Intervento al III Congresso Italiano del Partito Radicale
Mi sono spesso domandata in queste ore perché volevo intervenire in questo Congresso. Mi capita difficilmente di aver voglia di parlare in pubblico. Mi sono data una risposta che è questa. Voglio qui dire quanto mi sono sentita scomoda in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi, e proprio all'interno del Partito radicale.
Lo dico con grande dispiacere perché - Marco del resto lo sa - da anni io sono "schierata" con le sue idee, con le sue intuizioni, la sua intelligenza politica che lo porta ad essere molto diverso dagli altri uomini politici del nostro paese. Ho sempre avuto - ed ho - un profondo rispetto per lui, la sua passione, la sua buona fede, la sua "genialità" che gli fa vedere quello che è giusto dieci anni prima degli altri.
E, come spesso capita ai "profeti", anche a Marco è capitato di essere preso in giro, snobbato, ignorato salvo poi vedere come tutti ne seguissero le indicazioni senza però non "citare le fonti" come si dice.
Mi piace fare questa "dichiarazione" nei confronti di Marco proprio nel momento in cui invece ne sono molto lontana e per la prima volta. No, non per la prima volta. Già su Israele e il problema palestinese - come viene chiamato - le nostre idee sono sempre state diverse (vi ricordate l'anno scorso, quando si parlò di "un grande convegno" sui problemi del medio-oriente? Marco diceva che io glielo avevo fatto venire in mente ma poi - purtroppo perché oggi tutti avremmo capito meglio quel che sta succedendo - non se ne fece niente, così vanno le cose, non c'è mai tempo ed è vero).
Ma quella di oggi non è che la continuazione di quella divergenza di opinioni, accentuata da tutto ciò che intorno a noi sta succedendo.
Perché in questo momento mi sento così lontana da Marco e da molti radicali "storici"? Per quella che io ho vissuto come una adesione troppo pronta, troppo sollecita, troppo intempestiva e "spiazzante" nei confronti dei tanti che al Partito radicale guardano come a qualcosa cui far riferimento nei momenti importanti della nostra vita, della nostra storia.
Una adesione alla guerra (e non un'operazione di polizia internazionale come ormai nessuno osa chiamarla). Un'adesione a una guerra che si poteva e si doveva tentare ancora di evitare. Un eccesso di zelo, mi è parso, nei confronti del "parente ricco" che troppo zelo richiedeva. Non si è riflettuto abbastanza, non si è voluto correre il rischio di "essere da meno", non si è voluta perdere l'occasione per finalmente far vivere pienamente quell'"occidentalismo" senza confini che io ritengo essere il limite un po' antiquato dei radicali. La sufficienza nei confronti di chi non è acriticamente schierato con l'occidente contro i parenti poveri, l'essere infastidito di chi non si pone su questa linea. E quindi muoversi sulla linea opposta al di là del necessario. Molto al di là-
E' vero, ci sono stati poi aggiustamenti, anche semantici, della seconda e della terza ora, quando appariva ormai chiaro che molti di noi non erano d'accordo con quelle posizioni. Ma ogni spiegazione, almeno ai miei occhi, è parsa insufficiente. Nonviolenza e violenza, pacifismo, pacismo, panciafichismo. Gandhi e teoria della codardìa.
Gandhi come la famosa pelle di zigrino, tirato da ogni parte. I conti non tornano, almeno per me.
Per di più non possono essere i radicali, gli unici ad aver capito da anni che cosa stavamo facendo con Saddam Hussein ed altri, gli unici ad aver denunciato l'Europa; le industrie nostre, le nostre partecipazioni statali, le nostre banche pubbliche, il mondo occidentale intero che armavano - in nome del profitto, in nome di qualcosa che va al di là di ogni possibile "contenimento", in nome del mercato - il 'macellaio', il 'mostro', il 'maligno'. Non potevano essere proprio i radicali a cancellare l'ipocrisia nascosta sotto la 'difesa dei diritti violati' nel Kuwait. Non i radicali che ai miei occhi hanno sempre rappresentato il contrario di tutto questo e ai quali su questo ho dato la mia iscrizione 1986/87.
Dottor Jekill e mister Hyde dice Giovanni Negri. E ha perfettamente ragione. Ma proprio questo avrebbe dovuto indurre ad un atteggiamento diverso, a un atteggiamento critico, non 'adesivo', a una presa di distanza da questa nostra 'democrazia reale' che non riesce neanche a controllare sè stessa. Ma su questo tornerò più in là.
E dicono, alcuni radicali, non siamo stati capiti, in realtà la nostra posizione era diversa da quella che è apparsa. Ma non vale dir questo perché quando non una ma cento, mille persone non ti capiscono, bisogna fare i conti con sé stessi e provare a pensare che forse non si è stati abbastanza chiari nell'esternare le proprie ragioni ma forse proprio perché quelle ragioni non erano chiare neanche a noi stessi.
La guerra: per prima cosa, dichiaro di non essere "pacifista" a tutti costi. Esserlo è ormai diventato un insulto, così sembra. Me lo prenderei tranquillamente, comunque, se fossi pacifista a tutti i costi. Ma non è così: al contrario, io penso che la guerra sia un male sempre ma spesso purtroppo un male necessario. Penso che non sempre la si possa evitare con le trattative e con le buone maniere. Ho vissuto l'ultima guerra mondiale, ero ragazzina ma so bene di che si tratta. Tra l'altro essendo ebrea (di razza, come si diceva anche se non di religione) mi sono dovuta nascondere sotto falso nome per nove mesi. Se mi avessero presa i tedeschi, in questo momento, su questo palco, ci sarebbe stato qualcun altro, certo non io. Forse sarebbe stato meglio ma non per me.
Dunque sì, la guerra a volte la si deve fare. Il mio 'no' a questa guerra non è quindi un 'no' emotivo, non un 'no' morale (che pure avrebbe un suo valore eccome). E' un 'no' assolutamente razionale, politico. Razionale e politico. Questa guerra è infatti un errore politico. Che, tra l'altro, avrà anche ripercussioni ' storiche' che dureranno decenni.
Ma ora, nella cronaca, dobbiamo fare il rapporto tra i mezzi e i fini, tra i mezzi e gli obiettivi che ci siamo prefissi. Cosa stiamo ottenendo?
Veramente si pensava che la guerra sarebbe durata pochi giorni? E come si faceva a pensar questo se proprio noi avevamo trasformato l'Irak nella quarta (o quinta) potenza bellica del mondo? Non era elementare pensare che le centinaia di carri armati, le centinaia di aerei, le centinaia di missili, le tonnellate di armi chimiche e batteriologiche a qualcosa sarebbero servite? Che Saddam Hussein avendole pagate a prezzi assai convenienti per le nostre democrazie, prima o poi le avrebbe usate?
E' stata davvero una sorpresa, questa risposta 'efficace' alle intelligenze tecnologiche delle nostre bombe? Non aveva anche lui i nostri stessi armamenti? Non aveva forse gli stessi Mirage (e dello stesso colore) che gli hanno fornito i francesi e che, proprio per questo non possono 'levarsi in volo'? E le nostre mine Valsella, così trionfalmente micidiali? Non è questo che ora tutti ci stanno dicendo? E allora? dove è la sorpresa?
La guerra dunque non dura una settimana: e questa è già una clamorosa vittoria di Saddam Hussein agli occhi del popolo musulmano. Resistere a ventotto paesi 'forti' quali noi siamo, da solo, ne fa un simbolo, con tutta evidenza. Questo è dunque il primo risultato che abbiamo ottenuto. E ancora mettiamo il caso che Israele si stanchi di non reagire e decida di intervenire direttamente e non per interposte persone: a questo punto davvero il pericolo per Israele sarà grande. Avrà tutto il mondo arabo e musulmano, tutto l'Islam schierato contro. Al di là del volere dei governanti, di Siria, Egitto ed altri paesi che per ora non hanno preso posizioni nette, saranno le 'famose masse islamiche' a deciderlo. Questo è un altro degli obiettivi che avremo raggiunto.
Ma c'è un'altra possibilità: che Israele decida di essere 'paziente', come si dice. Che decida di andare avanti con quello che è non solo un gesto di 'civiltà' secondo me, ma giusto calcolo politico, dal suo punto di vista: e in questo caso il pericolo sarà grande per i palestinesi. Perché il prezzo che gli Stati Uniti dovranno pagare ad Israele sarà quello della scomparsa di ogni rivendicazione da parte dei palestinesi. Altro obiettivo che potrà essere raggiunto da questa guerra così intelligentemente decisa da chi così intelligentemente governa le sorti del mondo.
Diamo ora per scontato che la guerra contro Saddam Hussein finisca 'vittoriosamente', per così dire.Con la distruzione dell'Irak quindi. E allora? Si può davvero ragionevolmente pensare che in questa maniera si possano risolvere i problemi del Medio Oriente? Non è prevedibile che, sparito Saddam Hussein, ci sarà Assad, così come sparito Khomeini è apparso Saddam? Non è prevedibile che noi continueremo ad armare questo o quel 'sàtrapo' fino a dover restare in guerra per sempre? Non è prevedibile una guerra senza fine, per salvare - quanto giustamente - Israele 8e il petrolio?) Questo è il mezzo per raggiungere questi obiettivi? E' possibile che non ve ne siano altri?
E' possibile che non si possa coniugare la pace con il diritto e con la giustizia?
Ed è possibile che tutto questo avvenga in nome "dei diritti violati" da Saddam Hussein nei confronti del Kuwait? Ma quando mai in Medio Oriente i diritti non sono stati violati? Ma quando mai le risoluzioni dell'ONU sono state applicate? Ma quando mai? Il Libano, la Palestina, i curdi. Ve li ricordate i curdi, addormentati sembravano, in mezzo alla strada ma erano addormentati per sempre e proprio da Saddam Hussein e proprio con le armi chimiche noi, la Germania, gli aveva fornito? Come mai in quella occasione - erano diecimila i morti, le immagini non si possono dimenticare, mostravano donne e bambini molto piccoli, addormentati come i bambini molto piccoli, con le braccia alzate e le gambette larghe. Solo ora ho saputo perché: non correvano, le donne, abbastanza veloci per potersi salvare da quei gas. Ecco: come mai nessuno - a parte i radicali (e Rutelli in particolare), e il Manifesto, così è - come mai nessuno si indignò come oggi tutti si indignano per i confini del Kuwait?
Non era quello forse il diritto primario violato, il diritto alla vita? Un diritto negato, in cambio di molto denaro, da parte sì di Saddam Hussein ma anche da noi, proprio da noi?
E allora, quale credibilità ha adesso questo ergersi così nobile a difesa dei "diritti violati" del Kuwait? Così nobile apparentemente e nella sostanza così povero, così ipocrita, così meschino, così umanamente e intellettualmente ristretto?
Cerchiamo piuttosto di capire cosa sta accadendo, cosa sono le nostre democrazie. Perché, nei mesi dell'embargo (rapporto Timmermann) le armi hanno continuato ad arrivare in Irak, perché la gente ride quando se ne propone la continuazione, dell'embargo. Non serve? E allora: perché lo si è fatto, forse per dar tempo agli Stati Uniti di prepararsi a quella guerra che fin da prima del principio volevano?
E se non serve, perché? E' mai possibile accettarsi, accettare il criterio che, in nome del mercato, noi, le nostre industrie se non i nostri governi continuerebbero ad armare Saddam Hussein, magari dandogli il nucleare? Perché è questo che ci viene detto, quando - con evidente innocenza - proponiamo la continuazione dell'embargo. Ma se è così, perché non facciamo i conti con noi stessi? O dobbiamo dar retta a Giuliano Amato, che ci dice come per sapere qualcosa di Saddam Hussein e dei curdi si dovevano leggere i giornali inglesi e francesi, perché qui nessuno ne sapeva niente? A questo si arriva, è successo mercoledì all'albergo Minerva ma non vale neanche la pena di parlarne, è troppo triste.
E' troppo squallido. E' troppo.
Potrei continuare per due ore ma non voglio né posso: mi fermano prima. Voglio solo chiudere dicendo che - 'come donna' o come persona non so - non posso riconoscermi in questa follia collettiva, in questa slavina di (colposa o forse dolosa in alcuni casi stupidità politica che ci ha portato al punto in cui ci troviamo ad essere e dal quale non si sa come uscire.
Voglio dire che non mi posso schierare: né con Saddam Hussein, che ho imparato a conoscere (contrariamente a Giuliano Amato) tre anni fa, sulle immagini dei curdi addormentati. Che ho imparato quindi a odiare. Che ho imparato a temere.
Ma non mi schiero neanche da questa parte, dalla 'nostra' parte. Dalla parte di una 'cultura' di sopraffazione nei confronti dei popoli più poveri: tre quarti dell'umanità. Di una 'cultura' fatta di violenza, di ipocrisia, di falsa democraticità, di una 'cultura' che finge di essere quello che non è e che in nome di principi e di valori che non ha vuole muoversi da padrona sulla scena del mondo.
A molti forse tutto questo piace. A me no.