In questo testo Vanna Barenghi, consigliere antiproibizionista alla Regione Lazio, esprime le motivazioni del suo voto contrario alla mozione per il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede.
(Replica agli interventi 466 e 469 della Conferenza Droga - Il testo della mozione è al n.3758 del settore Notizie Radicali)
<< Mi si chiede di dar conto del mio voto (e delle mie opinioni) nei confronti di una mozione Santa Sede-Israele, un voto contrario espresso alla Regione Lazio da me, anti-proibizionista e quindi, in qualche modo, legata al Partito Radicale.
Benissimo. Allora vorrei innanzi tutto spiegare qualcosa a chi è interessato a conoscere quel che penso. Io, nella mia ormai lunga vita, non ho mai voluto iscrivermi a nessun partito, e pur essendo stata sempre molto vicina al partito comunista, molto vicina, non ho mai voluto chiederne la tessera. E questo perché io proprio non riesco a seguire "linee" di partito, linee di pensiero che non mi appartengono. E' questa la ragione, invece, per la quale - al contrario - mi sono iscritta al partito radicale dove penso ognuno possa tranquillamente esprimere la propria opinione senza dover essere richiamato a una qualche regola o regolamento. E continuo a pensare di non aver sbagliato.
Detto questo passiamo al "merito" della questione: innanzi tutto io ho sentito questa mozione come assolutamente ridicola (oltre che del tutto inutile): ridicola perché l'idea, soltanto l'idea che una Regione condotta con metodi che non ho nessuna voglia di qualificare potesse "richiamare" la diplomazia vaticana, una diplomazia centenaria e raffinatissima, l'idea che la Regione Lazio e i suoi componenti potessero pensare di insegnare o suggerire a chicchessia come ci si deve comportare in non importa quale situazione è qualcosa che non può neanche "gridar vendetta" proprio perché soffocata dal ridicolo e quindi priva di voce.
Detto anche questo, vediamo le ragioni di opportunità politico-giuridiche che mi hanno portato a esprimere il mio voto contro la mozione di cui è promotore Primo Mastrantoni. Intanto, e questo aiuterebbe molto, mi piacerebbe che i miei interlocutori comprassero "Civiltà Cattolica" del 16 febbraio, la ben nota rivista dei gesuiti. Vi troverebbero nove fitte pagine, scritte da un padre gesuita (Giovanni Caprile), intitolate "la Santa Sede e lo Stato d'Israele". In queste nove pagine Caprile, gesuita nutrito di quella fine diplomazia di cui parlavo prima (e che francamente difetta alla Regione Lazio) spiega in modo credo esauriente e articolato, molto articolato, le ragioni del rifiiuto non di riconoscere, badate bene, ma di allacciare rapporti diplomatici con Israele da parte della Santa Sede. Difatti Israele è "riconosciuta" dalla Santa Sede che, più volte, ne ha parlato attraverso gli interventi del Papa e non solo.
I rapporti diplomatici sono un'altra cosa e, dice il padre gesuita "dipendono da un insieme di circostanze e valutazioni". Tanto è vero che la Santa Sede ha allacciato rapporti diplomatici con gli Stati Uniti solo qualche anno fa e non si può certo pensare che non ne "riconoscesse" l'esistenza; tanto è vero che la Santa Sede non ha rapporti diplomatici con il Sud-Africa né con la Giordania; non li ha ancora con il Messico e con l'URSS; non li ha avuti, fino all'anno scorso con la Polonia e con gli Stati dell'Est Europa.
Nel nostro caso, le ragioni per cui la Santa Sede non allaccia rapporti diplomatici con Israele sono, dice Giovanni Caprile, "giuridiche". Fondamentalmente sono tre le "difficoltà" che la Santa Sede incontra su questo terreno.
La prima difficoltà: il non risolto problema palestinese. "La Santa Sede ritiene che si tratti di una situazione di ingiustizia internazionale che continua a colpire persone più deboli e che non può essere accettata".
La seconda difficoltà è lo "status" di Gerusalemme. Occupata militarmente da Israele nel 1967 e, poi, "nel 1980, con decisione unilaterale, annessa." Una decisione che la Santa Sede considera contraria ai principi del diritto internazionale, una decisione dichiarata nulla e come non avvenuta da un'apposita risoluzione dell'ONU - 20 agosto 1980. La Santa Sede ritiene che Gerusalemme debba, in quanto città santa per ebrei, musulmani e cristiani, avere uno statuto speciale, garantito internazionalmente.
La terza difficoltà consiste nella condizione "francamente preoccupante e incomprensibile in uno stato moderno - in cui si trovano a vivere le comunità e istituzioni cattoliche e cristiane in genere - in Israele e nei territori da esso amministrati." Potrei continuare ma è meglio che vi compriate Civiltà Cattolica di febbraio per togliervi ogni altra curiosità.
Io queste cose le conoscevo da tempo ed è per questo che ho considerato assurdo che una Regione Lazio, una "istituzione" di così basso profilo volesse, senza alcuna autoironia, "dire la sua" solo e soltanto per sentirsi esistere, visto che ad altri livelli non solo non ci riesce, ma non ci prova neanche.
E' per questo care compagne e compagni, che ho dato il mio voto contrario: sono, una volta tanto, totalmente d'accordo con la Santa Sede.
Vanna Barenghi