Alcuni giorni fa in questa conferenza ha preso il via un interessante dibattito sulla nonviolenza radicale: se e in che modo i radicali, nonviolenti e antimilitaristi, possano essere d'accordo sull'intervento - anche di tipo militare - nel Golfo Persico.
Subito si sono venuti a creare, con varie sfumature e argomentazioni, gli schieramenti pro e contro. (Per inciso, sulla questione il sottoscritto si ritrova in sostanziale sintonia con la posizione assunta in Parlamento dai radicali.)
Ad un certo punto della discussione interviene Marras con un problema ministerial-burocratico relativo alla sua domanda di obiezione di coscienza.
Molti, anche tra coloro che stavano prima dibattendo su nonviolenza e antimilitarismo, si prodigano in consigli pratici al Marras.
Benissimo, naturalmente. Ma ecco la stranezza: a nessuno viene in mente di operare un qualche tipo di collegamento tra le due cose.
Eppure si stava parlando del Golfo, cioè di un luogo in cui si trovano anche delle navi da guerra italiane, navi che alla fine - senza affrettarsi molto, è vero - ci sono pure arrivate.
E chi ci sta sopra?
A me è venuta naturale - anche se angosciante - una considerazione: se davvero in questa situazione reputo giusto, necessario, inevitabile, l'impegno contro Saddam Hussein, io, che pure mi considero nonviolento, mi sento, come dire, TRAGICAMENTE IN DOVERE di andare lì. Certo, con la speranza che non si spari e facendo di tutto affinché non si uccida, ma preventivando che forse sarò costretto a farlo. Un po' come, ad esempio, potrei sentirmi "costretto" ad andare in Aspromonte a combattere la criminalità mafiosa.
L'abbiamo sempre detto: nonviolenza non significa rassegnazione, né inazione; significa cercare di ottenere dei risultati usando il minimo di violenza possibile.
Ma allora, compagni, oggi, settembre 1990, non possiamo non discutere con Marras (e, tramite lui, tra di noi) sulla sua obiezione di coscienza; non possiamo limitarci a cercare di risolvergli le questioni delle autorizzazioni e delle lettere mancanti.
Esiste il problema - fondamentale per un nonviolento LAICO - di esaminare di volta in volta la situazione e decidere il da farsi, assumendosi tutte le relative responsabilità.
Tutte, anche la responsabilità di non arrivare all'assurdo che a difendere la libertà e il diritto internazionale ci vadano solo coloro che la violenza ce l'hanno "nel sangue"; anche la responsabilità di non essere così incoerenti (e vili...) da mandare in soccorso della democrazia, contro il novello Hitler, bastimenti carichi di fascisti, di autonomi e magari un po' di ultras giallorossi.
Attendo umilmente lumi.
Giuseppe Lorenzi