla fine ben 120 paesi hanno dato il loro voto alla formula finale dello statuto della corte.

Il cammino che ha portato a questo successo è stato particolarmente lungo. Cominciò esattamente 50 anni fa prima di essere bloccato dalla guerra fredda. Con tutte le sue imperfezioni il risultato della conferenza di Roma fa onore alla comunità internazionale perché innalza il "comune denominatore" dell'etica della comunità internazionale. E molto più di una Norimberga, che fu un processo dei vincitori sui vinti. Ed è anche un primo passo, anche se piccolo, verso una vera e propria giurisdizione sopranazionale. Per il sistema di rapporti tra governi e paesi che abbiano avuto da sempre, e certamente sin dal 1945, è questa la vera novità.

Il Tribunale Criminale, assieme al Segretario Generale dell'ONU, rappresentano infatti delle figure anomale nel mondo inter-governativo poiché il loro potere non deriva esclusivamente de decisioni prese tra paesi. In questo senso è sorprendente che la Gran Bretagna, la Russia e la Francia, baluardi del vecchio sistema nato nel dopoguerra, abbiano dato il loro appoggio. Non c'è invece da stupirsi che Stati Uniti e Cina si siano opposti. Fa riflettere che le due superpotenze del XXI secolo si siano trovate d'accordo a difendere tutti i privilegi della nazione-stato. Questo atteggiamento conferma che si percepiscono come le sole superpotenze: la loro opposizione si basa solamente sul fatto che esse contano ancora di avere la forza (militare o di pressione) per essere trattate in modo diverso dagli altri paesi. E del resto, alcuni mesi fa, fu proprio il Pentagono e non il Dipartimento di Stato a sottolineare che gli Usa non potevano permettersi di accettare un sistema legale che mettesse i militari Usa sotto una

giurisdizione come quella del nuovo Tribunale. Questa eccezione fu richiesta esplicitamente dai negoziatori Usa a Roma. Philippe Kirsch, l'Ambasciatore canadese che ha negoziato lo statuto, invece lo rifiutò. Se una eccezione si faceva per i militari Usa perché non farla anche per altri?

Per la Cina la ragione va invece ricercata nella tradizione marxista della superiorità della politica sul diritto.

Ma è possibile immaginare un Tribunale contro i crimini di guerra e quelli contro l'umanità che opri a livello mondiale in modo efficace senza la partecipazione di Washington e Pechino? Lo scopo del tribunale è di operare sulla base di un comune denominatore di principi condiviso da tutti o quasi. Washington non potrebbe non ostacolare l'operato del Tribunale, potrebbe accedere al suo statuto più avanti e potrebbe anche scegliere, come per la Corte dell'Aja, di accettare la giurisdizione caso per caso. Lo stesso vale per la Cina. Penso che questo sia l'obiettivo che tutti i paesi che hanno scelto di dare vita al Tribunale, o che intendano ratificarne il trattato, devono porsi.

D'altra parte questa è la seconda grande conferenza internazionale in pochi mesi (l'altra fu quella sulla convenzione contro l'uso delle mine anti-uomo) che vede Washington isolata dal resto della comunità internazionale. Alla velocità con cui si muove oggi la storia si potrebbe quasi pensare che l'era dell'unica superpotenza è durata cinque anni, dal 1991 al 1996, e che ora siamo già andati oltre. La conferenza di Roma sembra anche avere confermato che siamo ancora in una fase di ricerca di un nuovo "contratto sociale internazionale": da una parte i veri Grandi che cercano legittimità per il loro operato e la loro forza, dall'altro i "non Grandi", nuovi e vecchi, che cercano partecipazione.

E del resto questo è anche ciò che è emerso dal mancato raggiungimento di un accordo sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

Questo "nuovo contratto sociale", che sarà alla base del nuovo sistema internazionale, anche se resta ancora lontano da raggiungere, va comunque perseguito. Il problema e che i Grandi stanno ancora "testando" la loro forza. Mentre i meno grandi non sanno ancora quali ruoli possono o sono in grado di giocare sulla scena mondiale. Intanto Cina e Usa marciano sempre più insieme, e forse sempre più diversi dagli altri, verso il prossimo secolo.

 
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