Roberto Cicciomessere continua a sostenere che il fatto di aver votato a favore dell'invio delle navi nel golfo sia secondario. Io continuo a non crederlo, e ritengo che i radicali (alcuni di essi, almeno) abbiano pericolosamente sottovalutato le implicazioni che quella scelta aveva: se non altro dal punto di vista della propalazione di comportamenti e di ideologie belliche in tutto il mondo, dal punto di vista dell'inevitabile riarmo che comportava, dal punto di vista della esaltazione della forza militare, di quella disastrosa retorica bellica 'amico/nemico' che andrebbe rifiutata, combattuta con tutti i mezzi possibili, e nella quale invece ci troviamo immersi fino al collo da un mese a questa parte. Ecco, mi sembra che chi ha votato a favore della risoluzione di maggioranza abbia votato anche a favore di questo, al di là delle buone intenzioni e dei buoni auspici sul ruolo dell'europa ecc...
Poi si può discutere sul fatto che si tratti o meno di una misura di 'polizia internazionale', sul fatto che i 'poliziotti' in questione parlino poi una lingua sola, sul fatto che una integrazione politica europea ancora tutta da costruire possa pesare sulle scelte che si faranno nel golfo, e sul quando questo potrà avvenire. Riguardo alla iniziativa politica nonviolenta 'democrazia e informazione per il sud del mondo' mi sembra non solo interessante, ma assolutamente necessaria. Bisogna tuttavia evitare il rischio di considerarsi detentori della verità assoluta, tentando il più possibile anche di mettersi umilmente i panni degli altri, visto che democrazia, pluralismo politico, libertà civili non si esportano come Mac Donald. La gran parte di quelli che sanno e scrivono di questioni internazionali hanno la convinzione che la democrazia sia un lusso per molti paesi del terzo mondo (una definizione sempre più discutibile questa di 'terzo mondo'), e la pensano così anche molte classi dirigenti africane e part
i consistenti della pubblica opinione di quei paesi. Per molti leaders africani però il rifiuto di 'sistemi alieni alla tradizione africana' costituisce in realtà l'unico modo di preservare la propria leadership minacciata sempre più da vicino dal vento di cambiamento che soffia ormai da molti mesi in quasi tutto il conntinente. Ma già in Gabon, Costa d'Avorio, Togo, Tanzania, Benin, Niger, Cameroun, Guinea Conakry e altrove, classi dirigenti incartapecorite si sono viste costrette a fare o promettere concessioni importanti sul piano della transizione verso il multipartitismo e della separazione dei poteri tra stato e partito, spesso pungolati da masse studentesche e non, che solo nei primi mesi di quest'anno hanno provocato scontri, devastazioni, morti e feriti in mezza Africa. Ma ogni paese ha la sua specificità ed i suoi tribalismi di cui tener conto, ed il concetto stesso di democrazia cambia al cambiare delle latitudini. Tanto per dirne una, quella che qui in Europa viene definita la 'culla della dem
ocrazia africana',il paese dove, per la prima volta nel continente, Leopold Sedar Senghor ammise nell'agone politico altri due partiti, oltre al proprio, assegnando loro di ufficio i ruoli di opposizione liberale e di opposizione marxista, si dibatte in una crisi senza precedenti. E, nonostante il presidente Diouf sieda accanto a Craxi nell'Internazionale Socialista, la democrazia senegalese, che oggi vede venti partiti uniti in un cartello di opposizione rappresentato in parlamento, resta una solenne presa in giro. In Nigeria i due partiti (uno 'repubblicano', l'altro 'socialdemocratico'), sono costituiti con decreto del governo, e sono i 115 milioni di nigeriani a votare per le cariche interne di ciascun partito, con un sistema elettorale così complesso e mutevole che gli stessi candidati fanno fatica a stargli dietro. La transizione verso un regime civile dell'unica 'repubblica federale' africana si compirà, secondo le previsioni, nell'ottobre del '92. Semprechè prima i militari non scelgano la strada
delle armi, come hanno già tentato di fare nell'aprile di quest'anno. In Kenya, come altrove nel continente, vige un sistema elettorale 'tradizionale', che nessuno all'interno del paese può permettersi di contestare. Nel giorno stabilito i candidati di ogni distretto (il partito è uno solo) si presentano in piazza ed i votanti si mettono in fila dietro al candidato prescelto. La fila più lunga vince, e difficilmente si verificano contestazioni.
In generale, si può dire che nel continente si assiste al tentativo di alcune delle classi dirigenti costrette al cambiamento 'democratico', di pilotarlo a proprio uso e consumo, sfruttando le rivalità tribali sempre presenti, e servendosi spregiudicatamente dei servizi di informazione e dell'esercito.
Di tutto ciò si deve tenere conto. Il terzo mondo non è più uno solo e uniforme, e le parole democrazia, multipartitismo, diritti umani, assumono significati differenti. Una iniziativa di 'aggressione democratica nonviolenta' è impresa ardua, e sarà secondo me tanto più azzeccata quanto più sarà studiata con estrema attenzione, rispetto e comprensione delle culture altrui.
Un ruolo importante in questo senso è quello svolto dalla radiofonia in onde corte. Radio France International organizza, sui problemi della democrazia e del multipartitismo, dibattiti radiotrasmessi in diretta dalle capitali dei paesi dell'Africa francofona, che diventano importanti punti di riferimento per una dialettica politica che non offre molte occasioni di confronto. Il World Service della BBC, da parte sua, prosegue la tradizione dei 'phone ins'. Fili diretti internazionali nei quali leaders politici vengono interrogati in diretta da ascoltatori sparsi ai quattro angoli del globo.
Ora: 'vale la pena di associarsi al Partito radicale per mettere in piedi questo nuovo progetto di lotta politica?'
Credo proprio di si, se un progetto di lotta politica del genere fosse davvero messo a punto, e poi messo in piedi. A giudicare dagli interventi espressi finora in questa sede, tuttavia, sono pochi ad essere interessati.
Guido Votano