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Conferenza Partito radicale
Besseghini Dario - 14 giugno 1991
Sono la tessera PR '91 n. 3052.

Sabato 1 Giugno mi sono iscritto al Partito Radicale del 1991. Ho poi ricevuto un Postel che mi comunicava il mio numero di tessera.

Nella mia vita ho sempre avuto in tasca un grande quantità di tessere, da quella del Club Alpino Italiano a quelle di non meno di una decina di organizzazioni esperantiste... ma questa è la prima volta che ho la tessera di un partito e sí, sono un po' emozionato.

Certo, a metà degli anni '70 (quando, cioè, avevo quindici anni) frequentavo la sede del PRI della città di provincia dove abitavo (Bergamo), e poi, cambiata provincia, nell'82 ho lavorato come interprete dal russo e dallo spagnolo al festival nazionale dell'Unità di Tirrenia; ma le mie esperienze con i partiti si fermano qui.

Invece, ho dedicato praticamente tutta la mia vita ad attività di vario genere all'interno di quell'insieme di associazioni, organizzazioni, club che di solito chiamiamo "Movimento Esperantista". Non solo: tra gli esperantisti, appartengo a quello "zoccolo duro" che considera la lingua Esperanto la sua lingua principale, quella in cui i pensieri e le emozioni diventano parole nella maniera piú spontanea. Quindi, appartengo ad una minoranza linguistica (so benissimo che questa minoranza non è la stessa cosa dei Baschi, dei Sardi o dei Curdi).

Come tutti i membri di una minoranza, ho da tempo immemorabile imparato che la mia esistenza scandalizza la maggioranza.

Chiunque abbia voluto informarsi sa che la mia minoranza è stata (ed è ancora) perseguitata dovunque sono state e sono perseguitate tutte le minoranze "scandalose": gli omosessuali, gli ebrei, gli anarchici, eccetera, eccetera, eccetera... ma anche dove non c'è persecuzione, c'è però, quando va bene, diffidenza, e quando va male, scherno.

Credo che sia anche per questo motivo che tutte le volte che ho votato mi sono sempre trovato a seguire le indicazioni elettorali del PR (e quando il PR non si è piú presentato ho votato antiproibizionista, se lo volete sapere); lo consideravo (e lo considero) l'unico partito in grado di mobilitare le mille minoranze per le grandi battaglie di interesse generale, dell'Italia prima, del pianeta ora.

Un po' maliziosamente, posso anche dire che in qualche modo riconosco nell'incredibile ambizione di questo partito di fare politica a livello transnazionale con poche migliaia di membri la stessa stoffa, la stessa ambizione degli esperantisti che, ridicolmente pochi, non si sono stancati di proporre la loro lingua per la comunicazione mondiale e, per fare un esempio, continuano a tradurre in essa tutto il traducibile (per non parlare di ciò che vi scrivono in originale) ben sapendo di poter disporre di un mercato librario piú modesto di quello del danese...

Senza dubbio molti esperantisti, però, hanno considerato e considerano piú gratificante autoemarginarsi, parlare tra di loro la propria lingua, ritagliarsi propri spazi e goderseli. Questa tentazione l'ho avuta anch'io; essenzialmente vuol dire pensare: "Il mondo ci considera imbecilli? bene, noi consideriamo imbecille il mondo e ci godiamo le nostre amicizie e i nostri contatti su tutto il pianeta. Se c'è chi si accontenta di una vita senza l'Esperanto, affari suoi". Sto scrivendo questo testo perché ho superato questa tentazione: sono qui perché credo che la scommessa "del possibile contro il probabile", la scommessa di una lingua che sia di tutta l'umanità, per salvaguardare tutte le altre lingue, possa e debba ancora essere giocata.

Nella mia attività esperantista ho incontrato decine di volonterosi parlamentari e assessori democristiani-socialisti-comunisti, pronti a fare discorsini ai nostri convegni, nello stile: "Qui nella nostra città si incontrano il Nord e il Sud, l'Oriente e l'Occidente. Buona scelta è stata dunque quella di far convenire qui da tutta Europa dei giovani nel segno di una lingua comune (bla bla bla)". Quando ho sentito Marco Pannella al congresso nazionale di Esperanto di Padova lo scorso autunno, ho potuto apprezzare tutta la differenza: per la prima volta ho sentito un politico dire, in sostanza, "la mia battaglia è la vostra battaglia: queste potrebbero essere le cose da fare assieme...". La mia iscrizione è senz'altro frutto di quel discorso (sta anche qui in Agorà, se lo volete leggere...). Inoltre, credo che un partito transnazionale, una "internazionale ad accesso diretto" sia la casa adatta per chi, come gli esperantisti dello "zoccolo duro", transnazionale lo è da sempre.

Domenica 2 Giugno c'è stato, nella sede del PR a Roma, il congresso della "Esperanto" Radikala Asocio - COordinamento per la Democratica Integrazione Culturale Europea (Radio Radicale l'ha trasmesso in diretta). Nonostante i risultati molto positivi, io ho sentito che le diffidenze reciproche dei radicali verso gli esperantisti e degli esperantisti verso i radicali non sono ancora sparite (un grazie di cuore a Pannella e Stanzani che sono intervenuti per contribuire a questa sparizione), e quindi temo che ci sarà molto, molto lavoro ancora da fare; questo però non ha mai spaventato né gli esperantisti né i radicali.

Dario.

 
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