Dopo aver atteso invano che qualcuno osasse intervenire nella discussione che ho aperto a proposito della nonviolenza in Romania, alla quale ha risposto R.Cicciomessere circa 15 giorni fa, replico a mia volta sperando che il dibattito divenga un po' più animato e che gli agoriani partecipino più numerosi. Diversamente dovrò concludere che per gli agoriani la questione della nonviolenza rappresenta la loro ultima preoccupazione.
Cicciomessere comincia con il riconoscere la validità del problema che ho sollevato e che è questo: in una situazione di violenza estrema, come quella che si è avuta in Romania dal 22 al 31 dicembre, la politica della nonviolenza diviene purtroppo impossibile. In un certo senso, anche Cicciomessere è d'accordo con me. Infatti egli scrive: "se la violenza delle armi è riuscita ad imporsi, se i margini di dialogo si sono ridotti a zero, la risposta [cioè cosa farebbe un nonviolento in una guerra civile] è affidata esclusivamente alla coscienza di ciascuno". In altre parole, in una situazione estrema, il Partito radicale non indicherebbe alcun comportamento (e sarebbe grave!), e ciascuno deciderebbe da solo cosa fare: prendere le armi, fare un digiuno o non fare niente (non ci sono altre possibilità).
Si riconosce dunque, in un certo senso, che, in una situazione estrema, la nonviolenza diviene per lo meno problematica. E tuttavia, qualche riga più avanti, Cicciomessere afferma esattamente il contrario quando dice: "se la nonviolenza non è efficace proprio nei momenti più duri dello scontro, allora è meglio disfarsene subito!". E lo spiega nel modo seguente: la parola d'ordine che l'ipotetica associazione radicale di Romania avrebbe dovuto dare il 22 dicembre "sarebbe stata d'esporsi pubblicamente, clamorosamente, magari con uno sciopero della fame pubblico, dopo essersi assicurati che l'informazione fosse diffusa il più efficacemente possibile nei canali internazionali".
Ma vediamo un po', tu Roberto pensi seriamente che un Ceausescu oppure della gente come quella della Securitate possano lasciarsi influenzare, anche minimamente, da uno sciopero della fame? Quello di cui si tratta, mi dirai, non è influenzare i tiranni, ma di mobilitare la popolazione del paese e l'opinione internazionale. Certo, ma allora ti chiedo: credi seriamente che quello che l'opinione nazionale e internazionale pensa di loro importi così tanto a della gente come Ceausescu e compagnia?
Sì e no nel contempo. Tutto dipende dal momento, e questa distinzione è essenziale per la nostra discussione.
No, l'opinione di chicchessia non importa loro nulla nel momento in cui la situazione è esplosa, la gente si è sollevata, il loro potere è in pericolo: bisogna solo ammazzare per fare regnare la paura e conservare a tutti i costi il potere.
Per contro, durante i lunghi periodi in cui esercitano "normalmente" il potere, sono un po' interessati a quello che l'opinione nazionale e internazionale pensa di loro (ma non più di tanto). Più esattamente non si preoccupano affatto di quello che l'opinione pubblica PENSA. Quello che importa loro è quello che questa opinione pubblica FA O NON FA. Cioè l'unica cosa che interessa è che la gente si tenga tranquilla nel paese e che i governi e le società internazionali continuino a firmare i vergognosi ed ignobili contratti. Ed è in questo stesso contesto che le azioni nonviolente hanno tutto il loro senso, anche se la situazione è dura, violenta e penosa, anche se queste stesse azioni diventano estremamente difficili.
Riassumo dunque la mia posizione:
1) per feroce che un potere sia, è impossibile pensare di rovesciarlo con le armi. Solo le azioni nonviolente (come quelle di D.Cornea o del pastore protestante L.Tökes, per restare in Romania) hanno un senso.
2) ma le cose cambiano quando si arriva ad una situazione limite, quando la pentola si scoperchia, quando la gente scende in piazza, quando anche l'esercito interviene. Non facciamoci illusioni: per importante che sia, non è la pressione internazionale che, in una tale situazione, può spingere le cose in un senso o nell'altro. E' l'esercito. In Romania l'esercito si è opposto al potere. In Cina l'esercito si è messo dalla parte del potere. In Romania è la democrazia che, malgrado tutto, ha vinto. In Cina il comunismo opprime ancora. E se l'esercito si mette dalla parte giusta, e se la sua azione si scontra con un'opposizione armata, non c'è allora altra possibilità che dimenticare per una volta, per una sola volta, la nonviolenza e sostenere attivamente quelli che rappresentano la sola possibilità di democrazia. Altra cosa è che la decisione personale di parteciparvi o non sia lasciata, come dice Cicciomessere, " alla coscienza di ciascuno".