Lettera aperta ad Angelo Panebianco e Massimo D'Alemadi Alessandro Tessari
Caro D'Alema e caro Panebianco,
vorrei tentare di rispondere al vostro 'orribile'carteggio sul Corriere della Sera e sull'Unità anche se sento molte difficoltà per sentirmi in qualche modo vicino ad entrambi. A D'Alema mi legano i miei lunghi trascorsi nel PCI.Sono tuttavia così poco 'trascorsi' che l'altro giorno, sentendo Occhetto parlare al consiglio federale del PR, ho capito quanto sia oggi matura e possibile la decisione di prendere la tessera comunista. Prendere e non 'riprendere' proprio per sottolineare quanto oggi tutto sia mutato in noi e nel mondo,nel PR e nel PCI. A Panebianco, conosciuto in casa radicale, mi lega,oltre che la stima che nutro per la sua intelligenza,tutta una cultura di stampo liberale che è il grande dono che ho ricevuto dalla conoscenza di Pannella.
Ho detto 'orribile' il carteggio. Perché? somiglia a quei dialoghi domestici del 'parlar a nuora perché suocera intenda'. E mi spiego.Sull'Unità di oggi, 7.1.90, D'Alema risponde con puntiglio ragionieristico a una serie di contestazioni che Panebianco aveva mosso nei suoi articoli. Io sono senza ombra di dubbio schierato con D'Alema ma con una certa stizza. Perché gli argomenti di D'Alema sono tutti verissimi...ma non veri. Panebianco ha detto moltissime cose nei suoi due articoli che,come sempre,non sono banali.Ha condito con moltissime verdure ed eleganti e vistose il piatto forte:un vero anticomunismo...di qualità. E allora io pensavo che non valesse la pena di rincorrere le insalatine (la polemica sugli statali che fanno o non fanno, sul sindacato ecc), ma che valesse la pena di dire qualcosa a proposito della pietanza principale che ci veniva ammannita. Ed è qui il mio ..disagio. Provo allora a rispondere al mio amico Panebianco dicendogli che forse ha più ragione di quanta lui stesso non pensi e
che effettivamente moltissime delle cose che dice si possono ridire e rincarare. Epperò a Panebianco vorrei dire che parla del cadavere comunista senza accorgersi che i cadaveri di comunismi e socialismi 'reali' non bastano a sancire la morte 'del' comunismo. E mi piace che proprio sullo stesso numero dell'Unità ci sia una magistrale lezione di Garin in questo senso. Non voglio qui dire che la cultura del comunismo o più giustamente quello che a Marx dobbiamo e certamente dovremo continuare a tributargli (usiamogli almeno la stessa cortesia che i padri del pensiero economico capitalistico gli hanno da sempre tributato) durerà nel tempo al di là della storia contingente. Voglio alludere a qualchecosa di più preciso. A tutti noi,comunisti e non, marxisti e non, è capitato spesso di registrare come certe categorie del nostro pensare risultassero strette in certi frangenti.Perché la storia mutava troppo rapidamente,perché i soggetti che eravamo abituati a riconoscere in campo sembravano non avere i connotati d
el copione. Lo stesso fenomeno Gorbaciov è quasi una figura 'escheriana': il comunista che paradossalmente liquida il comunismo. Oltre agli argomenti veri, ma piccolissimi, che elencava Panebianco ci sono i grandi argomenti che ci vengono dall'est per legittimare un forte 'anticomunismo'. Epperò tutto questo non basta a cancellare alcune linee di tendenza che a me paiono enormemente visibili e annunciatrici,ma guarda un po', proprio della 'parabola' marxista. Forse era tempo che 'noi' comunisti ci accorgessimo che la classe operaia europea aveva perso i connotati di quella prima, tremenda, epica classe operaia inglese che accese la passione e la fantasia di Engels e Marx. Quelle condizioni, quei connotati, quella grandiosità è ciò che ha consentito all'anticomunismo di sempre di avere successo. Perché non si poteva usare il patos di Engels di fronte alle condizioni di quella classe operaia per parlare agli operai svedesi o tedeschi o torinesi di oggi. E sviante sarebbe elencare la miriade di piccole sofferen
ze e angherie che la classe operaia europea del nostro tempo ancora soffre. Ma c'è un mondo ,caro Panebianco,che non possiamo fare finta di non vedere,che oggi sta ancora al di là delle frontiere della nostra bella Europa, bianca, per la nostra delizia, dall'Atlantico agli Urali. Ma che già comincia a strisciare per le nostre strade,le nostre piazze.Che noi ancora esorcizziamo con nomignoli. Cui riserviamo dosi supplementari di carità cristiana. Un mondo che ancora oggi usa domandare anche se con minore o maggiore discrezione o invadenza,ma che domani pretenderà. E scopriremo tutti, con immenso stupore, anche se avremo nel frattempo con cura fatto sparire tutti i testi di Marx e di Engels, perché sfoggeremo nuovi looks,nuovi maestri, che parlano proprio il linguaggio, ma guarda un po', di quella classe operaia che credevamo consegnata nelle memorie 'romantiche' del giovane Engels. Ma non s'era detto che il sottoproletariato dei 'vu'cumpra', proprio Marx lo aveva detto,non fa 'classe', 'coscienza di classe'?
Certo . Il fatto è che dalle piazze in cui li avevamo messi assieme alle borse 'vuitton' poi li abbiamo messi nelle fonderie di tutta Europa, nelle fabbriche più inquinate e meno gradite al gusto più evoluto del lavoratore europeo, li abbiamo fatti diventare 'classe', li abbiamo fatti diventare il nostro tremendo antagonista. Ma mi pare che tutto questo sia così ovvio e prevedibile che non valga neppure la pena di parlarne. E c'è perfino il colore della pelle ad aumentar la differenza! E un miliardo di affamati,per ora in dignitoso silenzio, attorno alla tavola imbandita..C'è rischio che perfino torni di moda quel palestinese che duemila anni orsono s'era messo a sovvertir le folle contro il grande impero di Roma....
P.S.
per gli aficionados di agorà. Il senso di questa mia lettera è questo: angelologie e demonologie non parlano di cose che stiano da qualche parte fuori di noi. Sono,in qualche modo,le cartelle cliniche delle nostre nevrosi.