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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Rita - 28 gennaio 1991
Questo intervento e' stato fatto il 23 gennaio u.s. nell'incontro indetto dalle donne del PCI, a Roma presso la Casa della Cultura. Ritenendo non irrilevante il suo contenuto ai fini del dibattito e per la Conferenza partito radicale e per la Conferenza donne viene trasmesso in ambedue le sedi di Agora' (Roberta Tatafiore).

Da quando, con l'invasione del Kuweit, è scoppiata la guerra del golfo, la mia mente ha girato intorno a due figure femminili del passato, Wirginia Woolf e Teresa Noce. All'avvicinarsi dei venti di guerra, della seconda guerra mondiale, fu chiesto a Wirginia Woolf di scrivere delle parole di pace. Lei rispose con il saggio "Le tre ghinee" e scrisse che in quel momento il suo dovere era quello di ribadire le ragioni del proprio sesso per il riscatto culturale, l'autonomia, la libertà. Scrisse che per questi obiettivi, e solo per questi obiettivi, giudicava efficace spendere le sue tre ghinee contro la guerra. Al cadere delle prime bombe, si uccise. Teresa Noce, militante comunista, reagì all'incombente guerra abbracciando la causa del pacifismo. Girava per tutta Europa, da una manifestazione all'altra, DA una conferenza all'altra, dedicando ogni sua energia al tentativo di scongiurare la guerra. Lei sopravvisse e condusse una vita di autentica comunista, gradualmente emarginata dal suo partito. Sono due gesti

di azione: l'uno contiene la forza della lucidità suicida, l'altro del vivere coerentemente speso. Ma entrambi questi gesti non hanno evitato la guerra. Quando arriva la guerra, si invera al massimo livello emotivo e mentale, per uomini e donne, una frase di Duerremat: "Possiamo accettare il presente perchè non conosciamo il futuro".

Dopo i primi bombardamenti su Bagdad ho pensato: il massimo sforzo che devo fare è quello di andare oltre l'accettazione del presente, e cercare di vivere il presente. E' un dovere che sento verso le donne e gli uomini con i quali condivido il presente, e per me la condivisione con le donne viene prima, nel senso che guida il mio modo di stare nel presente con gli uomini.

E qui ho sentito mancarmi la terra sotto i piedi. Come è possibile in una situazione di guerra, di questa guerra, mantenere fedeltà al mio sesso? Ho paura, angosiscia che la guerra taglierà questa radice. Me lo ricorda benissimo mia madre, che ha 84 anni e di guerre ne ha vissute due, la quale in questi giorni mi dice:"le de guerre hano rappresentato un enorme balzo avanti per la questione femminile, hanno però tagliato alle radici il femminismo".

Io non voglio che questo taglio avvenga.

Allora: voglio creare legame politico tra donne in questa situazione di guerra. Il primo luogo da cui scelgo di parlare è qesto incontro di donne indetto da comuniste, le quali, per convocarlo hanno detto:"noi abbiamo votato contro la guerra...costruiamo dovunque comitati di donne per la pace...prepariamo insiemo una grande manifestazione nazionale".

Io sono qui per dire che non voglio parlare di pace ma di guerra che non mi piace la definizione "donne per la pace". Voglo usare altri termini: neutralismo e non pacifismo; interventismo per definire la partecipazione italiana alla guerra nel golfo. E voglo pensare che siamo qui per discutere di politica e non per riconoscersi come "donne per la pace".

Non sono interventista: Sono tra coloro che, pur riconoscendo l'autorit dell'Onu, avrebbero voluto portare l'Italia in una posizione neutralista. Ci ho pensato a lungo prima di maturare questa decisione. Per prenderla o dovuto scavare nella memoria e scoprire che precedenti avesse. Mi sono ricordata le mie posizioni in quella piccola (ma poi neanche tant piccola) guerra che stata il conflitto tra terrorismo di sinistra e stato democratrico. Allora ero del partito della trattativa, ho lottato per quanto ho potuto contro "la fermezza". Ero nemica della lotta armata, la consideravo una aggressione alla convivenza civile, e lo era. Non condividevo l'ideologia comunista che la muoveva. Non ho però accettato i metodi con cui l'ordine costituito si è difeso, e nel diferndfersi, le ha fatto guerra. Pur saend che, alla fine, con quei metodi guerrieri, la "democrazia" (e qui la metto tra virgolette) avrebbe vinto. La mia non è stata una testimonianza, ma un tener vivo - con altre, non ero sola - i valori democratici i

n cui credo: in democrazia non ci può essere unanimismo, c'è un diritto all'opposizione che deve essere mantento c'è bisogno di gruppi socali e politici che prefigurino un altro ordine, oltre lo stato presente. In questa posizione allora scelsi, posso dire alcune di noi scelsero, la neutralità attiva. E pagò per mantenere in vita la comunità femminista, anche se ricordo le censure subite, le lacerazioni vissute, le perdite inevitabili di quella lotta di resistenza. E nella lotta di resistenza non ho mai smesso di discutere e avere na relazione politica con altre del fronte opposto, con le guerriere della lotta armata, nei modi in cui ciò era possibile senza violare la legalità, con le donne che sostenevano il "fronte della fermezza". Non ho mai smesso di intessere relazione con alcne comuniste, e in particolare con alcune comuniste dell'Udi. Questa relazione era politica, per la costruzione dell'autonomia politica delle donne, quel bene supremo che è la mia radice esistenziale Oggi sono iscritta - e non me n

e pento affatto, proprio in questo momento - ad un partito largamente interventista, sia pure in base alla conseguenzialità della nonviolenza, il partito radicale, che ha interventisti e neutralistri al suo interno, e so della coerenza di una logica interventista. Così come so, e ho sempre saputo, della inadeguatezza di una logica pacifista. Specie se scelta dalle donne, o loro attribuita. A questo proposito voglio dire che ritengo vergognoso il titolo dell'articolo apparso oggi (23.1) sul Manifesto "Pace, parola di donna", in cui si dà conto della manifestazione ad Amman sotto l'ambasciata degli Stati Uniti. Nel sommario si legge che erano "centinaia di donne, alcune con abiti tradizionali, con rami d'ulivo, bandiere giordane, palestinesi e irachene". No, io non voglio stare oggi sotto le bandiere irachene. Mi chiedo, e vi chiedo, se è qusto il pacifismo al quale vogliamo legare il nostro desiderio di agire da donne, politicamente. E, d'altra parte, il neutralismo attivo - che ci permetta di prefigurare un

ordine e di frenare l'oltrepassamento dei limiti innescato da questa guerra - mi sembra tutto da costruire. ROBERTA TATAFIORE

 
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