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Conferenza Partito radicale
Caravaggi Caterina - 16 febbraio 1991
Congresso Pr: Emma Bonino

Cari compagni ed amici,

per un anno non abbiamo sentito che critiche, disfattismi, sufficienze, dileggio, commiserazioni, da parte di troppi. Erano convinti, o volevano esserlo, che non vi fossero più radicali, se non pentiti, disperati, o passati a non desiderar altro che di far parte di un qualche partito in più.

Noi abbiamo risposto facendo fiducia alla nostra storia, alle decisioni e dalle regole che dovevamo ottemperare, convinti che fosse più che probabile il fallimento, e meno che possibile il successo. E abbiam giocato fino in fondo il poco possibile contro il molto probabile.

Abbiamo vegliato, anche, che il Partito fosse accanto, nella forza della sua povertà, a coloro che, dopo Bohini e dopo Budapest, aggiungevano al loro impegno di radicali, il doveroso impegno nazionale e civile in strutture corrispondenti. Abbiamo cominciato a sospettare qualche ricchezza in noi, solo perchè ci siamo ad un certo punto accorti di quanto il Partito continuasse a saper dare. E mai, come da dopo Budapest, dalle elezioni europee, è forse venuto a realizzarsi tanta presenza radicale, di radicali, di anche radicali, nella vita civile e istituzionale a vari livelli della vita del paese. Dall'interno di noi "quadrunviri" è venuto anche, e lo rivendico, in questi due anni, molta attenzione perchè fossero secondate altre autonomie, ulteriori riuscite, perchè le necessarie e opportune conversioni e crescite di impegno nelle istituzioni e nell'agone elettorale riuscissero, comprovando ulteriormente, se necessario, l'estraneità definitiva del Partito Radicale, in quanto tale, al mondo dei partiti naz

ionali, italiani e di dovunque, delle loro prerogative, competenze, dei loro poteri e delle loro funzioni.

Ci hanno addolorato, ma non ci hanno distratto, molti episodi, comunque troppi, di ex-iscritti al Partito Radicale, qualcuno di grande passato, passati al mondo dei più della politica, di eletti nelle nostre liste che si sono attorcigliati come serpenti attorno alla loro povera preda al loro seggio parlamentare, con alibi vari ma con limpida eloquenza nei fatti.

Ci addolora che altri sembrino guardarci oggi con l'arroganza o la prosopopea di parvenu, di nuovi ricchi. Non ci sembrano nè saggi, nè prudenti, per tacer d'altro.

Ma quel che importa è altro : i fatti hanno dato torto a costoro, a tutti costoro. I fatti, nella fattispecie, si chiamano con un nome ben chiaro; i fatti sono i radicali.

I radicali che già lo scorso anno sono stati più numerosi del precedente. I radicali italiani che, nelle prime sette settimane di quest'anno corrispondono di già al 64%, ben presto ai due terzi, di quelli del 1990.

Sarebbero stati ancora di più, certamente, se la guerra non fosse precipitata a imporre a ciascuno ed a tutti interrogativi, risposte, sentimenti e risentimenti, smarrimenti e rivolte, lacerazioni e sconforto, quando non lo scatenamento di reazioni non solamente appassionate ma passionali, e accecanti. Ma sappiamo che il Partito ha meritato in questa circostanza maggior forza, maggior avvenire, anche se minor facilità.

A queste compagne e a questi compagni noi dobbiamo un grazie commosso, per come hanno mostrato di saper comprendere la straordinaria difficoltà e importanza di quel che abbiamo scelto di vivere, in adempimento alle delibere di quel magnifico congresso radicale che fu quello di Budapest.

Il bilancio che presenteremo al Consiglio Federale, ma che è nelle coscienze dei radicali, è quale non avevamo osato nemmeno sperare.

Ma una cosa mi sembra di poter affermare con convinzione : il Partito ha fatto, sa fare tesoro, letteralmente tesoro, di quel che tale non apparirebbe a nessun altro. Sa fare tesoro di ciascuno di noi, compagne e compagni, di ogni iscrizione, di ogni gesto di generosità, di ragionevolezza e di forza civile. Cosa sarebbero, cosa sono, infatti, un paio di migliaia, o il doppio, di donne e di uomini, per qualsiasi altro partito, per qualsiasi altra forza, per qualsiasi altra impresa ?

Quanto vale, per ogni altro, per la vita, per la pace, per la democrazia, la persona che compie un gesto così singolare, così ultraminoritario, di iscriversi al PR, di dargli i suoi connotati, e di assumerne i suoi ? Che, tutti insieme, finora, non rappresentano che due o tre millesimi di quanti sono iscritti alla DC, al PDS/PCI, al PSI e via dicendo ?

Compagne, compagni, vale la pena, se è pena, e lo è a volte, vale la pena, dunque, per ciascuno, d'essere, di divenire ogni anno, di divenire quest'anno, più che mai nel passato, d'essere radicale, del Partito Radicale. Per essere, fra breve, decine di migliaia nel mondo, per la democrazia nel mondo, occorre oggi esser alcune migliaia in più, in queste ore, subito, appena lo si possa. Non vale la pena di tentare ? di sperare ? di riuscire ? Di esser attente e attenti a fare di questa assemblea, di questo stare insieme alcuni giorni di amicizia e di felicità ?

Io spero che in questo congresso non si occupi troppo tempo - non dico che non se ne debba discutere - sulle diverse posizioni, sottolineo posizioni, che in piena legittimità ogni radicale ha assunto a proposito della guerra del golfo perchè credo che la domanda centrale del nostro partito, la ragione stessa del partito sia tutta nella presunzione di non doverci più, domani, schierare per una o l'altra posizione che altri hanno determinato, che altri hanno deciso e che noi, oggi, possiamo solo accettare o respingere. La scommessa del partito radicale è infatti tutta nella volontà di creare quel soggetto politico trasnazionale capace d'imporre in termini di lotta e non solo di testimonianza politica quel confronto che oggi non c'è e che è drammaticamente urgente che ci sia, fra la forza della nonviolenza e la forma della violenza, fra intransigente rivendicazione della supremazia della democrazia politica e accettazione invece di sue sospensioni e delimitazioni storiche, religiose o geografiche, fra concr

ete affermazione di diritto positivo, necessariamente internazionale, che assuma la persona come primo bene da tutelare e la sua negazione in nome dello stato o d'interessi superiori.

Insomma che si possa, in un domani vicinissimo, come sul divorzio o sull'aborto, chiedere alla gente, alla classe dirigente di manifestare, di lottare, di scontrarsi e dividersi su grandi alternative politiche e non sulle obbligate e decisamente poco entusiasmanti scelte a cui oggi noi siamo chiamati : non sulla guerra giusta o ingiusta, non sulla pace a scapito del diritto o sul diritto a scapito della pace ma su pace, vita e diritto contro guerra, morte e totalitarismo.

Evocavo non a caso divorzio e aborto per indicare un metodo, il nostro, quello di sempre, e una conquista possibile per la nostra società.

Infatti sappiamo che non un passo faremmo nella direzione che ho evocato se pensassimo che questi immensi obiettivi possono essere perseguiti attraverso la strada della proclamazione ideologica o morale. La politica è fatta di cose concrete, di conquiste piccole ma riconoscibili che nella quotidiana lotta per la loro conquista creano quelle occasioni di consapevolezza collettiva che rendono poi possibili i cosiddetti salti della storia, le rivoluzioni.

E quindi forse qualcuno storcerà il naso davanti al lavoro umile e preciso che abbiamo prodotto in questo anno, di fronte al nostro insistere sulle cifre, sui soldi, sulla sede, e adesso indirizzari, ritenendo tutto questo marginale rispetto al grande e planetario confronto teorico sulle sorti del mondo dopo la guerra, sulle stesse sorti della democrazia in Italia. Ma chi in questi anni ha veramente determinato quelle modificazioni storiche nella cultura politica dell'Italia, quelle battaglie che neppure il nostro più fermo oppositore non ci riconosce, sa perfettamente che tutto ciò è stato possibile solo applicandoci nella conquista concreta degli strumenti che rendessero possibile l'iniziativa politica, nella individuazione delle piccole contraddizioni e crepe del sistema attraverso le quali farle passare. Devo dirvi che in questi mesi poco mi sono occupata della crisi e della guerra del golfo, se non per gli obblighi del mandato parlamentare, perchè avevo altre priorità, altre urgenze. Per esempio,

come per il divorzio o l'aborto quando - forse qualcuno se lo ricorda - centinaia di militanti passavamo le notti a ritagliare ed incollare gli indirizzi sui giornaletti della Lid o migliaia di compagne e compagne a pulire ed trascrivere i moduli del referendum, oggi, in presenza di quel progetto trasnazionale che tutti abbiamo udito, la mia priorità è stata quella di acquisire le decine di migliaia di nomi e indirizzi dei parlamentari di mezzo mondo, di classe politica a cui la mozione di Budapest ci chiede di rivolgerci per costruire quelle opportunità di lotta nonviolenta evocate nella relazione di Stanzani. Devo dire che questo lavoro e la scoperta che non era possibile semplicemente acquistare da una società questi indirizzi mi ha convinto ancor più della giustezza del nostro progetto perchè è la dimostrazione che oggi non esiste, neppure a livello economico o industriale, una lobby internazionale che abbia l'ambizione di intervenire su quei processi decisionali che sono, come tutti sappiamo, transnazi

onali, sovranazionali.

Certo la dimensione e la qualità del confronto politico che vogliamo suscitare non è confrontabile con quello messo in causa dalla battaglia del divorzio o dell'aborto.

Certo tutti siamo letteralmente terrorizzati da quanto prospettato nel "progetto" prima illustrato da Sergio Stanzani, cioè di poter pensare di suscitare non più solo a Roma o a Bari, ma a Mosca come a Parigi o a Gerusalemme i corrispondenti della LID o del CISA o della LOC.

Certo tutti noi siamo consapevoli della debolezza di questa piccola cosa che ci ostiniamo a chiamare partito trasnazionale.

Ma, credo, tutti noi abbiamo imparato dalla lunga o corta milizia nel Partito Radicale che se gli obiettivi non sono grandi e ambiziosi neppure quelli piccoli e realistici a cui gli altri s'illudono di applicarsi, divengono possibili, essendo consapevoli dell'ostacolo dell'informazione. Una informazione che, prendendo l'esempio di questi ultimi giorni, a destra o sinistra, sia nella sua vomitevole esaltazione della potenza bellica come nella sua incapacità di offrire qualcosa di diverso dal cinico disprezzo della democrazia e della stessa sorte di milioni di arabi che vorrebbe condannare per altri secoli i suoi assassini, è la migliore alleata di Hussein.

Forse, se abbiamo la forza, l'intelligenza e il Partito per proporre che un secondo tribunale di Norimberga, di Bagdad processi tutti coloro che si sono resi responsabili di genocidio, non solo Hussein, ma anche chi ha sterminato arabi e palestinesi in Giordania e in Siria, riusciremmo a penetrare nel cuore e nella intelligenza delle persone. Probabilmente questo tribunale non lo otterremo domani, neppure otterremo che, nello stesso banco degli imputati siedano accanto agli Hussein anche i loro complici, i tanti governanti occidentali che hanno armato la mano al dittatore iracheno.

Ma è certo che se questo obiettivo solo al breve momento della sua proclamazione ma diventa concreta proposta in decine di parlamenti e piazze, forse qualche passo "realistico" nella attuazione di tutti gli articoli inattuati della Carta delle Nazioni Unite diverrà possibile.

Ma anche venendo alle cose di cui tutti oggi sembrano rendersi conto, e cioè che Saddam Hussein lo abbiamo costruito noi, l'occidente capitalistico come l'oriente socialista, che di quanto accade è responsabile innanzitutto il mondo industrializzato che per anni ha pensato di poter fermare l'integralismo religioso dell'Iran con il totalitarismo "laico" e militarista dell'Iraq, mi chiedo se è effettivamente realistico pensare di creare le condizioni perché ciò non si ripeta domani e dopodomani semplicemente chiedendo nei nostri parlamenti nazionali un più rigido controllo della vendita delle armi.

affermare ciò significa ignorare che persino in presenza del più rigido embargo che la storia abbia mai conosciuto decine di aziende tedesche, italiane, belghe, hanno continuato imperterrite a vendere armi all'Iraq. E questo no lo veniamo a sapere solo dai rapporti del SIPRI ma dai documenti del Senato americano.

Di altro, se vogliamo essere credibili di fronte all'opinione pubblica, abbiamo bisogno.

Ne parlerà Marco De Andreis, quando proporrà degli scenari che prevedano forme di controllo sovranazionale del commercio delle armi convenzionali e non convenzionali.

A me preme solo ricordare che questi progetti seri, ragionevoli che puntano a creare nuovo diritto positivo internazionale, ad attribuire a nuovi democratici organismi sovranazionali il monopolio della violenza perché questa possa deperire, potranno non dico affermarsi ma semplicemente - e per me è quasi tutto - affacciarsi come opzioni possibili alla coscienza di milioni di persone solo se avremo la forza, in questi giorni e nei prossimi mesi di stabilire, ancora una volta, le nostre priorità, le priorità di ciascuno rafforzando lo strumento.

Avremmo sprecato tempo se le nostre legittime passioni politiche legate alla drammatica guerra di oggi non riusciranno a produrre una sintesi, l'unica concepibile in un partito laico, quella che si può trovare non su un documento ideologico di compromesso o meno, ma su un progetto. Ambizioso nei suoi propositi, preciso e delimitato nei suoi obiettivi ed è con questa speranza che tutti, responsabilmente sapremo governare le nostre passionalità o caratterialità per applicarci al progetto.

Auguro buon lavoro.

 
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