C'era una volta presso il Ministero della difesa italiano una commissione preposta ad approvare o respingere le dichiarazioni di obiezione di coscienza presentate dai giovani di leva che intendevano prestare servizio civile. Da parte dei commissari era solito si formulasse questa domanda ai "candidati" obiettori:
»Tu dici di essere nonviolento. Ma se tu rientrando in casa vedessi un energumeno intento a violentare tua madre, e trovassi a portata di mano la pistola da quell'energumeno incautamente abbandonata, cosa faresti? Fu per questo genere di domande -insidiose quanto idiote- che il presidente stesso di quella Commissione (un ammiraglio) si dimise sdegnato dal suo incarico.
Quale fosse stata la risposta del giovane, egli avrebbe visto rigettata la sua domanda di prestazione del servizio civile: sia che avesse dichiarato che avrebbe sparato, sia che avesse risposto "non avrei sparato" (ammettendo che non avrebbe impedito il compiersi di una violenza, il suo "grado di nonviolenza" non sarebbe stato sufficiente).
Credo che il parlare di nonviolenza come è capitato di veder parlare in questa conferenza, sia più o meno dello stesso tipo.
Ho il vantaggio di trascorrere massima parte del mio tempo a 1.500 km. di distanza da Roma. Vantaggio duplice: nessuno potrà imputarmi di essere condizionato dall'enfasi di ciò che i radicali possono aver detto al Parlamento italiano o oltrove (non posso ascoltare Radio radicale, nè tv o radio italiane); ho esperienza di ciò che sta accadendo in un altro paese che ha dei militari propri in Arabia.
Qui, cattolici o gente di sinistra (come loro si dichiarano -ma qui cosa significa...?), anarchici o pacifisti le manifestazioni per la pace le hanno fatte davanti all'ambasciata irakena, e senza bandiere palestinesi.
Non voglio ripetere ciò che ha detto Cicciomessere, molto bene.
Dirò soltanto qualche cosetta: due noterelle.
Che la cosiddetta guerra in corso sia un'operazione di polizia è certo: non ci piove. E questo cambia molto, moltissimo.
E' una strage, ma non è una guerra.
Una strage operata da forze armate, che sono tutte "nere", o "rosse" che dir si voglia. L'esistenza stessa in una comunità di un'organizzazione militare, quale essa sia, è da combattere, giacché costituisce un limite alla piena esplicazione della democrazia. Per me antimilitarista il solo esistere di una organizzazione militare o comunque armata è un ostacolo alla democrazia, e va combattuto. Per me antimilitarista e nonviolento.
Non serve aver letto Gandhi per sapere alcune cose non tanto della sua filosofia -che non è mai esistita, perché egli non ha mai voluto esistesse- ma della ratio dei suoi esperimenti con la verità. Basta aver visto il film sulla vita del Mahatma, che a mio parere è tutt'ora una delle sue biografie più oneste e corrette. E quel film credo lo abbiano visto tutti, non foss'altro perché per un lungo periodo andava di moda andare a vederlo.
Ebbene, in nome del diritto, in nome della giustizia che non esiste se non è diritto, Gandhi non solo non alzò un dito per impedire la prima guerra mondiale, ma organizzò contingenti militari di indiani per l'esercito inglese (ed egli era già simbolo di nonviolenza almeno da dieci anni); e aveva fatto lo stesso nella guerra contro i boeri, in Sudafrica.
Ancora, sempre a proposito di Gandhi, la "scala di valori" che egli soleva enunciare NON era affatto
1.Nonviolenza;
2.Nonviolenza solo come strumento, ma che rischia di essere violenta;
3.Codardìa.
La scala di Gandhi era invece:
1.Nonviolenza;
2.Violenza;
3.Codardia.
I testi gandhiani dove è detto questo abbondano; ma anche nel film evocato è chiarissimo.
Questo non toglie che quelle scelte di Gandhi (in quel momento e in quella situazione) possano essere considerate errate -anche se egli non lo ammise mai; come non toglie che Gandhi guardasse alla violenza come a cosa da rifiutare totalmente PERCHE' INFINITAMENTE MENO FORTE ED EFFICACE DELLA NONVIOLENZA.
Ma Gandhi diceva testualmente (ed nel film c'è) che "SE DI FRONTE ALLA VIOLENZA DEVO SCEGLIERE TRA VIOLENZA E CODARDIA, NON HO DUBBI: SCELGO LA VIOLENZA".
Si può essere o non essere d'accordo con Gandhi, e certamente si può essere pienamente nonviolenti senza essere pienamente o per niente d'accordo con Gandhi (ma quest'ultimissima affermazione è un po' troppo teorica).
Ma non si può attribuire a Gandhi o a supposti principi della nonviolenza concetti o codici di comportamento che appartengono ad altri e ad altro.
Sarebbe meglio andarci piano.
Se un tale entra dentro casa mia e si porta via della roba, o mi spacca la testa (se non esistesse la patologia della vita collettiva non esisterebbe vita collettiva alcuna) io lo denuncio, con la piena consapevolezza che potrebbe essere pizzicato e sequestrato, cioè violentato nel suo diritto alla libertà. Allo stesso modo, se un agente di polizia mi picchia durante un'azione nonviolenta, travalicando i limiti che la legge gli impone, io lo denuncio, con la piena consapevolezza che potrebbe essere arrestato. E proprio in nome della nonviolenza.
Saddam Hussein è stato denunciato per i delitti da lui commessi (sempre troppo tardi), e dopo mesi di opera diplomatica -ma non di attacco nonviolento- è stato fissato un ultimatum, che egli non ha rispettato nemmeno se l'intimazione è avvenuta ben prima della scadenza dell'ultimatum medesimo.
Quell'ultimatum gli è stato posto dall'ONU, con il concorso di quasi tutti i paesi aderenti all'Organizzazione.
In termini di legalità la violenza che viene effettuata ora ha lo stesso valore di quella esercitata arrestando e detenendo il poliziotto che eccede i limiti della legge.
Ma "ci sono gli innocenti che periscono", si dice. (La locuzione è caritatevole, ma assai poco nonviolenta: non ho mai ritenuto sia PIU' tragica e condannabile l'uccisione di un innocente che quella di un colpevole.) Ci sono i famigliari del poliziotto di cui all'esempio, che da "innocenti" possono patire la fame: a causa di chi ha agito in piena nonviolenza e per il rispetto della legalità. Quei famigliari patiscono le conseguenze di una colpa non loro: sono forse "oggettivamente" responsabili?
Si tornerà a dire: "il paragone non funziona, perchè in Irak la gente muore in quantità".
Forse per molti di coloro che sbandierano la nonviolenza il problema è il volume, cioè la quantità di violenza; e quindi la violenza si può accettare purché non superi il livello di guardia. Forse se la violenza è poca è un po' meno violenza; forse se muoiono solo i "colpevoli" la violenza è meno violenza. E così sarebbe stato magari MENO violento far fuori il solo Saddam Hussein mandandogli uno dei tanti killer della Cia. Nessun "innocente" sarebbe perito.
Perché no?
Insomma, non ci siamo.
Per quanto riguarda il voto dei parlamentari italiani con tessera radicale, Cicciomessere ha detto bene, e lo sottoscrivo.
L'uso delle armi e della forza è sempre produttore di violenza; sempre.
Le vie della nonviolenza non siamo riusciti a praticarle, in questa occasione, per centomila motivi seri e grossi. Abbiamo fallito, la nonviolenza -o meglio la via nonviolenta alla legalità- è stata sconfitta.
Ma la codardia di votare NO, ai parlamentari italiani con tessera radicale non l'avrei perdonata. E Gandhi, il cui volto è simbolo del Partito radicale, tanto meno.
Paolo Pietrosanti
Praga, 22 gennaio 1991