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Conferenza Partito radicale
Cicciomessere Roberto - 3 aprile 1991
Conversione industriale del settore bellico

Ben poco si è fatto in questi anni sia per approfondire le problematiche della conversione industriale del settore bellico, sia per elaborare progetti pilota in determinati comparti.

Anche la commissione istituita in Italia dall'ex ministro Fracanzani su questo argomento non mi risulta abbia prodotto alcun risultato.

In pratica l'unica base teorica attendibile rimane quella di Seymour Melman. Dai suoi studi si ricavano essenzialmente due indicazioni:

1) la conversione delle industrie belliche è molto difficile soprattutto perché queste aziende sono organizzate su presupposti estranei al mercato e cioè sulla massimizzazione dei costi. Il committente infatti non bada al prezzo ma chiede solo che l'arma sia più "efficace" di quella del nemico. Tanto per rimanere nell'ambiente informatico, un computer che continui a funzionare dopo essere stato aviolanciato sia nel deserto che al polo nord non ha proprio grandi possibilità di trovare acquirenti nel mercato civile. La situazione si aggrava in Italia dove l'industria bellica lavora quasi esclusivamente per lo Stato e quindi non deve neppure confrontarsi con la concorrenza internazionale. Per queste ragioni è molto difficile utilizzare queste aziende per produzioni civili che devono invece trovare sbocchi nel mercato e rispondere quindi al criterio della minimizzazione dei costi a parità di qualità.

2) Dalla affermazione precedente si ricava che il costo per la conversione della produzione bellica in una produzione civile è probabilmente insostenibile. Più realistica è la possibilità di convertire la domanda. Se, per ipotesi, lo Stato decidesse di ridurre drasticamente le spese per gli armamenti ed aumentare quelle per la protezione civile, per la tutela delle coste, per la lotta all'inquinamento o per costituire delle vere e proprie forze di pronto intervento contro le catastrofi naturali e alimentari nel mondo, probabilmente settori come quello cantieristico, quello aeronautico ed anche quello elettronico potrebbero trovare opportunità per una conversione meno traumatica dal militare al civile. Basti pensare all'Italia e alla sua carenza di naviglio costiero, di mezzi di soccorso, di reti di rilevamento in tempo reale delle catastrofi ambientali o naturali.

Queste brevi indicazioni solo per "smorzare" eccessivi entusiasmi su una prospettiva di lavoro, quella della conversione delle industrie belliche, che non è né facile né popolare.

Una traccia utile può essere ricavata dal progetto di legge presentato da Francesco Rutelli a questo proposito (ARCHIVIO PARTITO RADICALE, testo n.2385). Una base d'iniziativa importante è poi costituita dalla mozione sulla non proliferazione delle armi convenzionali presentata alla Camera da deputati di tutti i gruppi politici (ARCHIVIO PARTITO RADICALE, testo n.2279) che lega il divieto di trasferimento di armi nei paesi sottosviluppati alle necessità di questi paesi di acquisire le tecnologie indispensabili per lo sviluppo.

 
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