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Bei Francesco - 3 marzo 1992
Dimenticare la Somalia ?

A Mogadiscio si continua a sparare.

In poco più di tre mesi, dal 17 Novembre scorso, gli scontri in quella che era la capitale della Somalia hanno provocato più di 30mila morti, in prevalenza civili inermi, donne e bambini.

Lo battaglia per il controllo della vecchia città-stato trae origine dalla rivalità tra i due clan degli Hawiye, l'etnia del centro del paese che si esprime nella formazione armata del Congresso Somalo Unito (USC), la stessa che fu protagonista il 28 gennaio 1991 della cacciata del dittatore Siad Barre da Villa Somalia.

Le due fazioni in lotta sono quelle del presidente ad interim Ali Mahadi (clan abgal) e del generale Mohammed Farah Aidid (clan hawerghebir). A quest'ultimo, le cui forze controllano ormai la maggior parte di Mogadiscio, deve essere imputata principalmente la responsabilità della destabilizzazione del paese e dei massacri indiscriminati.

Ma il "fattore Aidid" rischia di diventare un fragile alibi per le nove fazioni armate, espressione di altrettante tribù, che dopo la caduta del dittatore non sono riuscite a mantenere gli accordi di pace sottoscritti a Gibuti nel luglio del 1991.

Hanno infatti proceduto alla totale disgregazione del paese, tanto da far dichiarare al ministro degli esteri del governo ad interim Ali Hamud che "la Somalia sta per cessare di esistere come nazione".

Sembra ormai irreversibile la secessione dei territori del Nord-Ovest, popolati dagli Issak del Movimento Nazionale Somalo (SNM, dall'acronimo inglese), che ha proclamato l'indipendenza dell'ex-Somaliland britannico nel Maggio scorso.

Della situazione del centro si è già detto, mentre anche la penisola Migiurtina, dominata dal Fronte Democratico di Salvezza Somalo (SSDF), dispone di una amministrazione regionale propria e ha reclutato qualche migliaio di ex-guerriglieri per costituire un embrione di polizia del nuovo stato.

In questo contesto di drammatica frammentazione è del tutto irrealistico parlare di una ripresa della cooperazione allo sviluppo, se non altro perchè la comunità internazionale non ha ancora proceduto al riconoscimento dei nuovi organi politico istituzionali insediatisi a Mogadiscio : la prudente diplomazia, soprattutto occidentale, non si avventura tra le macerie della Somalia; preferisce attendere l'esito dell'azione mediatrice intrapresa dall'Onu (di concerto con l'OUA,la Lega Araba e la Conferenza islamica) prima di dare credito alle pressanti richieste che in questi giorni le diverse fazioni somale presentano tramite i loro uffici di rappresentanza nelle diverse capitali europee.

L'Italia, nonostante l'appoggio fornito al deposto dittatore, continua a rappresentare un punto di riferimento per la sua ex-colonia se la stessa Usc, protagonista della battaglia in corso a Mogadiscio, ha recentemente rinnovato il suo appello per un ruolo italiano nella mediazione in atto.

Ma il governo della Repubblica (stante anche l'attuale fase di campagna elettorale) non si vuole scottare per l'ennesima volta in questa fetta del Corno d'Africa, teatro del più clamoroso fallimento di politica estera in tempi recenti. Gli ultimi italiani presenti a Mogadiscio dovettero fuggire precipitosamente con un G222 dell'aeronautica dopo la caduta di Barre, mentre la nostra ambasciata veniva devastata da orde di guerriglieri armati fino ai denti.

Non servì a molto neanche l'esperienza della mediazione italo-egiziana : tutti i tentativi di interporre i nostri buoni uffici per riconciliare le varie fazioni non hanno raggiunto neanche l'obiettivo minimo di impedire la disgregazione del paese.

E' difficile immaginare che l'Italia possa intraprendere nuovamente una politica credibile ed efficace in Somalia, sul modello ad esempio di quanto sta avvenendo,sia pur con imbarazzo e difficoltà, nella vicina Eritrea.

Troppo vistoso e troppo dilatato nel tempo è stato infatti il sostegno accordato dai vari governi della Repubblica Italiana (nei primi anni anche col favore del PCI) all'autocrate dittatore di Mogadiscio.

Gli aiuti economici italiani sono stati gli unici ad essere rimasti costantemente in piedi fino all'ultimo, fino agli ultimissimi mesi di vita del regime, quando ormai più di due terzi del paese erano nelle mani dell'opposizione armata.

In questi anni, mentre altri paesi abbandonavano Barre "Bocca Larga" al suo destino, i governi italiani continuavano a fornirgli aiuti di ogni tipo, anche militari come gli aerei G222, P180, ST260, SM109, elicotteri Agusta 212 e 204, carri armati e blindati da trasporto (la fonte è Nigrizia rivista dei missionari comboniani) per massacrare le popolazioni dei territori caduti nelle mani dei guerriglieri. La" cooperazione" italiana allo sviluppo era anche questo.

Nel luglio del 1990, quando l'Italia inizia a prendere le distanze dalla dittatura, sono arrivati in Somalia circa 1500 miliardi (quasi quanto l'intero P.I.L. del paese).

Se è vero che queste responsabilità devono essere attribuite ai tre grandi partiti nazionali DC, PCI, PSI, è doveroso fare delle precisazioni; come ha recentemente scritto qualcuno, nella bandiera della Somalia, al posto della stella potrebbe benissimo campeggiare un garofano.

Nel 1985 il socialista Francesco Forte viene chiamato alla guida del Fondo Aiuti Italiani (FAI), anche se Marco Pannella si era candidato per quell'incarico sulla scia della campagna del Partito Radicale contro la fame nel mondo.

Il 24 Settembre 1985 l'allora presidente del consiglio Craxi conclude la prima visita di un capo di governo italiano in Somalia.

Craxi lascia a Barre un cospicuo aiuto di 550 miliardi.

Nel solo quadriennio 81-84, i mld stanziati sono 310, quasi un quarto di quello che il Fai avrebbe potuto spendere, a dimostrazione ulteriore del rapporto privilegiato dell'Italia con Barre.

Anche l'attuale presidente della Repubblica Cossiga ritiene doveroso tributare un riconoscimento al despota compiendo una visita a Mogadiscio nel 1989.

Questa pioggia di miliardi viene elargita quando dei prigionieri politici detenuti nelle carceri di Barre si sa già tutto, anche grazie agli appelli di Amnesty International.

Ma Craxi si accontenta delle debolissime promesse del dittatore riguardo a processi pubblici per i detenuti politici.

Esemplare è il caso di Mohamed Aden Sheikh, uno dei massimi esponenti dell'area progressista del regime, fatto arrestare dal dittatore nel 1982 e tenuto nel più totale isolamento,nell'inferno del carcere di massima sicurezza di Labatan Girow fino al 1989.

La Somalia, rimossa dalla coscienza dell'opinione pubblica italiana, torna nelle cronache dei giornali il 18 giugno del 1990

quando viene barbaramente ucciso un tecnico italiano, Giuseppe Salvo, nel carcere di Mogadiscio. Il regime tenta di farlo passare per un suicidio, ma l'autopsia rileva che gli hanno fracassato il cranio.

Per i politici che tengono ancora chiusi gli occhi, la doccia fredda arriva il 6 luglio dello stesso anno : Nello stadio di Mogadiscio i berretti rossi della guardia personale di Siad Barre aprono il fuoco sulla folla rea di aver fischiato il dittatore. Il bilancio è di più di cento morti.

A questo punto la sorte del dittatore ed i rapporti con l'Italia entrano nello scontro politico ed il governo si vede costretto a fare marcia indietro.

Viene bloccato l'invio dei professori (strapagati con stipendi che arrivano a 16 milioni al mese) per l'Università nazionale somala.

L'11 luglio 1990 vengono ritirati i 56 consiglieri militari italiani impegnati nell'addestramento dei soldati somali (si, avevamo mandato anche quelli!).

Infine il 12 luglio la commissione esteri del Senato affronta il caso Somalia e chiede il ritiro dell'ambasciatore.

Dopo un secolo dal nostro sbarco in Somalia non si poteva prevedere un esito peggiore.

FRANCESCO BEI

 
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