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Conferenza Partito radicale
Guzzi Gabriella - 15 febbraio 1991
In riferimento all'intervento n. 562 di Roberta Tatafiore (vedi il passo da "mi sento mancare..." fino a "non voglio che questo taglio avvenga".
Roberta teme, se ho ben capito, che le vicende in atto possano avere un'incidenza distruttiva sugli elementi fondanti del nostro pensiero e del nostro percorso, della nostra specificità. Non ho questo timore: in un momento come questo in cui sono terrificata da tutto questo, è l'unico timore che non ho: non temo affatto che possa essere né contraddetto né travolto il valore di quella che è a un tempo la nostra peculiarità ri-conosciuta e vissuta, il nostro metodo di vita: la nostra specificità, nutrita costantemente di fecondi e consapevoli conflitti. Questa consuetudine alla conflittualità positiva ci fa estranee alla guerra e lontane dal pacifismo tout-court, ma non ci rende meno presenti; credo anzi che ci permetta, senza iattanza ma con la determinazione dell'esperienza di riproporre a noi stesse e agli altri la via del conflitto fecondo e vivo: non è neppure il caso di esistere come "reduci" nel materno per suffragare le buone regioni del nostro convincimento. Una radice forte.

Qui a Milano, come ovunque, si sta molto insieme: per le strade mute (donne in nero), ma soprattutto nei nostri luoghi, fra noi, e anche con i nostri compagni, c'è meno vociare ma non meno conflitto. Spesso c'è silenzio, ma c'è un lume, un filo forte che lega il nostro pensare, il nostro proporci: e noi vogliamo ascoltare e anche dire.

Ma per quel che riguarda la vecchia generazione, credo che questo "diritto di parola" non ci sia: noi abbiamo fatto (subito) nell'adolescenza la seconda guerra mondiale, ma non siamo state capaci di "metabolizzarla" per crescere. C'è stata una rimozione, pur nel laborioso ricostruire delle nostre case e delle nostre anime.

Per questo dico che di parola non abbiamo granché diritto: ma di pensiero e di pratica sì; nella vita di tutti i giorni vogliamo che il confronto non sia disputa, la presenza non sia delega, e che, come si diceva, il conflitto non sia guerra.

Per questo ragionamento/sentimento forte, mentre temo tutto (e prima di tutto che questa guerra possa essere fatale per tutti), non temo affatto che essa possa strapparci a noi stesse: è questa l'unica cosa che non potrà fare.

Costruire la nonviolenza è una cosa lunga.

 
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