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Conferenza Partito radicale
Buonfantino Francesco - 18 maggio 1991
OBIETTARE ALL'OBIEZIONE

OBIETTARE ALL'OBIEZIONE

Sono radicale ed obiettore di coscienza da molti anni. Mi sono trovato durante la guerra del Golfo a dover vivere da latitante perché la mia domanda di servizio civile è stata rifiutata e sono stato chiamato alle armi, ho dovuto per questo riconsiderare il problema dell'alternativa al servizio militare. Pensare di preferire il carcere militare alla naia. Per me, come per chiunque cresce in realtà che hanno fra i loro scopi la pratica della non violenza, la scelta di fare il servizio civile diviene quasi naturale. Si continua a vivere e frequentare le strutture che hanno organizzato il proprio impegno politico e sociale risparmiando alle proprie coscienze la sofferenza di dovere esercitarsi a praticare la violenza per "difendere lo stato". Talvolta questa è una scelta di comodo; un anno di servizio civile può essere anche molto più duro di un anno di naia ma, avendo fatto una scelta in coscienza, qualunque fatica diventa più o meno accettabile. Questa potremmo dire "condizione di coscienza preconcetta" mi ha

portato, ma credo che questo valga per molti obiettori, ha ritenere che la sola scelta del servizio civile valesse già di per se quale contributo alla costruzione della pace. La domanda rifiutata e la guerra che in quei giorni imperversava mi hanno fatto comprendere che questo non bastava e che addirittura potesse diventare un alibi al concreto impegno per la pace, la scelta del servizio civile.

Quale concreto contributo alla pace può rappresentare il servizio civile svolto presso istituti per anziani, organizzazioni ambientaliste, strutture del paraecclesiasico, associazioni di partito, addirittura amministrazioni comunali?

Tutte queste forme di servizio civile sono uno straordinario esempio di volontariato, di abnegazione e volontà, di impegno sociale, ma non hanno alcuna relazione con quello che possiamo intendere per difesa della patria. Si proprio difesa della patria, ma non quella definita dai confini nazionali, piuttosto quella del Diritto, delle libertà dell'individuo, della democrazia, quella insomma negata dai regimi totalitari, dalle realtà dalla democrazia negata.

Allora i dubbi crescono. Perché accettare di fare questo tipo di servizio civile sostitutivo alla leva militare quando credo sia chiaro che nella maggior parte dei casi esso svilisce le spinte "pacifiste" di chi lo ha scelto negli angusti ambiti del volontariato. Deve essere possibile svolgere il servizio alternativo lavorando concretamente per la pace. dobbiamo eliminare dalla nostra cultura la convinzione che tutte le esperienze ed i lavori che potremmo definire eco-catto-sinistrosi diventino automaticamente azioni per la pace. La costruzione di una cultura di pace richiede lavoro concreto, serio, che non deve essere confuso e deviato.

Queste riflessione credo siano necessarie all'interno del movimento pacifista, pena l'affossamento delle spinte, forti e concrete, che hanno caratterizzato l'impegno per la pace di moltissime persone durante il conflitto del golfo. Come radicale non-vilento prima, ma come obiettore dopo, mi auspico quindi che proprio le associazioni che sino adesso hanno utilizzato gli obiettori comincino a porsi il problema di rispettare la scelta di "pace" che l'obiettore ha fatto senza fagocitare la scelta stessa in azioni di mero volontariato.

Credo sia necessario ed opportuno innescare, sulle pagine di agorà, un ampio dibattito su questi temi. L'utenza della nostra rete telematica non è fatta solo di radicali anzi spesso chi vi scrive è vicino a quelle associazioni che usano gli obiettori per i più svariati scopi. Forse mi sbaglio ma credo si necessario avviare un'attenta riflessione sull'organizzazione del lavoro degli obiettori di coscienza, divenuti oramai una vera forza (trentamila domande nel 1990) per scrollarci da dosso l'imprimatur dei primi della classe in pacifismo e cominciare a lavorare per costruire una diffusa cultura della pace e del Diritto.

 
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