Intervista a Norberto Bobbio (Giancarlo Bosetti)Da l'Unità del 17 settembre 1993
»Le vittime in Somalia ci costringono a ripensare le modalità degli interventi militari dell'ONU, ma a questi non possiamo rinunziare". Per Norberto Bobbio soltanto le Nazioni Unite possono intervenire in Bosnia:"Le difficoltà e le ambiguità della situazione nascono dal fatto che si indebolisce l'organizzazione internazionale e si rafforza una delle potenze. Siamo passati da una "pace di equilibrio" a una pace non garantita da un "terzo". "Il Consiglio di sicurezza non è più abbastanza rappresentativo, come il Parlamento italiano. E l'articolo 43 dello Statuto dell'ONU è stato disatteso. Così il Terzo assente continua a essere tale .
I ragionamenti di Bobbio sulla guerra e sulla pace sono sempre ispirati a un grande realismo. Se in tutta la sua visione della politica, accanto agli ideali di giustizia sociale e di pace c'è un acuto senso dei rapporti di forza e della forza delle cose, quando si tratta di conflitti tra popoli e tra Stati il suo realismo consiste nel saper riconoscere il peso delle armi e la leggerezza dei buoni argomenti. Il filosofo concludeva la presentazione del suo libro "Una guerra giusta?" (Marsilio Editore), uscito nel '91 alla fine della guerra del Golfo, con questa frase: "non ho mai sentito come in queste ore la vanità di tante parole". E infatti il pacifismo che preferisce non è disarmato, ma istituzionale, come ha spiegato in altri due libri precedenti ("Il problema della guerra e le vie della pace", Il Mulino 1979, e "Il terzo assente", Sonda,1989). La prospettiva di cui Bobbio è convinto, per il mantenimento della pace, è quella del "Terzo al di sopra delle parti", un terzo in grado di soverchiare con la sua
forza le parti in conflitto, così come lo Stato soverchia con la sua i fuorilegge. E questo Terzo altri non può essere che una entità come l'ONU. Ma il cammino di questo Terzo è cosparso di delusioni e, nelle riflessioni di Bobbio su questo tema, abbondano le ammissioni di "difficoltà", "ambiguità". Tuttavia rimane un cammino senza alternative. L'andamento contraddittorio, finora poco efficace e non risolutivo della missione in Somalia, che ha provocato molte vittime, anche tra gli italiani, conferma che la strada di una pace garantita dall'ONU è ancora lunga. Che cosa fare? Rinunciare? " Le vittime di Mogadiscio ci costringono a ripensare le modalità dell'intervento militare dell'ONU -risponde Bobbio-, ma questo non significa che possiamo rinunciarvi. In certi casi l'impiego delle forze armate delle Nazioni unite è fondamentale". E in Bosnia? Qui i massacri sono ricominciati. In Europa e negli Stati Uniti ci sono tenaci sostenitori della necessità di un intervento militare così come ci sono tenaci anti-int
erventisti. Karl Popper e Peter Glotz nelle interviste all'Unità hanno rappresentato le due posizioni. Che cosa ne pensa Bobbio?
D. La differenza principale tra i due punti di vista sta nel ritenerci o no, noi che viviamo in altri paesi occidentali, responsabili di quanto accade in Bosnia. L'idea è stata espressa in modo estremo dallo scrittore Joseph Brodsky, in un articolo uscito in agosto sulla Stampa, con queste parole: "La gente in Bosnia sta scavando quelle che ora chiama "le fosse di Clinton". L'uomo lo merita, il suo paese no.
R. Dubito molto che si possa sostenere una tesi di questo genere. Nello Statuto dell'ONU esiste ancora il principio del non-intervento. Ogni Stato ha al proprio interno una certa sovranità e non siamo arrivati al punto che questo principio possa essere trascurato come irrilevante. Se mai si può dire che la maggiore responsabilità per la pace nel mondo appartiene all'Organizzazione delle Nazioni Unite. Quello che accade in Bosnia non può essere attribuito a responsabilità degli Stati Uniti e dell'Europa (che non esiste dal punto di vista della politica estera) nè dal punto di vista giuridico nè dal punto di vista morale.
D. Brodsky motiva quella tesi proprio su basi morali. "Un individuo etico -ha scritto- non ha bisogno del consenso degli alleati per agire contro quello che trova riprovevole. E l'America è ancora in teoria uno Stato etico".
R. Questa è la provocazione di uno scrittore e, come tale, si può anche apprezzare, ma non mi pare una posizione realistica dal punto di vista politico. La responsabilità non può essere dei singoli Stati.
D. Però furono argomenti di questo tipo e furono anche valutazioni morali a spingere gli Stati Uniti a intervenire nella Seconda guerra mondiale contro Hitler, cinquant'anni fa.
R. Ma in quel caso era chiarissimo chi era l'aggressore. E non sono molti quei casi, ai quali si applica il principio che ha in mente Popper quando dice che si deve "fare la guerra alla guerra". Questa massima non ha un valore universale e assoluto, può valere quando qualcuno aggredisce, inizia azioni di guerra, occupa il territorio di un altro Stato. Allora è lecito reagire, resistere con gli stessi mezzi, contrapporre forza alla forza. Ma non sempre le cose sono così chiare. Nell'ex Jugoslavia si potrà dire che la Serbia è il principale aggressore, ma la Croazia non si comporta nello stesso modo nei confronti dei Serbi? Capita più spesso che ci troviamo di fronte a conflitti in atto o a conflitti potenziali, in cui non è molto evidente a chi vadano attribuite le colpe come, per esempio, nel conflitto tra Israele e i Palestinesi. Fortunatamente ora sembra si sia trovata una via d'uscita che non sia quella di "fare la guerra alla guerra".
D. Dopo che si è combattuto con ogni mezzo per decenni.
R. Ma ora si è arrivati a ritenere che questo contrasto possa essere risolto senza violenza, cioè senza applicare il principio di "fare la guerra alla guerra" che era stato applicato in passato. Adesso si è giunti a riconoscere dalle due parti che le ragioni e i torti erano divisi.
D. Nei Balcani siamo molto lontani da un simile riconoscimento dalle diverse parti.
R. Anche nella guerra jugoslava non è chiaro contro chi si debba intervenire. non c'è un palese aggressore come nel caso di Hitler, o come nel caso dell'Irak nei confronti del Quwait. Ma già nel caso della lunga guerra tra Iran e Irak era difficile dire da che parte intervenire e ciascuno poteva scegliere secondo i propri odi e i propri amori. Così adesso nei Balcani la Germania tende a favorire la Croazia, come la Russia potrebbe essere più favorevole alla Serbia.
D. Allora tra interventisti e anti-interventisti quale punto di vista è oggi più giusto?
R. L'unica soluzione è quella di non schierarsi con nessuna parte, ma di mettersi con una parte che è al di sopra delle parti, cioè con l'ONU. L'unico intervento che io capirei è quello delle Nazioni Unite, che però, bisogna riconoscere, è molto debole mentre i mezzi militari, gli aerei e tutto il resto, come abbiamo visto in Irak e anche in Somalia, sono nelle mani degli americani.
D. L'argomento forte degli interventisti è che non possiamo consentire che in questa parte del mondo avvengano operazioni di "purificazione etnica". Se lo consentiamo qui, lo dovremo consentire in ogni parte del mondo, lasceremo degenerare la civilizzazione dovunque e sarà una catastrofe.
R. Infatti io non sostengo che non si debba fare nulla. Soltanto non credo che debbano intervenire i singoli Stati. E neppure credo che sia in grado di intervenire l'Europa. L'unico soggetto autorizzato a intervenire è l'ONU, perchè è stata istituita a questo scopo. E infatti interviene. Però è debole:questo è il problema.
D. D'accordo, dovrebbe essere questo l'organo della giustizia internazionale, lo strumento dei "buoni", ma di fatto non cammina abbastanza, non viene fatto camminare abbastanza.
R. A rigore l'Onu dovrebbe essere il "terzo" al di sopra delle parti,come lo Stato è un "terzo" al di sopra dei cittadini. Questa è la giustificazione etica a sostegno dell'intervento dell'Onu.
D. E' un "terzo" che dovrebbe ricevere forza e mezzi dai singoli Stati membri, così come lo Stato riceve dai cittadini i contributi fiscali. Ma di fatto gli Stati contribuenti non pagano le loro quote finanziarie e non cedono neppure volentieri quote della loro sovranità e del loro potere militare a un organismo sovranazionale. Se si deve intervenire gli Stati più forti, preferiscono intervenire direttamente.
R. Questa è una delle ragioni delle difficoltà continue dell'Onu. Ora, le crisi nei rapporti internazionali hanno tre possibili soluzioni: una, la più giusta, è quella dell'intervento di un "terzo" al di sopra delle parti; le altre due sono la "pace di equilibrio" (che c'è stata in Europa per secoli e anche negli ultimi decenni con le due superpotenze ed è però instabile), oppure quella che possiamo chiamare "pace d'impero" (quando una delle potenze diventa la più forte e riesce a mantenere la pace con la sola propria forza). Oggi siamo in una situazione intermedia: non si può dire che siamo in regime di "pace d'impero" perché gli americani non detengono un tale potere su tutto il mondo, tuttavia è certo che quella funzione di intervento, che doveva essere propria dell'Onu, la svolgono molto meglio, dal punto di vista della efficacia, gli Stati Uniti. Questa è la causa principale della crisi dell'Onu: l'esercito americano può anche agire a nome delle Nazioni Unite, come è avvenuto con la Guerra del Golfo,
ma la forza è quasi sempre tutta sua. E gli Stati Uniti non sono una entità al di sopra delle parti, sono una delle parti. Ecco perché possiamo dire che il grande ideale da cui è nata l'Onu non è stato realizzato.
D. Ed è possibile realizzarlo oggi?
R. L'Onu è in parte delegittimata, perché il Consiglio di sicurezza, l'organismo che prende le grandi decisioni, è costituito ancora dalle grandi potenze che hanno vinto l'ultima guerra, per cui invece del Giappone e della Germania, che sono effettivamente grandi potenze di oggi, ci sono la Francia e la Gran Bretagna, che lo sono molto meno. Il che non vuol dire che la soluzione consista nel sostituire uno Stato all'altro. Voglio dire soltanto che occorre un Consiglio di sicurezza che sia meglio rappresentativo delle forze reali. E' una situazione paragonabile a quella del nostro Parlamento: la ragione per cui deve essere rinnovato al più presto non è l'alto numero degli inquisiti, come qualcuno sostiene, ma il fatto che non è più rappresentativo dopo i cambiamenti avvenuti nella società civile in questi due anni. E' questa scarsa rappresentatività che lo delegittima, così come delegittima l'Onu.
D. Una maggiore rappresentatività è quindi la condizione perché poi l'Onu abbia poteri militari più ampi?
R. La grande novità dell'Onu, rispetto alla Società delle nazioni, consisteva nel fatto che essa avrebbe dovuto disporre fin dal principio di una sua struttura militare, proprio in base al principio evocato da Popper, che la forza che deve essere, però, oltre che legittima, anche superiore. E questo doveva essere il risultato dell'impegno assunto dagli Stati membri. Ricordiamo l'articolo 43 dello Stato dell'Onu: "...al fine di contribuire al mantenimento della pace e alla sicurezza internazionale, tutti i membri delle Nazioni Unite si impegnano a mettere a disposizione del Consiglio di sicurezza...le forze armate". Questa idea è stata realizzata in modo parziale, probabilmente anche perché ci si era illusi, allora, che se fossero scoppiate delle guerre, dopo la grande tragedia della seconda guerra mondiale, queste sarebbero state guerricciole per fronteggiare le quali sarebbe bastata una truppa bene armata ma di dimensioni modeste. Quella dei Balcani, invece, è una guerra, terrificante e combattuta con mol
te armi da tutte le parti. E, ciò che la rende ancora più temibile, è la prima guerra tra popoli europei dopo il conflitto mondiale.
D. Per intervenire occorrerebbe una forza militare gigantesca. Glotz ha calcolato che, per terra, occorrerebbero quattrocentomila uomini. Popper e altri suggeriscono un intervento aereo come nel Golfo.
R. L'Onu non ha i mezzi per intervenire, anche perché l'articolo 43 è stato disatteso. E un intervento dell'esercito americano, che garantirebbe la forza positiva necessaria da impiegare contro le forze negative da neutralizzare, sarebbe però un'altra cosa. Sono il primo a riconoscere che la situazione è disastrosa. Quanto a un intervento dell'aviazione, come propone Popper, bisogna considerare di un intervento militare non solo se sia legittimo ma anche se sia efficace. Non bisogna mai dimenticare la distinzione tra l'etica dei principi e l'etica dei risultati: si può bombardare dall'alto - come è già accaduto agli Stati Uniti anche in Somalia, per non parlare dell'Irak - per colpire una certa postazione e poi invece non si colpisce il bersaglio e si provocano vittime civili. In Jugoslavia si alimenterebbe in questo modo altro odio e si prolungherebbe il conflitto. Popper può anche non porsi questo problema, ma chi deve prendere decisioni politiche deve farlo. In verità gli intellettuali devono sempre sta
re molto attenti nel dare consigli ai politici, i quali conoscono molti dati che all'intellettuale, chiuso fra le quattro pareti del proprio studio, possono sfuggire.
D. In Bosnia la politica, in verità, non sta facendo una grande esibizione di competenza e di sapienza.
R. Non c'è dubbio. In effetti i paesi europei appaiono impotenti, mentre non si riescono a capire le intenzioni di Clinton, anche se è bene essere prudenti ed evitare giudizi troppo perentori: nonostante le moltissime critiche che ha ricevuto anche a proposito del Medio oriente, l'accordo tra Israele e i Palestinesi è anche un successo del presidente americano. Per questo preferisco, come al solito, sollevare qualche dubbio e ragionare piuttosto che dare consigli.
D. In Europa ci sono anche armi nucleari, a disposizione degli Stati dell'ex Unione sovietica, dove l'economia sta andando molto male, il disordine e la criminalità crescono, e dove sono possibili collassi.
R. Questo pericolo c'è ed è gigantesco. Non credo che sarà la guerra jugoslava a scatenare un intervento nucleare, ma questo pericolo c'è. E' una ragione in più, forse la più importante, per cui avremmo bisogno di un sistema internazionale più coeso e di un'organizzazione delle Nazioni unite più efficiente. Purtroppo assistiamo alla tendenza contraria: si indebolisce l'organismo internazionale e si rafforza una delle potenze. Siamo passati dalla instabilità della pace di equilibrio alla debolezza di una pace che non è garantita da un "terzo" più forte: quello che ho definito il "terzo assente" purtroppo è ancora tale.