E chi ha mai detto che Jesse Jackson è l'UNICO VERO nonviolento in questo scenario di crisi?Pochi tuttavia negano che che il pastore battista Jesse Jackson, seguace di M.L.King, fondatore del PUSH, candidato alla nomination democratica alla presidenziali '84, venga considerato da milioni di persone non solo di pelle nera un 'leader nonviolento'. Jackson non ha mai negato che da grande vorrebbe fare il segretario di stato, ed in attesa di crescere ha cominciato a farlo in proprio. Il suo blitz a Baghdad non è che l'ultima iniziativa di quella sua discussa 'diplomazia personale' che lo ha portato spesso ad agire in prima persona in situazioni di crisi. Da Damasco a Panama, da Mosca al Salvador, ha intessuto relazioni, liberato ostaggi, ha parlato a quattr'occhi con tutti i nemici giurati degli Stati Uniti, ha persino invitato Fidel Castro a Washington. Molti considerano la 'sua' politica estera contraria agli interessi nordamericani, e questo gli è valso nuovi problemi in casa sua e nuova popolarità all'estero, soprattutto tra i leaders del 'terzo mondo'. Diuscutibili quanto si vuole, è fuor di du
bbio che le sue iniziative 'interventiste' si configurino come 'ricerca del dialogo e della comprensione', specie durante le crisi, quando le tensioni e le retoriche belliciste rendono tutto più difficile. Sono iniziative che proprio dalla presenza delle telecamere traggono la propria forza (è stato lo stesso Jackson a garantire che le cassette con i filmati relativi alla sua visita passassero indenni attraverso le maglie irakene e giungessero negli Usa), ed in questo non vedo cosa ci sia di male. Possiamo discutere sul rischio che egli possa essere in qualche modo 'utilizzato' dai networks televisivi o, peggio, dai leaders internazionali che incontra, ma se parliamo di 'interventismo' e di 'nonviolenza', l'azione di Jesse Jackson mi sembra comunque piuttosto interessante da seguire e da comprendere.
Guido Votano