Sì, al tossicomane non serve carcere
La legge 162/90, detta anche legge Russo Jervolino-Vassalli, punisce la detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti. E la punisce anche con il carcere. La pena detentiva è prevista, infatti, per chi viene trovato in possesso di quantitativi di droga non superiori alla "dose media giornaliera" - e violi le sanzioni previste dal pretore - nei seguenti casi:
a) se non si presenti al colloquio con il prefetto;
b) non intraprenda o interrompa il programma terapeutico scelto come alternativa alle sanzioni amministrative;
c) venga fermato tre volte con una quantità di droga non eccedente la "dose media giornaliera".
Per questi (anche per questi) c'è la galera.
E stiamo parlando del consumatore di quella che viene definita, pretestuosamente, "dose media giornaliera". Dunque, della fattispecie meno grave.
Il referendum, tra l'altro, vuole abrogare le norme che prevedono la punibilità del consumo. Innanzitutto, per non sommare sofferenza a sofferenza.
La condizione del tossicomane è già estremamente dolorosa: non c'è alcun motivo, né giuridico, né terapeutico, per aggiungere alla sofferenza della tossicomania quella della punizione, della marginalità sociale, della criminalizzazione.