Pierluigi Concutelli, già capo militare del disciolto Ordine Nuovo, condannato all'ergastolo per l'uccisione del giudice Occorsio, detenuto nel carcere di Rebibbia, si è iscritto al Partito Radicale. In questa lettera Concutelli racconta per quali ragioni chi scelse la via della lotta armata ha deciso oggi di iscriversi al partito della nonviolenza.
Cari compagni,
nel darvi riscontro di aver ricevuto, l'altro ieri, la tessera del Partito, nonché la richiesta di impegno per l'iniziativa referendaria, desidero rendere note le ragioni che mi hanno indotto alla tardiva, ma convinta e totale adesione agli intenti ed ai programmi per i quali il Partito ha ragion d'essere.
Anche fra coloro che, nei lustri passati, scelsero la via della lotta armata, antitetica ed opposta alla rigorosa nonviolenza del Partito, il rispetto dei principi e del coerente agire dei Radicali era diffuso e non superficiale: quando la prigionia e lo svanire, impietoso, di velleità ed utopie misero la più parte degli antagonisti violenti del "sistema" di fronte alla loro realtà di minoranza, priva di libertà e di diritti, la stima degli scopi e comportamenti radicali si rafforzò, nel riscontrare, nel Partito, l'unico movimento politico attento alla difesa dei Diritti Umani e Civili, non toccato dagli isterismi e dagli imperativi categorici della cosiddetta "fase dell'emergenza".
Se si eccettuano i lodevoli, settoriali, interventi di sodalizi confessionali, o filantropici, i Radicali sono stati gli unici ad occuparsi dei problemi inerenti al carcere ed alla legittimità dei metodi usati e/o proposti in difesa dello Stato Democratico: certamente sono stati i soli a farlo con costanza e organicità.
Una scelta nonviolenta, specie in chi, come me, ha praticato e propugnato la lotta armata deve, per essere consapevole e definitiva, venir maturata nel tempo e nel dolore: l'agire, necessariamente lento, dei due fattori di cui sopra, nonché una sorta di fobia-pudore, generata dai negativi trascorsi, verso quanto di "corporativo" temevo, a torto, potesse individuarsi in una adesione dettata dalle contingenze pressanti e anguste, mi ha impedito di iscrivermi al Partito, nonostante il giovamento e la riflessione indotti dai frequenti incontri con Compagni assidui sul "fronte carcerario".
Ora che le remore e le riserve menzionate sono state superate positivamente, la decisione di far parte del Partito Radicale è confortata e incentivata dalla mia identificazione nelle istanze e nelle finalità dell'Associazione dei detenuti, che del Partito è componente e uno degli aspetti.
Una Associazione dei detenuti e non soltanto "per" essi non può ingenerare in alcuno dubbi circa una gestione paternalistica, strumentale o assistenzialistica: l'essere l'Associazione, parte di un Movimento che lotta nella vita, per la Vita, sottintende, ai miei occhi, un impegno ampio, globale, in grado di stimolare la "porzione" della mia personalità che non vuole, non deve, sentirsi prigioniera.
Trovo degna e legittima rivendicazione chiedere un contatto con la Società Civile, al di là da finalità ispettive o caritatevoli: un recupero della persona, attraverso quello della dignità, alla vita sociale, non può prescindere dalla conoscenza e dalla successiva reciproca accettazione dei soggetti in causa. Il diritto al lavoro dentro e fuori dal carcere ma mai fuori dalla società, il diritto all'attività culturale ed allo sport, l'effettiva assistenza medica, la prevenzione igienica, la non soppressione della sessualità, la salvaguardia della umana dignità, il diritto allo studio ed alla qualificazione professionale: sono rivendicazioni sacrosante, contemplate dalla Costituzione Repubblicana o non vietate da regolamento o norma di sorta.
Associarsi e rivendicare il diritto di farlo è un passo essenziale, da Voi Compagni, giustamente enfatizzato: trovo di massima rilevanza l'esigenza della riappropriazione dell'esercizio del diritto di voto.
Mentre può essere discussa la opportunità dell'esclusione temporanea dall'esercizio di diritti sociali, l'interdizione "dai Pubblici Uffici" a termine, va combattuto strenuamente fino all'abrogazione l'iniquo ed inumano istituto della interdizione perpetua dai P.U. e dell'esclusione dal voto.
Non soltanto le norme succitate sono in contrasto con l'intento, conclamato dalla Legge, del recupero sociale del condannato ma, nel caso del diritto al voto, lo privano di prerogative che spettano connaturalmente, semplicemente nascendo sul Pianeta!
Vorrei ricordarvi, compagni, di spendere qualche parola, un po' di energia, per gli affetti da Morbo di Hansen che, senza condanna veruna, tranne quella comminata dal caso, vivono in regime di costrizione, sorveglianza contumaciale, privati del voto e quasi ogni altro diritto civile: spesso, io per primo, ci sorprendiamo a dire: reietto come un lebbroso", dando per scontata la obsolescenza di una pratica infame che è, invece, ancora in vigore!
Cari Compagni, vi assicuro che vi chiamo così in modo tutt'altro che eufemistico: contate su di me come conterò ed ho, in passato, contato su di voi.
Un augurio per il positivo concludersi delle lotte attuali e di quelle future.
Cordialmente vostro,
Pierluigi Concutelli
Rebibbia, 16/VI/1990