di Nikolaj Khramov
Senza alcun dubbio e' in corso una svola a destra in Urss.
Gli avvenimenti delle ultime settimane, culminati nelle dimissioni di Eduard Shevarnadze, che aveva dichiarato al quarto congresso dei deputati del popolo di non voler partecipare all'instaurazione di una dittatura, hanno convinto anche gli ottimisti ed i piu' esaltati ammiratori del vincitore del Premio Nobel che Gorbaciov non ha piu' alcuna intenzione di tenere il piede in due scarpe. Si sta spostando a destra.
Non sono stati Valeria Novodvorskaia ed il copresidente di "Russia Democratica" che hanno avvertito della minaccia di dittatura, ma la seconda personalita' dello Stato, ideatore della politica estera che ha incontrato il favore, ed i finanziamenti, dell'Occidente. E cio' vuol dire molto.
Gli ufficiali dei "berretti neri" - le truppe speciali del Ministero degli Interni che avevano occupato qualche giorno fa la Casa della Stampa a Riga - hanno dichiarato ai giornalisti di essere pronti "ad eseguire qualsiasi ordine del Presidente... per ristabilire l'ordine ed il potere dei Soviet a Riga... Liquideremo il potere attuale, sorveglieremo gli obiettivi strategici e giudicheremo i nazionalisti". Una serie di esplosioni avvenute
poco prima di Natale hanno come scopo evidente l'accelerazione di questo processo.
Ed ecco le ultime informazioni dai paesi baltici: le truppe aviotrasportate inviate dal Ministro della Difesa Yasov qualche giorno fa per "assicurare l'arruolamento in Lituania", si sono impadronite, mitra alla mano, delle tipografie e degli edifici pubblici di Vilnius. Il parlamento della Lituania e' circondato dalle truppe. Ci sono degli uccisi all'obitorio e dei feriti negli ospedali. Mosca fa marcia indietro, alle dicussioni con la Lituania e gli altri due paesi baltici, segue la pressione rigida ed il confronto militare.
Non si tratta ora di un colpo di stato ispirato dai colonnelli - le marionette gambe in spalla - e dal capo stesso della casa bianca sulla piazza d'Arbat. Il complesso militare e industriale, il Corpo degli ufficiali generali, l'apparato del partito comunista, sono allo stesso posto - al timone. Si prepara - gia' si capisce - non il colpo di stato, ma una svolta di 180 gradi nelle alte sfere.
La politica anti-glasnost ne e' una delle prove. Vediamo questa nuova politica nella nomina di Leonid Kravchenko a presidente del Comitato per la Radio e la Televisione. Come prima cosa ha annullato il programma "Vzgliad" ("Sguardo") che aveva intenzione di commentare le dimissioni di Shevarnadze. L'11 gennaio Kravchenko ha decretato la chiusura dell'agenzia di stampa "Interfax", che aveva osato informare obiettivamente sugli avvenimenti nei paesi baltici.
Non bisogna dimenticare che tutto cio' accade mentre si contano i giorni e le ore che mancano alla scadenza dell'ultimatum all'Iraq da parte delle Nazioni Unite. E' probabile che Garri Gasparov abbia ragione quando dice che "le esplosioni nel Golfo copriranno il ticchettio dei cingoli dei carri armati nelle strade di Vilnius, di Tblisi, forse di Mosca". Ricordiamo che la repressione della rivoluzione ungherese del 1956 fu accompagnata dalla crisi di Suez... Anche se Bush mette in guardia Gorbaciov contro l'uso della forza nei paesi baltici, non bisogna farsi illusioni sui governi della "democrazia reale", che hanno gia' rinunciato molte volte alla liberta' ed alla democrazia in diverse zone del mondo - da Monaco alla piazza Tien An Men - in nome dei profitti della "politica reale". Un altro aspetto e' piu' importante: qual'e' l'attitudine dei popoli di quei paesi verso quanto accade ora in Urss? Se gli elettori permetteranno ai loro governi di limitarsi alle dichiarazioni in caso di avanzamento della "sindro
me cinese" in Unione Sovietica o se Gorbaciov ed il suo entourage dovranno affrontare la reazione negativa dell'Occidente espressa in modo piu' concreto.
Le stesse persone che spediscono ora dei pacchi di aiuti alimentari per i Sovietici dovranno far fronte a tutti i crediti, a tutti gli aiuti al governo sovietico, a tutte le garanzie statali ai privati che hanno investito nell'economia sovietica, nel caso che il processo di democratizzazione in URSS sia definitivamente stravolto.
E noi, abitanti di questo paese, che faremo? Tesseremo le lodi della "mano di ferro", che promette di gettare una fettina di salame sul bancone? O usciremo invece per le strade come abbiamo fatto a gennaio e giugno dell'anno scorso, smetteremo di lavorare, rifiuteremo di fare il servizio militare nell'esercito del regime - useremo tutti i mezzi della resistenza non-violenta e di non lasciar passare la dittatura?
In effetti la situazione in Urss e' pericolosa. Forse piu' pericolosa di quanto non la vediamo noi Radicali, che abbiamo in progetto di organizzare il congresso transnazionale del Partito a Mosca. Quale sara' la nostra posizione ? Come criticheremo le azioni militari nei paesi baltici, lo slittamento verso la dittatura militare, verso il fascismo, forse? Dipendera', se non saremo costretti ad organizzare il 36-esimo congresso del Partito Radicale /o almeno dei Radicali sovietici/ sotto la mira dei mitragliatori nell'arena dello stadio centrale Loujniki a Mosca, con gli ospiti d'onore ed i rappresentanti delle altre forze democratiche.
C'e' vento a Mosca. Ma sono ben altri i venti che ci sono da uno o due mesi. Essi agitano gli slogan delle manifestazioni fasciste di "Pamiat" che sfilano per giorni in piazza Puskin: "Cacciamo i partigiani della Perestroika dalla terra russa!" "Piove a Santiago", questo annuncio alla radio era il segnale per l'azione atteso dai golpisti del generale Pinochet. Piove dietro la finestra del mio appartamento a Mosca, nonostante sia gennaio. E se il bollettino meteorologico della sera non fosse l'eco di quello del settembre 1973 in Cile?