da tempo sono collegato con agorà ma non ho mai avuto il coraggio di scrivere in una conferenza, non mi sentivo all'altezza di intervenire in un dibattito che si dice radicale. Ma adesso qualche riga devo scriverla, ho bisogno di conforto radicale!Quando si facevano le battaglie sul divorzio, sull'aborto, sull'obiezione di coscienza credo che comunque ci si dovesse sentire piccoli piccoli al confronto dei grandi gruppi di pressione che avevamo come avversari politici. Sono certo che però in molti di noi c'era, oltre alla convinzione di stare "combattendo" per una causa giusta, la certezza che, se non le masse, perlomeno parte degli individui che riuscivamo a contattare condividevano, se non i modi, la sostanza della nostra azione politica. Io non ho più questa convinzione, la gente ma soprattutto i giovani non crede più nel sociale. Sento che mi si sgretola sotto i piedi il terreno della nostra azione politica.
Come dissi anche al congresso, gran parte dei miei coetanei non sa cosa sia lo stato di diritto, quasi diffida di chi parla di diritto perché confonde quest'ultimo con la politica (che è invece strumento di modifica del diritto stesso). Facendo grande confusione finisce per negare l'uno e l'atra, preferendo a tutto la negazione del diritto e del confronto politico. Ma questa è la strada per l'affermazione di regimi nei quali il diritto e negato, nei quali vengono meno quei principi che sono il riferimento e la base della nostra azione politica.
Non voglio, non mi piace, sentirmi un animale in via di estinzione in quanto radicale ma soprattutto in quanto impegnato politicamente. Ogni comunicazione su agorà del tesseramento mi ricorda proprio questo: quanti animali della specie radicale sopravvivono ed in quali paesi. Non ho chiaramente soluzioni ne strategie, volevo solo comunicare con gli esseri della stessa specie a cui appartengo la disperazione che sento per aver scoperto che l'abitat sociale nel quale operiamo sta diventando invivibile per chiunque voglia e senta di impegnarsi socialmente.
Francesco