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Conferenza Partito radicale
Caravaggi Caterina - 23 settembre 1991
Consiglio Federale Pr: Carlo Ripa di Meana

Si è svolto a Roma dal 19 al 22 settembre il Consiglio Federale del Partito radicale. Alla riunione è intervenuto, come membro di diritto del Consiglio Federale in quanto parlamentare iscritto al Pr, Carlo Ripa di Meana, Commissario CEE. Di seguito il testo del suo intervento:

Roma, 19 settembre 1991

Crisi del Golfo, crisi sovietica, crisi jugoslava, una nuova organizzazione per l'Europa. Scontate le critiche sul ruolo della Comunità: esitante, confuso, contraddittorio, comunque non determinante.

Il vero problema, però è quello di capire se il "febbrone" che ha reso e rende così impacciato il cammino dell'Europa, dalla crisi del Golfo in poi, in questi fatidici tredici mesi - riconosciamolo, estremamente difficili - è dovuto a una crisi di crescita nella complessa transizione verso la Comunità europea di domani, oppure segnala un male irreversibile o comunque un'incapacità congenita a assumere le responsabilità che le accelerazioni della storia impongono.

Ci sono buoni motivi, compreso un doveroso ottimismo della volontà per propendere per la prima ipotesi, ma non mi sento purtroppo di escludere la seconda. Tutto dipenderà dalla terapia che sapremo mettere in atto la subito per far fronte alla crisi jugoslava, per preparare e far riuscire la conferenza intergovernativa, per uscire dal falso dilemma allargamento o approfondimento della comunità.

Comunque un vizio genetico di base nell'atteggiamento comunitario esiste e va estirpato con decisione, altrimenti le cure saranno inutili: si tratta di quel riflesso conservatore, quasi burocratico, che continua a caratterizzare le reazioni comunitarie di fronte a avvenimenti certamente difficili e imprevisti, ma che richiedono grandi capacità di immaginazione politica, lungimiranza ed anche coraggio.

La crisi dell'impero sovietico, interna ed esterna, appariva come evidente, eppure alla rivendicazione di indipendenza dei Paesi Baltici, l'Europa comunitaria ha risposto con appelli alla prudenza e con richiami, talvolta anche severi, al realismo della politica.

Lo stesso rifesso ha accompagnato e accompagna ancora le cancellerie europee confrontate alla progressiva disgregazione dell'impero sovietico e alla frantumazione irreversibile della Jugoslavia.

Certamente i problemi e gli interrogativi sulla futura organizzazione di queste aree così tormentate della storia esistono e sono anche drammatici, ma come pensare di risolverli cercando di confermare, di fatto, situazioni e rapporti avvelenati e incancreniti da decenni e decenni di convivenza coatta, che mai hanno tenuto conto della storia e delle aspirazioni di quei popoli.

I dodici, certamente imbarazzati dal sussistere, anche al loro interno, di differenze di etnia e di lingua, di religione e di economia, non hanno ancora definito una posizione comune, di fronte alla prospettiva del nascere i nuovi Stati europei.

Ma che realismo politico è mai quello che rifiuta il riconoscimento dell'indipendenza della Slovenia e della Croazia perché teme, sotto sotto, il contagio secessionista in talune regioni dell'ovest europeo?

Quali analogie esisteranno mai tra Croazia, Serbia e Slovenia tormentate da storie diverse, odii e tensioni etnico-religiose secolari, grandi diversità economiche e culturali e quelle regioni europee, che pur avendo una tradizione economistica, sono inserite in un continuo processo di evoluzione e di integrazione, sia a livello nazionale che comunitario?

Certamente esiste anche nelle cancellerie europee, la preoccupazione per quello che viene ormai definito come il progetto di una grande area del marco da Rotterdam a Zagabria. In sostanza quindi il timore del progressivo affermarsi di un'egemonia tedesca in Europa.

Ma la grande questione del dinamismo tedesco va affrontata e risolta all'interno della Comunità europea, attraverso il suo rafforzamento istituzionale e democratico, l'estensione dei suoi poteri e con un grande impegno di persuasione politica nei confronti di quegli Stati Membri, come la Gran Bretagna, ma non solo lei, che continuano ad illudersi di organizzare il loro futuro con alleanze privilegiate e la creazione di zone di influenza. Quest'ultima strada, già percorsa tante volte nel passato, segnerebbe la fine della Comunità Europea e creerebbe proprio quelle condizioni di destabilizzazione in Europa che suscitano giustamente tanti timori.

La soluzione della crisi Jugoslava è un passaggio obbligato che condizionerà in modo determinante il futuro della Comunità europea. E' necessario fare subito, oggi, quello che doveva essere fatto ieri, e cioè riconoscere l'indipendenza della Slovenia e della Croazia e mantenere e accrescere la pressione economica sulla Serbia, garantendo a Belgrado una equa composizione dei problemi che, in ogni caso, rimarranno aperti con il riconoscimento dell'indipendenza della Croazia. La questione di una forza militare di interposizione che rischia, comunque, di adempiere a una ennesima funzione dilatoria, mentre vanno decisi i passi decisivi e pregiudiziali del riconoscimento della sovranità della Croazia e della Slovenia e delle dure sanzioni economiche commerciali e finanziarie contro il governo serbo.

Che cos'è una forza di interposizione? Prevede due eserciti che si fronteggiano dopo una tregua d'armi. Analogia con il Golfo non tiene. Assenza di qualsiasi base giuridica. Non vi sono le condizioni militari (vedi Gran Bretagna, Germania e Olanda) in cui le condizioni militari e politiche (esercito federale e governo serbi) non vi sono. Offrirebbero solo preziosi alibi ai militari serbi. Non si raggiungerebbero gli obiettivi di pace ma al contrario si produrrebbe una nuova vampata negli scontri e una estensione del massacro.

Il grande interrogativo di fondo rimane quello di sapere che tipo di risposta globale la Comunità saprà dare alla disaggregazione delle entità statali multinazionali del Centro e dell'est dell'Europa. Quale prospettiva saprà offrire ai disperati tentativi dei paesi che cercano di uscire dal gelo economico e politico ce li ha tenuti paralizzati per decenni? Quale futuro saprà garantire a popolazioni che tendono oggi, con una logica naturale e antica, a organizzarsi e a riconoscersi esclusivamente sulla base di identità etniche e religiose. Se il collante delle nuove entità statali rimarrà solo questo, avremo certamente voltato una pagina della storia, ma quella che rimane da scrivere potrebbe presentare drammatici interrogativi.

Il modello di una Comunità Europea Federale è l'unica alternativa valida alla balcanizzazione del continente.

La consapevolezza i potervi far parte in tempi politici, il miglioramento progressivo delle condizioni di vita sono gli antidoti più validi per sconfiggere i germi del nazionalismo.

Ai paesi dell'Est europeo dobbiamo offrire certamente aiuti economici, ma anche una speranza, una grande Idea, permesso di gettare le basi della nostra Comunità.

Ma oggi, purtroppo, la grande questione della progressiva associazione e integrazione dei paesi dell'Est nella Comunità Europea viene strumentalizzata da alcuni Governi per eludere e bloccare il rafforzamento politico-istituzionale della Comunità.

I difensori di un allargamento della Comunità "tutto e subito" fingono di non capire che questo atteggiamento - alla vigilia inoltre della conferenza di Maastricht - significherebbe la paralisi del processo di rafforzamento in corso e il progressivo decadimento della Comunità a zona di libero scambio. Ma un'Europa così diminuita nelle sue ambizioni,priva di una visione unitaria e di strumenti democratici che le consentirebbero di affermare la sua identità, non servirebbe certamente gli interessi dei paesi dell'Et, che hanno bisogno invece di potersi progressivamente inserire in un edificio istituzionale solido, con obiettivi avanzati, in una prospettiva federale di Unione Europea. Questo è il modello di Europa che deve essere un obiettivo comune, sia per gli Stati membri attuali che per quelli che aspirano a farvi parte in un prossimo futuro.

Al falso ecumenismo di coloro che tengono ben stretto il cordone della borsa degli aiuti economici e invocano un'Europa fatta di niente ma buona per tutti, dobbiamo rispondere dando corpo all'ipotesi di una Confederazione Europea con al suo centro la Comunità a 12 - rafforzata nelle sue istituzioni e nelle sue competenze - con il compito di gestire i rapporti di associazione con gli altri paesi europei, sia sotto il profilo economico che quello politico, in una prospettiva finale di adesione.

Questo obiettivo dell'adesione deve essere assunto della Comunità fin da adesso, facendo scattare un meccanismo di progressiva convergenza economica, istituzionale e politica, fermo restando che l'adesione finale si realizzare quando l'azione di solidarietà intrapresa permetterà l'inserimento non traumatico e su un piede di uguaglianza dei nuovi partners.

 
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