L'Interpol ha comunicato di recente che oggi nel mondo ci sono 12 paesi sovrani direttamente controllati o influenzati dai narcotrafficanti. Questo è un fattore di crisi internazionale che dobbiamo avere presente per comprendere gli obiettivi politici e la complessità della campagna antiproibizionista contro l'attuale politica sulla droga.
Droga non è oggi il flagello delle morti per overdose, che pure in larga misura dipendono da questa politica. Non è il flagello delle sparatorie per regolamento di conti che pure causano tante vittime innocenti (come il ragazzo obiettore di coscienza, ammazzato giorni fa in un agguato nel napoletano mentre svolgeva un servizio civile di accompagnatore per un presunto camorrista implicato in un traffico di droga). Droga non è la mortalità per Aids, che cresce sempre di più fra i tossicodipendenti di tutto il mondo, in ragione di questa politica che impone -di fatto- l'uso di determinate droghe (quelle che assicurano i profitti più alti sul libero mercato criminale) e di determinate modalità di assunzione.
Droga è questo, ma non soltanto questo.
Per quanto il fatto possa sconcertare chi vuole risolvere i problemi sociali con gli strumenti della ragione, intorno all'uso di alcuni prodotti agricoli e delle loro trasformazioni industriali si è venuto progressivamente a costituire un problema politico prioritario per il mantenimento degli equilibri internazionali e l'assetto democratico delle nazioni. Oggi la domanda di fondo cui la comunità internazionale è chiamata a dare una risposta è proprio questa: se la politica proibizionista sulla droga sia compatibile con il progresso democratico e lo sviluppo economico di intere regioni del mondo, e se non metta a rischio, in molte altre, fondamentali conquiste di libertà civili e diritto.
Questo vale anche per il nostro paese. Non è possibile cercare seriamente una soluzione alla questione meridionale senza ridurre drasticamente il potere delle organizzazioni criminali che ne presidiano il territorio, la politica, la vita economica. E questo fenomeno non potrà essere eliminato, e neppure efficacemente contrastato, se continueremo ad alimentare la strategia del proibizionismo. Per le semplici ragioni che lo stesso Governo, nella relazione diffusa il 31 gennaio scorso, ci ha ricordato: il proibizionismo consente che una lira investita nel commercio illegale di cocaina si moltiplichi 611 volte nel percorso dal produttore al consumatore, e una lira investita in eroina per 1700 volte.
Se queste sono le cifre, se è vero, come risulta da stime ufficiali della Guardia di Finanza, che in Italia il mercato della droga oscilla intorno ai 50.000 miliardi, se è vero che mafia, camorra e ''ndrangheta sono tanto forti che -secondo le affermazioni dell'Alto Commissario Domenico Sica- tre regioni italiane sono oggi sottratte al controllo dello Stato, allora proporre qualsiasi soluzione di sviluppo sociale, civile, politico per il Mezzogiorno d'Italia che eluda la questione di fondo dell'abrogazione delle norme proibizioniste fa perdere tempo al Paese, alla nostra classe politica e si risolve in un inganno, sempre più doloso, nei confronti dei cittadini delle stesse regioni meridionali.
Passo adesso all'analisi della situazione internazionale, prima di tornare alle cose italiane.
1. Il rovescio dello scenario democratico nei paesi dell'Europa centrale e orientale. Traggo i dati che seguono da un rapporto della Fondazione Friedrich-Ebert di Bonn che ha riportato le cifre più recenti su droga, AIDS e prostituzione nell'Europa centrale e dell'Est, paesi che appartenevano al dominio comunista e che oggi, con l'eccezione dell'Urss, sono parte della nostra politica, dei nostri referenti culturali e delle nostre attività finanziarie. Il numero registrato di tossicomani in Unione Sovietica e' di 131.000; in Polonia le stime ufficiose parlano di 250.000 tossicodipendenti, in Cecoslovacchia di 100.000 e in Ungheria di 50.000. Tutti questi paesi non fanno ancora parte del circuito del traffico internazionale di eroina e cocaina.
Fino ad ieri, cioè fino a quando il regime comunista garantiva insieme controllo poliziesco e povertà, questi tossicodipendenti si sono arrangiati come hanno potuto e non hanno costituito un fattore economico importante. Oggi le cose cominciano a cambiare, ci informa l'ultimo rapporto Onu, pubblicato a Vienna nel gennaio scorso: cambia la disponibilità economica, cambieranno le sostanze di cui si farà uso. Chi si inserisce oggi nel circuito della droga clandestina può garantirsi rapidi balzi in avanti nello status sociale e nelle disponibilità finanziarie, fenomeno che già hanno conosciuto ampi settori delle comunità latine, ispano-americane o nere nei ghetti americani.
E' stato fatto un primo calcolo dei gruppi criminali organizzati che cominciano a trattare la sostanza droga. Già nel marzo 1989 in Unione Sovietica erano stati identificati 2067 gruppi criminali del genere. Una cifra destinata a moltiplicarsi alla n, se è vero che durante il periodo del proibizionismo sulla vodka, alla metà degli anni Ottanta, 500.000 persone erano state denunciate per associazione criminale in violazione della legge sugli alcolici, secondo un'informazione ufficiale del Ministero degli Interni. L'esposizione ai rischi d'insorgenza del narcotraffico è un problema che agita i rapporti tra i paesi ex comunisti e l'Ovest, e che allarma le fragili democrazie neonate tanto che sono stati proprio i paesi dell'ex blocco comunista a chiedere all'Onu nel febbraio 1990 di proclamare gli ultimi 9 anni di questo secolo anni contro la droga.
Questi paesi sbagliano senz'altro ad accettare la strategia Onu telecomandata da Washington, ma è vero che intorno alla politica sulla droga si gioca una partita cruciale per lo sviluppo della democrazia e delle libertà negli anni che chiudono questo secolo. Il Partito radicale deve riuscire ad esercitare un'influenza concreta su questa situazione. Per questo i compagni che lavorano in Cecoslovacchia stanno preparando il primo Convegno Internazionale su proibizionismo e antiproibizionismo, che speriamo possa celebrarsi presto a Praga. In Ungheria avremo all'inizio di marzo un incontro col sindaco di Budapest, un incontro importante perché l'Ungheria è un paese di prima linea. Più degli altri è attrezzato a ricevere dall'occidente con le libertà e la prosperità anche i vizi e gli errori della sua politica. Per questo la campagna antiproibizionista è una ragione costitutiva di fondo per il Partito radicale nei paesi ex comunisti.
2. In America Latina tutta l'attenzione è concentrata su una sola droga, la cocaina, prodotto dell'industria chimica di trattamento della foglia di coca coltivata nei paesi andini. I rapporti tra il Nord e il Sud del continente ruotano ormai da due anni e mezzo attorno alla war on drugs proclamata da Reagan e continuata da Bush. In questi anni è stata esercitata una pressione enorme su alcuni paesi perché militarizzassero la loro politica sulla droga, collegando gli aiuti finanziari ai governi dell'America centrale e meridionale alla rispondenza alle direttive Usa in materia di droga. In nome del benessere morale dell'occidente sono state violate le normali abitudini alimentari e sacrificate le tradizioni culturali dei popoli delle Ande da sempre abituati a masticare la foglia di coca come noi popoli occidentali a bere l'infusione della camomilla o del the.
La politica americana ha trasformato problemi sanitari o sociali in un fattore prioritario di destabilizzazione e di minaccia alla democrazia e allo stato di diritto. Sulla cocaina ed il crack, attraverso la repressione della coltivazione della foglia di coca, gli Stati Uniti, hanno costruito una inedita forma di controllo imperiale. Avendo sostituito alla minaccia del comunismo la minaccia della droga, questo ha consentito di mantenere un controllo diretto, a livello finanziario e militare, sulla vita politica di alcuni paesi. Per quanto possa sembrare strano, per quanto possa scandalizzare coloro che sono abituati ad affrontare con la razionalità i problemi sociali, si è riuscito a fare delle piantagioni delle foglie di coca un fattore prioritario di squilibrio nelle strategie internazionali, alla stregua dei pozzi di petrolio, e intorno alle foglie di coca, proprio come intorno ai pozzi di petrolio, sono nate delle vere e proprie guerre. L'invasione e il bombardamento di città del Panama, la cattura del
presidente e dittatore Noriega, tradottasi in un processo che è tuttora in corso davanti alle autorità giudiziarie americane (in questo caso la giustizia americana di solito così solerte ha assunto dei ritmi all'italiana) hanno avuto però il risultato di aprire gli occhi a molti e oggi la strategia bellica non pare più essere di pronto impiego, almeno in America Latina.
I risultati della guerra parlano da soli. Le coltivazioni di coca si sono moltiplicate, i trafficanti hanno acquistato potenza,la vita sociale e politica di molti paesi ne è uscita sconvolta. Esemplare il caso della Colombia, dove operano i gruppi criminali che riforniscono il mercato statunitense. Ecco gli effetti della più dura repressione antidroga mai tentata: 26 giornalisti ammazzati mentre svolgevano inchieste sul traffico di droga, oltre cento magistrati eliminati, migliaia di vittime fra i funzionari, i poliziotti o i cittadini inermi.
In Perù, dove si concentra il 60% della produzione mondiale delle foglie di coca, il fallimento dei piani di eradicazione e sostituzione delle colture è stato altrettanto clamoroso: nel giro di cinque anni gli ettari sottoposti a coltivazione di coca sono passati da 36500 a 250000 e oggi su questo mercato si reggono le possibilità di sopravvivenza di circa un milione di persone.
In America Latina oggi qualcosa si muove, forse una nuova politica sulla droga è all'orizzonte. Nel panorama nero, nerissimo della politica proibizionista internazionale, proprio dall'America Latina ci giunge qualche fattore di speranza. Il Governo colombiano per primo ha cominciato a modificare la sua politica e ha scelto al posto della guerra ai narcotrafficanti, che non faceva altro che alimentare il potere dei narcotrafficanti, un altro tipo di politica. Una politica di negoziato, che sotto molti profili è discutibile, ma che rappresenta non di meno una alternativa alle fallimentari direttive del governo degli Stati Uniti.
Ma la notizia più importante ci è arrivata attraverso la presentazione della dottrina Fujimori in materia di droghe: il nuovo presidente del Perù, ha elaborato una dottrina che contraddice sostanzialmente la richiesta di war on drugs, di militarizzazione da parte degli Stati Uniti. Fujimori afferma di condividere la priorità della lotta al narcotraffico: "Questo non è un problema che per noi abbia un'importanza secondaria, al contrario, non concepiamo il superamento della nostra crisi nazionale e il nostro sviluppo economico e sociale, senza la sparizione della produzione illecita della foglia di coca". Ma aggiunge: "E' imperativo accompagnare l'eradicazione della coca con la sostituzione con altre coltivazioni. Una repressione efficace, che lasciasse i contadini senza alternative, potrebbe facilmente derivare in una acutizzazione delle condizioni di povertà critica, e quindi in una guerra civile di proporzioni imprevedibili". Ecco il paradosso della guerra alla droga: "Ciò che fino ad oggi ha limitato l'a
mpiezza della violenza che contorna questo fenomeno è stata paradossalmente la scarsa efficacia della repressione." Da queste premesse deriva la convinzione che politica sulla droga non può ripetere gli errori del passato. Oggi -osserva Fujimori- è molto facile per un contadino produrre coca perché non ci sono intermediari, perché arriva l'uomo dei narcos che offre un prezzo sufficiente a coprire i costi e a garantire un mezzo di sussistenza. "Mentre la coca si commercia in un mercato libero" (Fujimori è un economista, non usa le parole a caso e definisce giustamente 'libero' il mercato criminale) "i prodotti di sostituzione devono farlo in mercati iperregolati e soggetti ad oscillazioni imprevedibili".
Queste considerazioni non possono portare oggi il presidente peruviano a chiedere l'abolizione del proibizionismo ma senz'altro aprono la strada ad una svolta di ragionevolezza nei rapporti tra l'America del Nord e l'America Centrale e Meridionale.
Del resto negli stessi Usa il dibattito sul passaggio dalle logiche del proibizionismo a una prospettiva antiproibizionista è aperto. Lo stesso dipartimento di stato Usa ha calcolato in 35 mila miliardi di dollari i danni dei nove milioni di reati violenti legati alla droga commessi ogni anno negli Usa. Mentre a New York soltanto ci sono 250.000 persone che fanno uso di eroina attraverso le siringhe e di queste il 60% è sieropositivo o malato di Aids. Si chiede che le priorità di investimento della politica federale vengano ribaltate: oggi per una lira che va al trattamento ce ne sono sette che vanno alla repressione, e questo è oltre che disumano anche controproducente.
Le proposte vanno dalla abolizione delle leggi che proibiscono di fornire assistenza sanitaria gratuita alle donne tossicomani che aspettano bambini, alla legalizzazione dell'uso della marijuana a scopi medici, alla depenalizzazione della stessa marijuana, all'abolizione di tutte le norme che proibiscono l'utilizzazione di siringhe con la tragica conseguenza dell'epidemia di Aids fra i tossicodipendenti. Ricordo che il 15 aprile prossimo si svolgerà a New York il processo contro di me e Emma Bonino provocato dall'azione di disobbedienza civile con cui, il 6 novembre dello scorso anno, consegnammo alcune siringhe sterili ai policemen di guardia davanti al municipio di New York. Stiamo lavorando, con Emma soprattutto, per far si' che il nostro non sia il caso individuale di due cittadini italiani, ma sia il caso della politica sanitaria degli Stati Uniti o almeno della città di New York.
3. Da qualche anno anche in Europa si parla poco dei paesi asiatici produttori di oppio ed eroina. E' un altro segno della leadership statunitense sulla politica sulla droga, visto che in Europa la cocaina non crea preoccupazioni particolari e il crack praticamente non esiste, mentre l'eroina è resta la vera minaccia per la vita e la salute dei giovani europei e americani. Il Pakistan resta il terzo maggior destinatario degli aiuti Usa nell'ambito della guerra alla droga. Eppure se leggiamo i rapporti delle Nazioni Unite troviamo che la produzione di oppio in Pakistan è passata nel 1989 da 130 tonnellate a 165 e che nel 1991 è prevista arrivare a 600 tonnellate. Questo significa che si stanno riaprendo e con forza i canali di diffusione dell'eroina in America del Nord così come in Europa, e che si stanno aprendo nuove possibilità di arricchimenti illeciti spaventosi e prospettive di maggior diffusione di questa droga.
4. Torno all'Europa. Il governo italiano è stato tra i primi a mettersi in riga con Reagan e Bush, gli altri governi europei lo hanno imitato anche se non con la stessa supina acquiescenza. L'Europa si sta riempiendo di organizzazioni antidroga, vedi quelle che direttamente o indirettamente riferimento alla Comunità Europea, dal Celad (comitato europeo per la lotta alla droga) al Gruppo di Dublino, al Gafi che si occupa di riciclaggio, al Gruppo Pompidou, al Gruppo di Trevi ecc. ecc. (se si passa ai coordinamenti bilaterali o multilaterali la lista si allunga indefinitamente). Negli Stati Uniti, dove fanno i conti, hanno calcolato che fra Usa a America Latina, circa un milione di persone sono ormai impiegate a tempo pieno nell'attività antidroga. Immagino che le cifre non siano troppo diverse nel continente europeo. La dimensione economica dell'attività antidroga, con la sua rete di forze economiche, burocratiche, tecnocratiche di interessi affaristici di ogni genere, ci aiuta a comprendere perché sia così
difficile abbandonare anche le politiche più fallimentari. Noi, al contrario, siamo costretti a lavorare con la pura forza delle idee e della documentazione politica e scientifica. Il budget del CORA nel 1990, sia detto sottovoce, è stato di 120 milioni di lire!
Anche in Europa esistono elementi di contraddizione. Ad esempio il Consiglio dei Ministri della Sanità della CEE nel maggio 1989, di fronte all'epidemia di Aids, aveva avvertito della necessità di modificare le strategie, e chiesto di sviluppare una politica sanitaria che avesse la sua importanza accanto alla repressione. Si chiedeva anche di promuovere l'uso di sostanze sostitutive per favorire al massimo il passaggio dalle droghe che richiedono l'utilizzazione di siringhe ad altre sostanze; si invitavano i Governi nazionali a mettere a disposizione, far circolare e distribuire le siringhe sterili in cambio delle siringhe usate. Tutto questo non è stato raccolto né dal Governo italiano né dai Governi degli altri paesi europei, ma questi documenti della Cee non sono stati smentiti politicamente e perciò abbiamo intenzione, come Partito Radicale, insieme alla Lega Internazionale antiproibizionista e alle altre organizzazioni collegate, di farne valere il rispetto e la ripresa.
Oggi la situazione dell'Europa è quella di un continente che guarda senza reagire a ciò che di perverso sta avvenendo al suo interno, alla crescita dell'illegalità, delle violenza e delle organizzazioni criminali, alla crescita della diffusione dell'Aids e della mortalità per overdose.
Sappiamo dell'aumento di mortalità per overdose in Italia, da 973 vittime nel 1989 a 1147 nel 1990. La tendenza è la stessa anche negli altri paesi. Vedi il caso della Germania: 1400 morti per overdose nel '90. Ancora una volta il record europeo delle vittime appartiene al paese più proibizionista e che da anni ha messo in moto quei meccanismi che poi la legge Craxi-Jervolino avrebbero accolto. E' un dato che viene scientemente taciuto all'opinione pubblica. Questa è la situazione.
Non so quanto il Parlamento Europeo potrà, se vorrà, come finalmente sembra essersi deciso a volere, modificare i termini del problema. Tra pochi giorni, la prossima settimana a Strasburgo, verrà finalmente messa in piedi una Commissione di Inchiesta sul fenomeno droga, sul traffico della droga e la criminalità organizzata nella Cee. Vedremo se il Parlamento Europeo non svuoterà di senso anche questa commissione come ha fatto con un altro comitato, boicottato in tutti i modi e infine affossato.
5. L'Italia. Abbiamo finalmente la relazione del Governo sull'andamento della legge. Una relazione interessante perché ci offre molti dati. L'andamento della situazione è sintetizzato molto efficacemente dallo stesso rapporto, quando fa il punto su gli eventi del 1990 e degli anni precedenti: "Sono aumentati il numero dei servizi e il numero dei tossicodipendenti in trattamento, i sequestri di grossi quantitativi di droga, il numero dei consumatori segnalati e di quelli deferiti alla autorità giudiziaria da parte delle forze dell'ordine. Comparando tra di loro tutti questi dati statistici relativi all'andamento del fenomeno nell'ultimo quinquennio si giunge, necessariamente, alla considerazione che nonostante l'aumento delle strutture di cura e riabilitazione e, quindi, del numero di tossicodipendenti seguiti, che nonostante una maggiore incisività della lotta alla droga da parte delle forze di polizia, che nonostante un maggior allarme sociale e quindi un maggior impegno nei settori della prevenzione e de
ll'informazione sugli effetti della droga, il fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti non è ancora comunque in fase di regressione. Questa considerazione, lungi dal creare un inerte allarmismo sociale, vuole sottolineare l'opportunità di non abbassare né la guardia né l'attenzione su un fenomeno che ha evidenti e diretti riflessi su tutta la società".
E poi si spiega: "Mentre negli ultimi cinque anni il numero dei tossicodipendenti in cura è poco più che raddoppiato, quello dei morti per droga è quadruplicato e quello dei malati di Aids tra i tossicodipendenti è aumentato addirittura di otto volte".
Questi sono i dati che ci vengono dal Governo. Da soli basterebbero a far chiedere le dimissioni credo di una serie sterminata di ministri, sottosegretari e responsabili di coordinamenti. E invece per il paradosso che c'è intorno al fenomeno droga, quanto più grave è il problema e quanto più esso si aggrava, tanto più si acquista autorevolezza di fronte allo scenario politico interno e internazionale. Per cui il ministro Gava era osannato nel mondo come il ministro della camorra e della mafia, voglio dire il ministro che doveva fronteggiare la camorra e la mafia. E quanta più mafia e più camorra c'erano in Italia grazie, forse, anche al ministro Gava e alla sua politica, tanto più cresceva il suo prestigio internazionale e questo vale per chi è succeduto.
Devo aggiungere che la relazione governativa contiene una serie di dati e ma anche una serie di dati truccati. Alcuni di questi trucchi li abbiamo documentati attraverso le ricerche dell'Osservatorio delle leggi sulla droga del CORA, che sta cominciando a funzionare e che vi chiediamo di aiutare, iscrivendovi al CORA e contribuendo anche a queste iniziative particolari. E uno di questi imbrogli riguarda il numero dei morti per droga. Premetto che noi abbiamo sempre detto che il numero assoluto dei morti per eroina è un elemento che non deve usato politicamente; e invece il settore proibizionista lo ha sempre fatto, asserendo che questo era un dato catastrofico. Mille o duemila che siano i morti, ciascuno è importante, anche perché con una politica sanitaria più seria la stragrande maggioranza di loro si sarebbe salvata, ma non possono farci dimenticare gli 80.000 morti tra i fumatori per malattie che non avrebbero contratto se non consumassero tabacco, i 30.000 morti tra i consumatori eccessivi di alcol e
le vittime innumerevoli e neppure contabilizzate fra quanti assumono delle droghe battezzate psicofarmaci (una cifra per tutte, a questo proposito: 23 milioni di ricette di Tavor in un anno nel nostro paese).
Non si calcola sul numero dei morti per overdose, abbiamo sempre detto, la validità di una politica. Ma quando il numero dei morti per overdose aumenta e continua ad aumentare il Governo non può dirci "dobbiamo fare una legge più severa" e poi se questo numero continua ad aumentare ripetere "vedete avevamo ragione, era necessaria la legge più severa, perché il numero continua ad aumentare". Questo è un imbroglio. E' un imbroglio politico.
Ma c'è un imbroglio anche sulle cifre: dice il Governo che nei primi sei mesi dell'anno, fino all'entrata in vigore della legge, l'aumento dei morti rispetto all'anno precedente è stato del 22%; nei mesi successivi è sceso al 13,6%. E' una manipolazione spregiudicata delle cifre, poiché si tace che nei mesi dell'estate c'è stato un aumento soltanto del 2% (forse perché nel 1989, come spesso succede in estate, il numero dei morti aveva subito forti oscillazioni rispetto ai mesi precedenti). La realtà può essere meglio letta nel modo seguente: nei primi nove mesi del 1990 l'aumento delle vittime di overdose era stato del 16.4%, nei tre mesi finali del 1990 del 21,9%. Il peggioramento è netto proprio negli ultimi tre mesi dell'anno, nei primi mesi in cui forse la legge ha cominciato a funzionare. Noi abbiamo costruito degli strumenti di verifica e di controllo proprio perché attraverso questi giochi si finisce con l'influenzare l'opinione pubblica. Anche perché gli organi di stampa non aspettano altro per sp
arare titoli fasulli. Come quando scrivono che la metà di coloro che sono stati segnalati ai prefetti è finita in comunità. Questo è falso: l'unica cosa vera è che sono stati rimandati ai centri sanitari pubblici, come succedeva prima della legge; semmai questo passaggio in più dal prefetto non fa che ritardare proprio l'arrivo ai centri pubblici.
Nel nostro paese negli ultimi sette anni - e questo spiega anche la dimensione del fenomeno sociale - ci sono state denunce tra i consumatori nell'ordine di 105.000 persone denunciate e tra gli spacciatori e i trafficanti nell'ordine di 156.000 persone denunciate o arrestate. 150.000 persone che appartengono presumibilmente a tempo pieno all'economia della droga e che sono state individuate; pensiamo a quante altre appartengono all'economia clandestina della droga. Nonostante tutta questa attività repressiva - e bravi bisogna dire ai carabinieri, ai poliziotti e alla guardia di finanza, bisogna dirlo sinceramente perché svolgono molto bene il lavoro che le leggi affidano loro- il Governo ci spiega che niente cambia se non in peggio, sotto il profilo del numero consumatori, della diffusione delle sostanze, delle conseguenze sanitarie. Il Governo afferma che è ragionevole ritenere che in Italia ci siano 300.000 persone che ogni giorno, anzi -si precisa- 25 giorni al mese, fanno uso di almeno un grammo di ero
ina. E poi proclama, e ne dà notizia con conferenze stampa e grande risonanza televisiva, che sono stati sequestrati nel nostro paese 898 Kg di eroina, quasi 900 Kg, grande successo delle operazioni di polizia.
Ma se uno fa un calcolo molto semplice, e moltiplica i 300.000 consumatori per il grammo di sostanza che adoperano ogni giorno, scopre che in realtà sono stati sequestrati -grazie a non so quante migliaia di miliardi stanziati, grazie a non so quante decine di migliaia di persone che lavorano solo su questo, grazie a non so quanti coordinamenti, a non so quanti ore di attività di ministri impegnati in riunioni all'interno e all'estero eccetera eccetera- sono state sequestrate dosi per tre -dico tre- giorni dell'anno. E scusate se questa non è un'idiozia, non è uno spreco, non è un imbroglio nei confronti dei cittadini contribuenti che hanno il diritto di aspettarsi dal Governo che hanno scelto -comunque l'abbiano scelto- un servizio e non invece dei messaggi allucinogeni che confondono la realtà.
6. Che fare, come sviluppare la campagna antiproibizionista? La nostra attività si deve svolgere su due piani: il piano culturale, della comunicazione scientifica da una parte e il piano politico, dell'intervento, dell'azione diretta dall'altra. Noi cerchiamo di muoverci con le nostre forze -piccole forze - su tutti e due i piani. E' stata costituita, grazie allo sforzo del Partito Radicale e di moltissimi che magari non hanno ricevuto in questi anni nemmeno una comunicazione per ringraziare del sostegno dato alla sua costituzione, la Lega Internazionale Antiproibizionista. Lavora tra mille difficoltà organizzative e finanziarie, ma ha cominciato a lavorare. Ha fatto dei congressi, ha fatto delle conferenze stampa, ha acquistato nel mondo, nei mezzi di comunicazione di massa internazionali, un suo prestigio: la sigla LIA o IAL significa qualche cosa oggi nella politica internazionale sulla droga.
La LIA sta mettendo a punto un progetto di comunicazione a livello degli opinion-makers, i decisori e si spera anche i finanziatori potenziali di una campagna antiproibizionista. Saranno prodotti, probabilmente nei prossimi mesi, documenti su alcuni argomenti chiave della politica antiproibizionista: i costi sociali (la delinquenza, il crimine organizzato, la corruzione), i costi istituzionali (il peso finanziario della guerra alla droga, la fine della presunzione di innocenza, l'abolizione segreto bancario, anche laddove questo è una garanzia per la concorrenza leale), l'erosione dei diritti fondamentali dei cittadini negli stessi Paesi occidentali (procedure sommarie di polizia, esplosione delle carcerazioni, ripristino della pena di morte, e Amnesty ha dovuto aprire una nuova sezione a questo proposito).
Questo genere di costi sono i più gravi. Se anche non sono quantificabili in numero di vittime o in denaro, è un prezzo pesante di libertà civili quello che noi paghiamo a una politica sbagliata, che non raggiunge nessun risultato se non quello di accrescere l'armamentario poliziesco e repressivo. E impedisce alle polizie di contrastare le reali minacce all'ordine pubblico e alle istituzioni della democrazia. Altri temi di iniziativa della Lega saranno l'aggravamento dei problemi sanitari (con la difesa di quelle esperienze di politica sanitaria che oggi convivono col proibizionismo -anche se con grandi difficoltà, anche se sempre minacciate nella loro esistenza a livello interno e internazionale- a Liverpool, ad Amsterdam, a Zurigo o ad Amburgo);
e ancora la distorsione dei mercati prodotta dai profitti del traffico di droga, il deterioramento dei rapporti tra Nord e Sud. Infine, ovviamente, le nostre proposte per il dopo-proibizionismo, costituendosi la Lega in un foro libero di dibattito tra i sostenitori delle tesi del libero mercato e quelle dell'intervento statale e del monopolio statale.
Oltre che partecipare all'attività della Lega, siamo in contatto con le organizzazioni internazionali come la Drug Policy Foundation o l'Aclu (l'Associazione per la difesa delle libertà civili) negli Stati Uniti.
In Italia e in Europa il Partito Radicale sta cercando di valorizzare in ogni caso le possibilità di discussione. Cosi' ad esempio Il CORA di Bruxelles ha promosso a gennaio, con l'Università Libera di Bruxelles, un dibattito molto importante in cui il ministro degli Interni del Belgio ha finito per schierarsi con Marco Pannella, a sostegno di una politica non repressiva verso i consumatori contro l'ex direttore della DEA, la principale agenzia di repressione del traffico e del consumo di droga negli Usa.
7. Una parola sull'esistenza e l'attività del CORA. Nell'anno passato abbiamo avuto oltre 1.800 iscrizioni, e quasi 900 erano aderenti e cioè persone non iscritte al Partito Radicale, che si avvicinano da altre forze politiche o dalla loro condizione di indipendenti ad una associazione radicale e alla lotta politica antiproibizionista.
Il CORA ha realizzato, comincia a realizzare, l'Osservatorio delle Leggi sulla Droga grazie in particolare a Carla Rossi, mentre grazie a Luigi Cerina ha costituito CORA-Positif che tratta soprattutto della questione Aids. Vorrei pregarvi di impiegare un minuto ancora di questa relazione per ricordare un nostro amico e compagno che è morto qualche giorno fa. E' morto di Aids dopo esser stato tossicodipendente per qualche anno, dopo aver smesso l'uso dell'eroina fin dai primi anni '80 ed essersi impegnato invece nell'attività di recupero in istituzioni e in comunità. Ilario Maiolo si era avvicinato a noi alla vigilia delle elezioni romane, nel novembre dell'89, convincendosi delle ragioni dell'antiproibizionismo dopo essere stato un fiero avversario delle nostre convinzioni. Ilario Maiolo ha realizzato per il CORA un testo politico fondamentale sull'Aids. Parte da un'esperienza personale ma riesce a tradursi in indicazioni, in punti di lavoro che credo per tutti noi possano essere molto fruttuosi. Vi chiedo
un minuto di silenzio per ricordare Ilario Maiolo e le sue riflessioni su come la vita di centinaia di migliaia di persone che hanno lasciato l'eroina cambierebbe, se su di loro non incombesse la maledizione di una politica irragionevole che li lega per il resto della loro vita, per i pochi anni o mesi che la malattia concede, a un momento dell'esistenza che avrebbero potuto altrimenti potuto superare senza nessun travaglio fisico particolare.
8. Chiudo citando una lettera in cui Lin Ze-Xu, alto funzionario cinese, che sarà uno dei protagonisti della guerra dell'oppio, si rivolge al suo avversario, alla regina Vittoria, e le chiede di impedire la guerra rinunciando al commercio della droga. Scriveva Lin Ze-Xu: "Se c'è gente tanto stupida da cedere a questo bisogno con detrimento della salute, se lo sono voluto, e noi, in un paese cosi' popoloso e fiorente, potremmo infischiarcene. Ma il nostro grande Impero Manchu unificato si considera responsabile delle abitudini e dei costumi dei suoi sudditi e non può restare soddisfatto se li vede vittime di un veleno mortale. Per questa ragione noi abbiamo deciso di infliggere delle pene severe ai mercanti d'oppio e ai fumatori d'oppio, per mettere termine definitivamente alla propagazione di questo vizio". Aggiunge il funzionario imperiale: "Mi si dice che in Inghilterra è proibito, sotto pene severe, fumare l'oppio. Quindi voi non ignorate la sua nocività. Ma piuttosto che proibirne il consumo, sarebbe m
eglio proibirne la vendita, o, meglio ancora la produzione. Sappiate che le leggi che proibiscono il consumo di oppio sono cosi' severe in Cina che, se continuerete a fabbricarlo, scoprirete che nessuno lo acquisterà e che non sarà più possibile realizzare alcuna fortuna economica grazie all'oppio. E allora, piuttosto che disperdere i vostri sforzi in un'impresa che è disperata, non sarebbe meglio che vi dedichiate a qualche altra forma di commercio?"
Naturalmente i narcotrafficanti di allora, la Compagnia delle Indie protetta dal governo inglese e dalla regina Vittoria, la pensarono diversamente: il commercio di oppio continuo', i consumatori non smisero di acquistarlo, i trafficanti si arricchirono, al danno della droga proibita si aggiunsero le devastazioni della guerra. Eppure oggi noi continuiamo a leggere nei rapporti dei governi di tutto il mondo le stesse cose che questo cinese poco saggio scrisse allora alla regina Vittoria e che avrebbero dovuto, nel corso dei decenni e dei secoli, illuminare le coscienze dei governanti e determinare la revisione delle politiche sulla droga.