Roma, 19 gennaio 1991
Ho letto la lettera firmata dai quattro miei amici radicali (Benedetto, Colombo, Giacchetti, Novelli) i quali contestano la scelta di molti radicali, non tutti, favorevole all'intervento armato contro l'Iraq. Io credo che definire "penose" o "arruffate" le argomentazioni di chi la pensa e sceglie diversamente è veramente poco rispettoso e tollerante. Da sempre noi radicali abbiamo avuto una posizione diversa sia dalle politiche nord-sud e ovest-est praticate dagli USA e dall'Europa, che dalle posizioni filo-sovietiche e terzomondiste che hanno caratterizzato i movimenti pacifisti in Italia dal dopoguerra ad oggi. Anche nei primi anni '80, all'epoca dei missili a Comiso eravamo fuori da questi due schieramenti. Invano abbiamo cercato di affermare, con metodi nonviolenti, una politica d'ingerenza, sia ad est che a sud, per l'affermazione e la difesa della vita e dei diritti umani. Questa politica è stata battuta nel conflitto in corso. In compenso vi è la rilevante novità dell'ONU che per la prima volta ha fun
zionato. Sono stato tentato di non schierarmi e di chiamarmi fuori, ma non è possibile. Non posso stare con Saddam, anche se "abbiamo" contribuito a "crearlo", e non posso stare neanche in uno schieramento pacifista incapace di proposte concrete. Ma c'è di più. Questi pacifisti, salvo Greenpeace, non manifestano contro Saddam. Per la Lituania, salvo i Verdi, avviene la stessa cosa. Questi pacifisti anti-USA continuano a dimostrare, come sempre, un disprezzo per la democrazia, i diritti umani, e la giustizia. A loro parere sono tutte "mascherature" del potere e non valori per la cui affermazione e difesa occorre lottare giorno per giorno. "Yankee go home" è rimasto lo stesso, invece allo slogan "meglio rossi che morti" è stato sostituito "meglio irakeni che morti". Io non ci sto.
Antonio Lalli