Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
dom 05 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Partito radicale
Cicciomessere Roberto - 31 gennaio 1991
Golfo e Orwell
Superando il fastidio provocato dalla sufficienza con la quale Aligi Taschera scaglia i suoi giudizi, mi permetto di fare alcune osservazioni a proposito delle responsabilità che mi sono assunto "di fronte all'Italia, all'umanità e alla storia". No, Aligi, mi sono solo assunto le responsabilità politiche che mi competono, di fronte alla mia coscienza e alle mie convinzioni, oggi "comodamente seduto in Parlamento", così come in altre occasioni nelle celle di Peschiera o di Varsavia. Non comprendo invece bene l'opinione di Aligi Taschera secondo la quale un deputato, quando vota per la partecipazione della missione militare italiana al conflitto nel Golfo, dovrebbe anche prendervi parte. Se avesse votato contro avrebbe allora dovuto opporsi fisicamente alla partenza delle navi o degli aerei?

Neppure Capanna è giunto a questi livelli di intolleranza demagogica!

Si sconfina nel grottesco quando Aligi scrive che Gandhi, nel momento in cui approvò la guerra, vi prese parte personalmente e non votò perché ci andassero gli altri. Non mi risulta che fosse stato chiamato a decidere sulla prima guerra mondiale e nella seconda si limitò a non impedire che gli indiani vi partecipassero.

Ma Gandhi, diversamente da Aligi, affrontava con maggiore umiltà questioni di questa portata: "La mia opposizione alla Guerra era forte allora quanto lo è oggi. Ma dobbiamo riconoscere che nel mondo vi sono molte cose che facciamo pur essendo contrari ad esse. Io sono contrario a togliere la vita alla più infima delle creature viventi quanto sono contrario alla guerra. Tuttavia continuamente tolgo la vita a numerose cerature, pur sperando di raggiungere un giorno la capacità di vivere senza tale fratricidio"."Colui che crede nella nonviolenza è tenuto a non ricorrere alla violenza o alla forza fisica, direttamente o indirettamente, in difesa di alcuna causa, ma non ha la proibizione di aiutare uomini o istituzioni che non operano sulla base della nonviolenza. Se non fosse così io ad esempio non dovrei adoperarmi perché l'India raggiunga lo Swaraj (l'indipendenza), in quanto so per certo che il futuro parlamento indipendente indiano avrà alcune forze militari e di polizia".

Cercando di non strumentalizzare più di tanto Gandhi, mi trovo in una situazione abbastanza simile per quanto riguarda le Nazioni Unite. So infatti bene che l'Onu, in quanto espressione della cultura politica e giuridica prevalente, non ha mai deciso di operare sulla base della nonviolenza, ma, come ho già scritto, sono convinto che solo attraverso il rafforzamento dei poteri di quella istituzione sarà possibile far deperire la violenza.

Aligi trova poi incomprensibile che si possa votare diversamente prima e dopo lo scoppio delle ostilità. Nel primo caso era, almeno teoricamente possibile, pensare o al prolungamento dell'embargo o ad altre opzioni di forza non militare, dopo invece si trattava di sostenere o dissociarsi dall'azione militare decisa dagli Usa e dagli altri paesi, ripeto, nella piena legittimità secondo il diritto internazionale.

Quest'ultima considerazione mi consente di chiarire anche il problema delle guerre "giuste" o meno. Per giustizia s'intende aderenza al diritto, alla legge. Se si considera la legge cristiana, le guerre sono sempre ingiuste, ai sensi dell'articolo 5 delle tavole. Secondo il diritto vigente in Italia sono "giuste" solo le guerre di autodifesa e, in relazione all'art.11 della Costituzione, quelle azioni militari, intraprese, in conformità all'art. 42 della Carta, "con forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite", tese a ristabilire il diritto violato. Il nonviolento lotta perché la legge cristiana del non uccidere diventi anche legge degli stati. Lotta, appunto, per creare nuovo diritto, anche con la disobbedienza civile nel momento in cui ritiene che esista anche una minima speranza di poterlo affermare. Ma il 17 gennaio o anche prima ci trovavamo di fronte a condizioni di lotta e di mobilitazione nonviolenta nel mondo che consentissero di proporre, non solo come testimonianza verbale, una a

lternativa all'uso della forza militare? Non stiamo da anni tentando di costruire il partito radicale trasnazionale e nonviolento proprio per poter inserire fra le opzioni possibili e credibili la nonviolenza politica? Insomma Aligi continua a confondere la lotta politica con la proclamazione verbale, l'impegno paziente e continuo per dare consistenza anche organizzativa ad un progetto, questo sì storico, teso a far divenire civiltà del nostro tempo la cultura della nonviolenza politica, con l'astratta manipolazione di presunti dogmi nonviolenti.

Per quanto riguarda gli altri punti dell'intervento di Aligi ho una obiettiva difficoltà a replicare senza dover ripetere cose già scritte, senza essere costretto a fare lunghe citazioni o, peggio, senza dovermi avventurare nelle strade a me sconosciute della metapolitica (per il divertente esempio delle randellate rinvio alla lettura di Gandhi -"Young India", 4 novembre 1926 - così come, a proposito delle strane tesi sul poliziotto che spara il ragazzo disarmato, mi arrendo di fronte al paragone un po' azzardato fra Saddam Hussein e il ladro di mele). Non intendo poi rispondere agli insulti gratuiti.

Ma solo una cosa ritengo intollerabile ed espressione della più volgare malafede: Aligi, che conosce il partito e il sottoscritto da oltre vent'anni, giunge a far credere d'ignorare cosa intendiamo per "Il diritto alla vita, la vita del diritto" e s'interroga dubbioso se per caso ci riferiamo al diritto naturale!

A quel punto Aligi avrebbe dovuto più opportunamente citare anche il terzo slogan de "il Partito" di Oceania: "L'IGNORANZA E' LA FORZA". Tutti noi gli avremmo gridato riconoscenti: "O nostro Salvatore".

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail