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Conferenza Partito radicale
Cicciomessere Roberto - 11 gennaio 1990
Nonviolenti a Bucarest
Poiché nessuno interviene sul quesito di Xavier, lo faccio io.

Non mi sembra, innanzitutto, che la nonviolenza sia intercambiabile con la violenza: in certe situazioni va bene la prima, in altre la seconda. La nonviolenza, prima di essere un metodo, è infatti una concezione politica che si prefigge di risolvere i conflitti senza dover sacrificare i valori fondamentali di una società civile e cioè il diritto alla vita, la tolleranza, i principi di legalità.

In questo senso la rivoluzione democratica all'Est è stata una delle maggiori espressioni di politica nonviolenta proprio perché le classi dirigenti e d'opposizione della maggior parte di quei paesi sono riuscite a concepire e ad attuare l'uscita dal "socialismo reale" senza spargimenti di sangue. Perfino la nuova dirigenza romena si è sentita obbligata, subito dopo l'esecuzione di Ceausescu, ad abrogare la pena di morte.

Se l'azione nonviolenta non è quindi una tattica che possa essere alternata, secondo i casi, all'insurrezione armata, devo dire, non per tentare di eludere la domanda, che non si può chiedere cosa farebbe un nonviolento se si trovasse nel bel mezzo di una guerra civile. Se la violenza delle armi ha avuto il sopravvento, se i margini di dialogo si sono ridotti a zero, la risposta è solo ed interamente affidata alla coscienza personale.

Ma la domanda (e le considerazioni successive) di Xavier aggiungono altri elementi di equivoco sulla nonviolenza: sarebbe insomma una aspirazione encomiabile, "giusta e necessaria", che non può però essere rivendicata nei momenti in cui l'aggressione è violenta ed armata.

E' questa una concezione "emergenziale" che respingo alla pari di quella che vorrebbe la sospensione delle garanzie democratiche nei momenti in cui l'attacco terroristico o criminale diventa particolarmente violento.

No, se la nonviolenza non è efficace proprio nei momenti più duri dello scontro, allora è meglio disfarsene subito!

Ma - è questo il punto fondamentale - la nonviolenza non è atteggiamento di passività, come sembra presupporre Xavier, di fronte all'aggressore. Non è solo non-violenza.

E' quindi un modo per ridicolizzare la nonviolenza quello di contrapporre il digiuno ai carri armati. Così come è una tragica illusione pensare di contrapporre agli eserciti d'occupazione il popolo in armi.

Veniamo all'esempio: l'ipotetica associazione radicale di Bucarest di cui parla Xavier non avrebbe atteso il 22 dicembre 1989 per costruire forme di opposizione nonviolenta. E poiché la nonviolenza non ha niente da spartire con il martirio, avrebbe tutelato la vita dei suoi militanti con i migliori e più efficaci salvacondotti: la informazione, la pubblicità, la solidarietà internazionale. "Le mot d'ordre" (ammesso che nel Pr ci sia qualcuno che possa dare ordini e altri disposti a riceverli) sarebbe stato quello di esporsi pubblicamente, clamorosamente, magari proprio con un digiuno pubblico, dopo aver garantito che la notizia fosse diffusa nel miglior modo possibile nei canali internazionali.

Anche se solo a posteriori, oggi tutti riconoscono che Ceausescu è potuto rimanere in piedi anche grazie alle complicità e all'appoggio dei governi occidentali. Il silenzio è stato, prima ancora della "securitade", il suo miglior alleato.

Forse, se per la Romania ci fosse stata l'identica attenzione che i media hanno assicurato alla Polonia o all'Ungheria, non sarebbe stata necessaria l'insurrezione armata.

Ma la storia non si fa con i forse. Neppure quella del partito radicale.

 
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