Non voglio neppure tentare di intaccare le inossidabili certezze di Aligi Taschera; mi preme invece chiarire una affermazione che, essendo contenuta in una dichiarazione di voto di pochi minuti pronunciata "a braccio", era necessariamente sommaria e didascalica.
Dicevo allora e continuo ad affermare oggi che costituisce un atteggiamento di preoccupante presunzione politica (oltre che di sterile ginnastica mentale) pretendere l'impiego delle armi della nonviolenza da parte di una classe dirigente e di uno Stato (in questo caso gli USA) alla cui cultura politica queste armi sono estranee e quindi indisponibili anche solo in via ipotetica.
Tutti sapevano e sanno quindi che le decisioni dell'ONU sull'embargo, prima, e sull'uso di "tutti i mezzi" per indurre l'Iraq a ritirarsi dal Kuwait, dopo, avrebbero potuto comportare, se non fosse intervenuto un diverso atteggiamento dell'Iraq, l'impiego della forza militare. Schierarsi quindi "qui ed oggi" a favore delle risoluzioni delle Nazioni unite vuol dire accettare il rischio dell'uso della forza militare. Purtroppo "qui ed oggi" le uniche alternative al sostegno dell'azione militare autorizzata dall'ONU sono le posizioni, pur legittime, di neutralità o di mera testimonianza. Non prendo evidentemente neppure in considerazione gli atteggiamenti di obiettivo, anche se non confessato, sostegno a Saddam Hussein.
Io ho scelto di schierarmi, oggi, a favore di quel piccolo passo, sicuramente contraddittorio e drammatico, verso l'affermazione di un nuovo diritto internazionale che è stato compiuto con l'approvazione e la piena applicazione, per la prima volta nella storia del dopoguerra, di ben 12 risoluzioni delle Nazioni Unite, perché solo attraverso il rafforzamento e la legittimazione di quella istituzione sarà possibile, domani, che la forza della nonviolenza politica rappresenti una effettiva alternativa alla forza delle armi.
Ma soprattutto ho scelto di militare in un partito che ha deciso di rifondarsi come soggetto trasnazionale proprio per riuscire ad affermare nella cultura politica degli Stati e delle classi dirigenti internazionali la maggiore forza ed efficienza della nonviolenza politica.
E' espressioni di profondo e speriamo non irreversibile "obnubilamento intellettuale" pensare che siano praticabili, che si possano tentare le "vie della nonviolenza" semplicemente enunciandole o proclamandole e senza essere ancora riusciti ad affermare nel maggior numero di Paesi, attraverso la nonviolenza, il partito della nonviolenza.
Nei documenti parlamentari presentati e nelle decisioni di voto assunte (quelle del si come del no) abbiamo avuto l'umiltà di rappresentare e prefigurare un percorso ed uno scenario possibili di politica nonviolenta che è affidato tutto al nostro impegno, e non alla pretesa che sia Bush, per folgorazione divina, a doversene fare carico.
Dico bene affidato tutto al nostro impegno, perchè a parte
continuare a discutere se nell'atto di testimonianza del voto vi era più nonviolenza in alcuni no o in alcuni sì, il problema grande come una casa che abbiamo di fronte è
il CHE FARE per avanzare anche solo di un millimetro nella direzione della nonviolenza politica; problema che a mio avviso è o dovrebbe essere comune a molti dei no e a molti dei si.