Entro nel dibattito sul Golfo su sollecitazione di Giorgio Inzani, e più che altro per rispondere a Cicciomessere, la cui posizione è abbastanza articolata per essere degna di nota. Confesso che altri interventi "interventisti" mi sembrano abbastanza risibili, compresa la dichiarazione di voto dell'autorevole onorevole Emma Bonino, che ha detto: "Diritto internazionale che si deve affermare anche con l'uso della forza in extrema ratio quando tutte le armi della diplomazia ... e delle pressioni internazionali siano fallite e le armi della nonviolenza attiva ... non siano state neppure tentate". Mi pare che queste parole si commentino da sole, ma visto lo stato di obnubilamento intellettuale sceso sulla maggior parte dei radicali mi permetto di fare notare che da quelle parole segue che ogni volta che le armi della nonviolenza non sono state tentate (cioè sempre) si deve affermare il diritto internazionale con la forza. Per giustificare l'uso della forza a questo punto basta invocare non solo l'incapacità d
i usare la armi della nonviolenza, ma persino la non volontà di farlo.
Ma veniamo al sodo: agli interventi di Cicciomessere su Agorà, e in particolare a quello del 20-Gen-91. Anche io non sarò breve, e anche io esporrò il mio pensiero per punti.
1 - Premessa: la responsabilità della scelta del si.
E' ovvio che la nonviolenza non è acquiescenza passiva, ma resistenza all'ingiustizia e alla prepotenza. Ma non è questo il punto in questione.
Parto da un altro punto. Quale responsabilità si sono assunti, di fronte all'Italia, all'umanità e alla storia, quelli che, come Roberto, hanno votato a favore dell'intervento italiano nel Golfo? Quella di ordinare anche agli italiani di compiere un'azione di guerra (su guerra e azione di polizia tornerò dopo) contro l'Iraq. Come pressappoco diceva Strik Lievers lunedì 21 a Milano, ogni pallottola sparata, ogni bomba gettata, ogni morto ucciso da un soldato italiano sarà effetto di quell'ordine; è come se chi ha votato si sparasse in prima persona ogni pallottola e ogni bomba. E bisogna anche aggiungere che chi ha votato si sarà responsabile anche della morte di ogni italiano mandato a morire. Perché assumere questa responsabilità? Per non essere passivi, non essere codardi di fronte alla prepotenza di Saddam Hussein?
Se così fosse, Roberto e compagni del si, potrei avere stima della vostra scelta se voi in prima persona andaste al fronte e sceglieste di resistere alla prepotenza con la violenza mettendo a repentaglio la vostra vita: è troppo facile non essere codardi mettendo a repentaglio la vita degli altri standosene comodamente seduti in un parlamento.
Citate Gandhi. Egli approvò più di una guerra. Ma alla prima guerra che approvò, nel 1899, prese parte personalmente come volontario organizzando un corpo sanitario al fronte: non votò Perché ci andassero gli altri.
Ma, di nuovo, non è questo il punto. Il punto è: non c'era altra via tra codardia e violenza? Veramente le vie della nonviolenza si erano dimostrate impraticabili?
2 - Le possibili alternative nonviolente. Demagogia?
La risposta all'interrogativo precedente (che ritengo essere negativa) non la do io, ma la lascio dare ai deputati e senatori del gruppo parlamentare federalista Europeo. Lo stesso Cicciomessere, al punto 2 dell'intervento del 20-Gen-91, ci ricorda che essi chiedevano "di usare fino in fondo la forza non militare e in particolare di attivare una grande offensiva di informazione rivolta al popolo iracheno e arabo...". Chiedevano "inoltre al governo di annunciare la convocazione non di una conferenza di pace sul medio oriente" (...) ma di una "Conferenza sui diritti della persona e sulla sicurezza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente".
Sembra allora che per i deputati radicali esistesse un'altra via né codarda né violenta che si poteva tentare. Ma essa non è stata tentata; dunque le vie della nonviolenza, non essendo state messe alla prova, non possono essere dimostrate impraticabili.
Ma se si ritiene che esistano ancora delle vie nonviolente da tentare per opporsi al violento, assumere la responsabilità di ricorrere alla violenza prima di averla tentata non ha nessuna giustificazione.
Oppure le cose stanno in un altro modo: neppure chi ha proposto questa via alternativa ci credeva. Le ha proposte per restare in qualche modo fedele all'immagine della nonviolenza, ma neppure lui credeva che si trattasse di vie percorribili: di conseguenza ha votato, alla fine, a favore dell'intervento. Allora, in questo caso, le proposte dei deputati del gruppo federalista sono puramente demagogiche e demagoghi sono coloro che le hanno avanzate votando si.
Che le cose stiano effettivamente così male, lo fa pensare sempre Cicciomessere, che il 15 gennaio scrive: "Se non ci saranno cedimenti nel fronte anti Iraq, un minuto prima della scadenza, quando avrà preso atto che non vi sono alternative alla sconfitta, Saddam dovrà cedere". Questa è la nota logica del "si vis pacem para bellum", del mostrare i muscoli per intimidire l'avversario, dell'ingigantire la minaccia per scoraggiare l'avversario, logica non compatibile con la via della nonviolenza, del tentare fino all'ultimo di mettere in atto metodi alternativi rispetto al confronto militare; logica che non funziona, come abbiamo sempre detto da quando conosco il PR, cioè dal 1967. Infatti non ha funzionato. E che non ha funzionato Cicciomessere sembra forse riconoscerlo il 20 gennaio, quando scrive: "Evidentemente i suoi (di Saddam) valori e le sue logiche sono diverse dalle mie". Questo, conoscendo Cicciomessere e Saddam, appariva ovvio anche a un bambino. Possibile che Cicciomessere abbia dovuto trovarsi
davanti alla guerra per capirlo?
3 - L'assurdità delle motivazioni di Cicciomessere.
Ma nemmeno la guerra riesce a scuotere Cicciomessere più di tanto.
Tant'è vero che il nostro continua a giustificare il suo si. Come? Fondamentalmente con due motivazioni.
La prima è che di fatto al momento del voto era già stata presa (da altri, spero) la decisione di passare all'uso della forza militare. Dice anche che se si fosse trattato di votare prima dell'inizio del conflitto, al Congresso americano come alla Camera italiana, avrebbe votato no.
E che cos'è che giustifica il si, a questo punto? Il puro passaggio del tempo? O il fatto che qualcun altro abbia iniziato l'azione militare? Ma come mai la stessa azione militare, prima di essere iniziata non è da approvare, e dopo che qualcuno, senza chiedere il mio parere, l'ha iniziata, è allora da approvare? E' una logica ben strana.
Schematizzerò la situazione così.
Ci sono quattro persone A, B, C, D. A dà una randellata a B e gli ruba la borsa. B, C e D concordano che si tratta di un'ingiustizia, e cercano di isolare A. C dice ad A che se non molla la borsa entro mercoledì lo prenderà a randellate, probabilmente assieme a B e D. D pensa che prima di prendere a randellate A si debbano tentare altri modi per fargli mollare la borsa, e che ciò sia possibile e che se fosse consultato, esprimerebbe parere sfavorevole al ricorso alla randellata. Ma C, senza consultarlo, copre di randellate A, che risponde. A questo punto anche D prende il randello e, insieme a C e B, si mette a menare randellate contro A. Quale motivo può aver spinto D dalla non approvazione della randellata a prendere anch'egli il randello? L'unica che vedo è l'imitazione, che non è un motivo razionale né nonviolento. Infatti, in base a quale motivazione razionale un atto, che prima che qualcuno abbia iniziato a compierlo non è approvabile, può diventare approvabile e anzi obbligatorio una volta che qual
cuno abbia iniziato a compierlo? Come può il solo fatto che sia stato iniziato renderlo obbligatoriamente approvabile?
La seconda argomentazione di Cicciomessere fa perno sull'idea che votare si sia un atto di coraggio.
Lascio a Cicciomessere la convinzione (che non condivido) che votare si sia stato un gesto coraggioso. Ma un gesto può essere coraggiosissimo e non aver nulla a che fare con la giustizia.
Per compiere una rapina in banca ci vuole senz'altro coraggio, ma questo non dimostra che le rapine siano giuste; per invadere il Kuwait e tenerlo contro tutta la Comunità Internazionale occorre più coraggio che per votare sì nel parlamento italiano, ma ciò non dimostra che Saddam Hussein abbia ragione.
4 - Che cos'è la guerra?
Cicciomessere poi, e in compagnia di Andreotti, ci vuole convincere che non si tratta di una guerra .
Ma che cos'è una guerra? La guerra è un'interazione tra due o più stati nella quale ciascuno di essi usa mezzi atti a distruggere vite umane o beni di un altro stato e attui effettivamente distruzioni attraversi tali mezzi. Non vedo come una situazione di questo tipo possa non essere una guerra solo perché approvata dall'ONU. L'approvazione dell'ONU non può cambiare la natura dei fatti, può al massimo giustificarli, per chi ci crede.
Il discorso che fa Cicciomessere sulla polizia non può convincere chi lo analizzi con un minimo di attenzione.
Prima di tutto è inaccettabile che "se un cittadino spara o uccide un ladro compie il reato di omicidio... se lo fa la polizia non è un reato e nessuno ritiene che il poliziotto... sia un assassino". Se un poliziotto sparasse o uccidesse un ragazzo disarmato che sta portando via due mele da un fruttivendolo, per la coscienza dei più egli sarebbe un assassino, e per quanto ne so, non essendoci resistenza da parte del ladro, tale azione sarebbe anche un reato. Ma lasciamo perdere, per favore, il termine assassino, carico di connotati emotivi e valutativi, e immaginiamo un poliziotto che, come "extrema ratio" spari a un uomo che, armi in pugno, stia rapendo un bambino inerme e, per liberare il bambino, uccide il rapitore. Indubbiamente questo omicidio non sarebbe un reato, e probabilmente sarebbe anche giustificato: ma sarebbe assurdo dire che non si tratta di omicidio, e che il poliziotto in questione non ha ucciso nessuno. Il giudizio giuridico o morale può legalizzare o giustificare un atto o un fatto, no
n cambiarne la natura.
Confondere i fatti con i giudizi sui fatti non fa altro che nascondere i fatti dietro una cortina di fumo, e ci allontana da quella verità la cui ricerca dovrebbe essere il primo dovere del nonviolento.
Analogamente ciò che sta accadendo nel golfo, dove un certo numero di stati in appoggio all'ONU da una parte, e l'Iraq dall'altra, usano reciprocamente mezzi che distruggono vite umane o beni in genere, non può non essere definito una guerra: non farlo sarebbe solo una confusione mistificatoria. Semmai la si può ritenere una guerra giustificata, qualora si scopra che esistono guerre giuste. Ma allora questo è il punto che dobbiamo discutere, perché comunque di guerra si tratta.
E poi siamo sicuri che l'analogia tra quanto sta accadendo nel Golfo (non la chiamo guerra per far contenti Cicciomessere e Andreotti) e la polizia sia sostenibile?
L'atto di violenza (che può arrivare fino all'omicidio) compiuto da un poliziotto è giustificato quando sia compiuto per salvaguardare il diritto colpendo chi lo viola al fine di impedirgli di compiere un reato, ma non sarebbe ritenuto giustificabile se colpisse una persona che non compie alcun reato.
Ma in ciò che accade nel golfo si bombardano intere città uccidendo e danneggiando persone - ad es. bambini - che non hanno a che fare con la prepotenza da combattere o il "reato" da impedire: l'invasine del Kuwait. Per questo, perché vengono colpite persone che non hanno alcuna responsabilità per l'atto sanzionato, l'analogia con la polizia non è sostenibile.
5 - Diritto e Nonviolenza
In entrambi gli interventi di Cicciomessere, come in altri, serpeggia l'identificazione tra diritto e nonviolenza.
Ciò, salvo la precisazione che si parli di diritto naturale, o razionale, o cose del genere, è inaccettabile. Porta a conseguenze assurde e alla negazione dell'idea e delle possibilità stesse della nonviolenza.
Immaginiamo un italiano che nel 1939 compisse atti discriminatori a danno di un ebreo. Se identifichiamo diritto e nonviolenza ne conseguirebbe che dato che il diritto allora vigente prevedeva la discriminazione degli ebrei, il nostro ipotetico italiano non solo avrebbe compiuto atti giustificabili, ma addirittura atti nonviolenti, il che è manifestamente inaccettabile.
La nonviolenza, la stessa possibilità ideale della nonviolenza, si basa sulla distinzione, la separazione, tra diritto positivo e giustizia. E' proprio la capacità del nonviolento di seguire la giustizia contro il diritto che fonda la principale arma della nonviolenza, che costituisce anche un aspetto fondamentale della sua identità: la disobbedienza civile. Il culto del diritto, la sua equiparazione con la nonviolenza porta alla negazione di qualsiasi possibilità alla disobbedienza e al conservatorismo più grigio.
E' dovere del nonviolento, prima di rispettare il diritto, chiedersi di che diritto si tratti; se sia congruente con la giustizia o no; se rappresenti le aspirazioni dell'umanità o copra gli interessi di una sua parte privilegiata.
Non si può, per tutto questo, identificare nonviolenza e diritto internazionale. Mi sembra ovvio che è sempre meglio il diritto internazionale che Saddam Hussein: ma i nonviolenti non possono idolatrarlo senza chiedersi se corrisponda effettivamente a giustizia, e se sia migliorabile o agire per migliorarlo.
6 - Nonviolenza e Partito Radicale
Negli interventi di Cicciomessere e di altri serpeggia anche un'altra identificazione, molto più innocua: quella tra Nonviolenza e Partito Radicale. Spesso si trovano argomentazioni che sembrano presupporre un assioma. Tutto ciò che è radicale è nonviolento, e tutto ciò che è nonviolento è radicale. Si tratta di un'identificazione innocua semplicemente perché ridicola. Da quest'assioma discende che se i leader radicali un giorno propongono di sbudellare le vecchiette si tratta di un atto nonviolento.
7 - L'atteggiamento di Cicciomessere: snob o sommo sacerdote?
Negli interventi di Cicciomessere serpeggia poi una sorta di orgoglio, di sentimento di superiorità. Ad es.: "Io penso che la storia cominci proprio quando si ha il coraggio di prendere posizioni impopolari. Solo allora... si è costretti ad usare l'intelligenza al di spora dei luoghi comuni..." ecc...
Solo lui e i pochi come lui si ergono col loro coraggio e la loro rara intelligenza al di sopra dei luoghi comuni del volgo - radicale e no - che non avrebbe votato si, e che sempre più viene accomunato all'anonimo ed esecrabile volgo dei cosiddetti pacifisti (che tra l'altro vengono sempre più considerati - non proprio da Roberto, però - sostenitori di Saddam Hussein). Sembra un bello snobismo, di chi deve comunque sentirsi diverso e al di sopra degli altri per essere a posto con se stesso.
Ma poi si scopre che c'è qualcosa di più: Cicciomessere è il sommo sacerdote: "paziente religione del dialogo". Tant'è vero che egli ha il potere di dichiarare chi ne fa parte e chi no: "chi esige una presunta coerenza ai suoi presunti dogmi nonviolenti mostra un furore catechistico che è estraneo alla paziente religione del dialogo...". Come un sommo pontefice o addirittura un intero concilio ecumenico, Cicciomessere può stabilire da solo quali sono gli atteggiamenti ortodossi della vera religione, e quali quelli estranei che configurano l'eresia; e può naturalmente anche stabilire che la coerenza degli altri è solo "presunta".
8 - La scommessa del Partito Radicale.
"Ecco - scrive Cicciomessere - sta proprio in questo interrogativo la scommessa del Partito Radicale: organizzare la cultura della nonviolenza..."
Si. Ma quale cultura della nonviolenza? Quella di Roberto Cicciomessere e di Emma Bonino? Una cultura in cui lo stesso fatto cambia natura a seconda del giudizio che si dà di esso? In cui, con la scusa che la vita è fatta di contraddizioni, si può sostenere che votare la guerra è un gesto nonviolento? Dove l'avere abbandonato l'ideologia è identico a tollerare tutte le contraddizioni tramutando a piacere ogni concetto nella sua negazione, e imboccando una strada che potrà portare a dire: "La guerra è pace, la libertà è schiavitù", come è scritto sulla facciata del Ministero della Verità nel "1984" di Orwell?
Temo che di tale cultura il mondo non abbia alcun bisogno, anzi, che gli farebbe molto bene liberarsene.
Ho ancora un filo di speranza che qualcuno mi mostri che queste mie ultime considerazioni sono sbagliate, ma questo filo diventa sempre più tenue man mano che passano i giorni e medito su queste cose.
Aligi Taschera, 26/1/91