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ven 17 mag. 2024
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Conferenza Partito radicale
Cicciomessere Roberto - 27 settembre 1990
Riunione degli eletti radicali - Gianni Mattioli
Roma, Hotel Ergife, 27, 28, 29 luglio 1990

Io ero tra quelli che avrebbero preferito il giro degli interventi in modo che le cose avvenissero in modo meno autoprotagonistico perché in qualche modo io non vorrei urtare suscettibilità nel dire da ultimo arrivato, non dico da esterno perché io mi ritrovo molto bene nella frase che ha detto Marco "senza distinzione di vecchi e di nuovi" quindi non da esterno, da ultimo arrivato questo sì. Alcune riflessioni che questa volta sono un po' più centrate sul versante transpartitico su cui io vorrei che ci fosse una discussione approfondita e franca anche per la individuazione di obiettivi (io trovo molta consonanza con gli obiettivi sui quali in modo schematico Marco ora richiamava l'attenzione) che, se si vogliono cogliere, mi sembra richiedano di enfatizzare alcune condizioni.

Io non sono tra quelli che si sono iscritti al Partito radicale per motivi generici (cioè perché questa forza, importante nello scenario della politica italiana, non scomparisse...). Io mi sono iscritto al Partito radicale perché ho sposato con convinzione - e non subito, ma un anno dopo - la scelta caratterizzante del Partito radicale: la scelta che in qualche modo era (ancora ne son convinto) una scelta di grande genialità, di carattere profetico e generoso nella politica italiana. E quando uso questi termini, profetico e generoso, non li uso in modo filantropico ma in modo proprio, per quanto di anticipatore quella scelta conteneva e per le rinunce che essa implicava, una serie di rinunce che, nella politica in cui noi viviamo, fatta molto per immagine, sono rinunce che costano.

Non sto qui a dilungarmi sugli aspetti del partito transnazionale perché è superfluo ricordare qui, all'interno del Partito radicale, che ci sono oggi tematiche - non alcune, ma le tematiche principali della politica - che non hanno nessun senso, sono ridicole fuori da un contesto internazionale. Ma, del pari, ero convinto che nella frantumazione dello scenario politico del nostro Paese, anche questa scoperta di una prospettiva di costruzione del futuro, passando attraverso una transizione non so quanto lunga di carattere transpartitico, fosse ugualmente una scelta di rottura molto interessante in uno scenario sclerotizzato, asfittico, di stagno, qual e' quello della politica italiana, se uno non si lascia impressionare da cose che sembrano in grande movimento ma che poi, quando uno poi bada ai contenuti realmente di innovazione, lo sono assai di meno.

Ed ero anche d'accordo sull'enfasi, data in modo perentorio ancora nell'ultimo congresso, agli aspetti della crescita delle iscrizioni. E' solo una questione di sostanze finanziarie? Io credo di no. C'era il rischio di fare un club accademico in cui, magari ogni tanto, si fanno degli eleganti convegni con alcuni esponenti di forze politiche tradizionali: non è questo che interessava, quanto piuttosto che questa anticipazione e costruzione del futuro potesse poi avere gambe. E allora cosa di meglio che il tessuto esistente e futuro del Partito radicale, ramificato nel Paese, perché le prospettive che man mano si venissero individuando poi cominciassero ad avere una rete naturale di diffusione, di discussione, di confronto nel Paese? Giusto dunque anche stasera aprire con questi aspetti di attenzione all'andamento degli iscritti per rifiutare, appunto, una visione da club accademico e invece insistere nella crescita di uno strumento che penetra nella società, che si diffonde, che diffonde discussione, diffonde

sveglia critica.

Mi stupii che tutto questo avesse avuto nel P.R. reazioni deboli fino a un anno e mezzo fa: gli aspetti di enorme difficoltà di tutto questo, mi parvero sottovalutati.

Il Partito Radicale è una forza politica nota al Paese, nota oggi ai partiti come partito e, dunque, perché la proposta transpartitica sia credibile, perché la gente non la commenti con ironia - "è solo una trovata pre rimescolare le carte e per contare di più..." - devono essere osservate delle condizioni rigorose: e cioè che, innanzi tutto, l'uscita da quegli aspetti di immagine elettorale sia netta.

Io mi rendevo conto di quanto fosse dura da accettare questa rinuncia al carattere tradizionale di partito, questa immagine elettorale ma anche questo ruolo nella quotidianità, ciò che oggi nella politica fa immagine, anche tenendo conto che qui non ci sono solo giovanissimi ma c'è molta gente che ha delle carriere politiche, delle identità politiche, delle storie politiche e quindi che è abituata al confronto con i mezzi d'informazione. Ebbene ero consapevole che costruire questa prospettiva avesse dei grandissimi rischi e mi stupivo che potesse passare in modo indolore. I rischi sono evidenti. Ci sono dei rischi di identità: per le migliaia e migliaia di persone che per anni hanno votato (mi riferisco alla cifra con sei zeri, non una élite di quattro intellettuali) per il Partito radicale - in una società come quella del nostro Paese in cui il dibattito politico, la stessa lettura dei giornali, certo non facilita imprese che abbiano una forte connotazione di originalità - io capivo benissimo che questo avr

ebbe innescato una forte problematica, anche con angosce, come poi è stato palese per molti, una perdita di identità: "ma io finora sono stato queste cose, sono stato un militante radicale, ho cercato i voti per il Partito radicale...". Era prevedibile, dunque, che questo avrebbe creato dei problemi di identità per il personale più impegnato politicamente, cui sarebbe parso anche di disperdere quel patrimonio elettorale di voti faticosamente conquistato, su cui, quasi su carne viva, si davano delle coltellate smembrandolo. Era un po' come distruggere una creatura costruita (non parlo certo per me arrivato oggi) da tanti per anni e anni con grandissimo amore, sacrificio, e questo implicasse anche delle grosse difficolta' di carattere psicologico: Questo con un po' di sforzo l'ho capito e ciò non di meno, se questa prospettiva così ambiziosa deve andare avanti, questa prospettiva richiede tutti questi costi. Ho colto nel rapporto con tanti radicali, ad alto livello come a livello di base, delle reticenze. Ques

ta discussione dovrebbe forse essere ancora fatta fino in fondo e il congresso a cui io ho partecipato non mi pare che abbia esaurito fino in fondo questo dibattito portando alla luce una vera convinzione: cioè che ci sia - partecipata con tutto il rischio, il coraggio di questa scelta - la decisione che negli eventi elettorali così come si configurano tradizionalmente il Partito radicale, sia a nome proprio sia attraverso sigle in cui è riconoscibile un tentativo di riprendere un proprio elettorato, non c'è più. Io non mi scandalizzerei (e quante volte Marco e il Partito radicale hanno avuto delle intuizioni che erano anticipatrici rispetto alla società italiana) che si concluda con grande franchezza che questa soluzione non è matura per la società italiana, che questo può portare semplicemente alla scomparsa del Partito radicale senza che esso sia divenuto quel laboratorio del futuro che a noi ha attratto come elemento di straordinaria novità. Quindi io non mi scandalizzerei se con grande chiarezza molti r

adicali dicessero: "era un bel sogno, questo sogno però non ci convince, non è praticabile, finisce per essere un suicidio politico". Questo è un dibattito che io trovo di alto profilo, non è un dibattito surrettizio. Surrettizio sarebbe il fatto di avanzare la presentazione di liste in cui ci fosse, più o meno mimetizzata, una presenza elettorale del partito radicale. E già fu un difficile crinale, un crinale molto rischioso quello per le elezioni europee. Non si è perso ancora l'elemento essenziale di credibilità della prospettiva transpartitica, ma c'è stato indubbiamente il rischio che alcune presenze elettorali, in particolare le liste antiproibizioniste, apparissero a un occhio critico come il tentativo "sì sì il futuro è bello, il futuro è generoso, il transpartito lo faremo, però oggi attraverso questo strumento teniamoci in frigorifero il voto radicale". Per tanti franchi discorsi che io ho sentito fare in questi mesi sarebbe bene che questo discorso fosse ripreso e rifatto con grande chiarezza.

Più vicina a me è poi la vicenda dell'Arcobaleno: ho seguito dapprima con malcelata diffidenza i comportamenti di Francesco Rutelli poi nel corso di un anno abbiamo stabilito una grande amicizia politica e io sono convinto oggi che lui, Corleone, Adelaide, i radicali che ho visto impegnati nella vicenda Arcobaleno, affidano la loro appartenenza al Partito Radicale alla prospettiva transpartitica, mentre il loro impegno politico in Italia si colloca a tutto titolo tra i Verdi senza che questo impegno tra i Verdi abbia altrove una centrale di direzione: sono dei Verdi con i quali ora stiamo arrivando alla unificazione, con una piena e chiara integrazione e consonanza di vedute.

Ma perché è necessario rilanciare e chiarire la scelta del transpartito? E voglio dare una risposta proprio da Verde, dal punto di vista cioè della nostra possibile prospettiva politica.

Devono i Verdi oggi imboccare la strada del polo dell'"alternativa" o devono andare avanti con l'autonomia delle proprie forze?

Noi abbiamo scelto la via dell'autonomia, ma questa è fragile e provvisoria anche se oggi necessaria, come indicano anche i risultati dei referendum un mese fa. Di fronte a un ambientalismo non di generica filantropia, quando l'ambientalismo tira fuori le scelte dure, quelle che chiedono chirurgia (nel caso dei referendum c'erano qualche migliaio di miliardi in gioco nella chimica legata all'agricoltura o qualche migliaio di miliardi in gioco nelle fabbriche d'armi legate alla caccia) quando si arriva al nocciolo duro delle questioni che l'ambientalismo pone - la famosa riconversione ecologica dell'economia - che cosa abbiamo visto? Le forze tradizionali le abbiamo viste o ostili (fino a un Presidente del consiglio che si mette sotto i piedi anche un istituto della costituzione della Repubblica come il referendum, la segretezza del referendum) oppure le abbiamo viste paralizzate (socialisti, comunisti, li abbiamo visti paralizzati).

Da qui la necessità oggi di un percorso autonomo dei Verdi. Questa presenza si basa oggi su una ricchezza di contenuti che la priorità del punto di vista ambientale non annulla ma anzi enfatizza: dalla solidarietà contro le vecchie e nuove povertà all'arricchimento della democrazia come controllo dei cittadini.

E tuttavia questa via dell'autonomia, oggi necessaria, non è soddisfacente nel tempo più lungo. Finirebbe per essere una sorta di prospettiva autarchica che può forse gratificare l'orgoglio di qualche Verde, ma che alla lunga fornirebbe un modo deformato di leggere la realtà.

Più convincente mi sembra la prospettiva secondo la quale questa priorità verde, questa costruzione di un soggetto politico verde, è soltanto una fase di transizione al di là della quale riprende forza la costruzione dell'alternativa. Ma la costruzione dell'alternativa - non è superfluo ricordarlo - non è la somma di forze politiche esistenti. Questo io lo voglio dire con grande chiarezza: non ci vedo neanche il Partito comunista, il Partito comunista della costituente non c'è. Se qualcuno s'è illuso che lo potesse essere il Partito comunista del XVIII congresso, con il XIX congresso ha capito quanto all'interno di schieramenti tradizionali, di politica tradizionale, di tematiche tradizionali, lontano dal nuovo, sia tutt'oggi il Partito comunista.

E allora di qui emerge la splendida intuizione di questo laboratorio che il Partito radicale deve essere in cui si costruisce una cosa che non è la somma di forze politiche esistenti ma disaggrega e riaggrega, e disaggrega e riaggrega su contenuti, su rapporto con i cittadini ed è una prospettiva rispetto alla quale c'è soltanto da rimboccarsi le maniche e creare le condizioni per un dialogo. Che certo oggi è difficile perché gli interlocutori si sottraggono, perché non ci sono soltanto alcuni radicali che hanno paura di perdere il loro bagaglio di voti e la loro identità. Questo a maggior ragione è verissimo per il Partito comunista, questa marcia indietro precipitosa che è avvenuta con il XIX congresso risponde anche alla uguale paura disseminata in tutte le forze politiche di osare muoversi nel nuovo seguendo i contenuti più che appartenenze, i contenuti più che gli schieramenti.

Io credo che la prospettiva autarchica dei Verdi non è credibile, è una prospettiva fragile e quindi bisogna lavorare a una prospettiva di alternativa e continuo a vedere essenziale questo Partito radicale transpartitico e se non ci fosse questo, se questo Partito radicale decidesse di tornare a fare il partitino presentandosi anche alle elezioni politiche, bisognerebbe che Marco o qualcun altro ne fondasse un altro di laboratorio, appunto, che anticipi il futuro non come utopia, non come salotto, ma come concreta occasione d'incontro sui contenuti. Però alle condizioni di estrema pulizia, estrema nettezza che prima ricordavo.

In questo senso io sono pienamente interessato, continuo a essere pienamente interessato a questo Partito radicale, che se invece diventasse invece un centro di gente un po' presuntuosa, che pensasse da questo tavolo di muovere pedine dentro il Partito repubblicano, liberale o tra i Verdi di l'una o altra osservanza e anche dentro il Partito comunista, questo oltre a essere presuntuoso e illusorio e' noioso, e' inutile e io spero che nessuno abbia idea di fare questo.

Questo lo dico con grande amicizia, grande stima, grande speranza e nella volontà di poter lavorare a questa cosa che io trovo una scommessa che soltanto della gente un po' pazza, e però proprio in virtu' della sua pazzia estremamente lucida sulla realtà, poteva farsi venire in mente.

 
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