Dall'articolo "L'America arrabbiata e divisa", di Furio Colombo - La Repubblica, 23 ottobre '94:
"(...) La pena di morte, negli USA di questi anni, è una parola codice. La sua invocazione riassume e copre l'angoscia per la criminalità e la violenza. Ho visto questa scena in un dibattito televisivo: un campione del pensiero liberale americano, la senatrice Diane Feinstein, si è azzuffata col giovane avversario conservatore nel tentativo di dimostrare di avere, per prima, invocato la pena di morte. Stabilito che la volevano entrambi, è volata l'accusa: ma lei non crede davvero nella sedia elettrica, lo dice solo per avere voti.
Poiché la pena di morte è in vigore in tutta l'America (salvo lo stato di New York, dove Cuomo per ora fa argine) la cosa dovrebbe apparire sensa senso. Purtroppo non lo è. L'invocazione di morte copre la indicibile ma diffusa persuasione che vi sia un rapporto tra criminalità e razza, la certezza che la pena di morte è un avvertimento soprattutto per i neri pericolosi delle aree urbane. Di nuovo, maca del tutto il dibattito.
Statisticamente è vero che - nelle grandi città - il rischio viene prevalentemente dalle zone allo sbando, dai quartieri a rischio, che sono in gran parte poveri e neri. Ma è anche vero (e noto) che in quei quartieri vige la pena di morte spontanea, da strada, che coinvolge anche i bambini. Come può l'invocazione continua della esecuzione capitale di stato essere un deterrente per chi è esposto a quella pena, nelle strade in cui vive, ogni giorno? (...)".