QUANDO ARRIVA IL MOMENTO DI NON TRATTARE PIU'
da Internazionale, 17 dicembre 1994
Maggie O'Kane, The Guardian, 5 dicembre 1994
I negoziatori devono riconoscere che l'unico linguaggio che i serbi bosniaci capiscono è quello della forza
Sono passati 56 anni da quando, a Monaco, Gran Bretagna e Francia, nel tentativo di placare Hitler, presero l'iniziativa di permettere alla Germania di ritagliarsi una fetta di Cecoslovacchia. Quattro mesi più tardi, quando le forze naziste occuparono la Polonia, si resero conto del paradosso: la pace può essere mantenuta solo con la guerra.
In questi giorni a Belgrado, la capitale serba, sembra che Gran Bretagna e Francia non abbiano ancora imparato la lezione della storia e sono di nuovo loro a guidare i negoziati con la Serbia per svendere la Bosnia in nome della pace.
L'Europa ha riconosciuto lo Stato bosniaco nel 1992, e poi si è fatta da parte mentre accadevano cose che non sarebbero dovute accadere mai più. Adesso sono tutti a Belgrado a chiedere al presidente serbo Milosevic di essere duro con il suo protetto Radovan Karadzic e convincerlo ad accettare una divisione che è una vergogna per l'Europa, ma che ancora non soddisfa i serbi bosniaci. Il messaggio è questo: avete attaccato brutalmente uno Stato sovrano, umiliato le potenze occidentali, e adesso state attaccando Bihac, dichiarata zona di sicurezza dalle Nazioni Unite, ma se restituirete un terzo di quello che avete preso, siamo disposti a dimenticare tutto.
Il problema della vergognosa missione dei nostri odierni Chamberlain è che i serbi bosniaci non accetteranno mai la pace finché non avranno subìto qualche grave sconfitta militare, e che i negoziatori stanno parlando con l'uomo sbagliato. Non è più Milosevic a muovere i fili della Bosnia. I serbi bosniaci che ha armato e incoraggiato nella loro brutale operazione di pulizia etnica hanno ormai la sensazione del proprio potere. Hanno sfidato il mondo e hanno vinto. Bihac è solo un altro gioiello della loro insanguinata corona.
I serbi di Bosnia hanno già rifiutato i progetti di pace di Carrington e Cutileiro, di Vance e Owen e di Owen e Stoltenberg. Ora il Gruppo di contatto chiede loro di rinunciare al 70 per cento del territorio bosniaco per accettarne il 49 per cento. I protetti di Milosevic sono riusciti da soli a piegare il mondo e continuano a espandere il proprio territorio, quindi che motivo potrebbero avere per cedere quelle terre? All'inizio del 1993 un ufficiale ucraino di alto rango, che stava attraversando i territori serbi della Bosnia centrale, lo ha spiegato molto semplicemente: "Nessuno rinuncia a un territorio per cui ha combattuto solo perché qualcuno gli chiede di farlo".
Il piano di pace del Gruppo di contatto è già morto, ma al momento funge da foglia di fico per coprire il fallimento della diplomazia internazionale. Anche se i serbi bosniaci dovessero firmare l'attuale offerta del 49 per cento, questo non significherebbe la fine della guerra in Bosnia.
In primo luogo, le forze del governo bosniaco si stanno lentamente armando. L'embargo non può essere ufficialmente sospeso ma, con il miglioramento dei rapporti con la Croazia, molte armi stanno entrando di contrabbando nel paese e, in alcuni casi, vengono portate direttamente con gli aerei nei campi d'aviazione segreti della Bosnia. Queste armi alimenteranno la lotta delle forze governative che, come i palestinesi nel 1945, non hanno altra scelta se non quella di combattere per riconquistare le proprie case. Gorazde, Zepa, Srebenica, Sarajevo e adesso Bihac sono state effettivamente trasformate in accampamenti di esuli combattenti che non hanno altro desiderio se non quello di tornare a casa. Finché l'Europa e gli Stati Uniti sosterranno un piano che non offre loro alcuna possibilità di ritorno, continueranno a combattere.
L'impotenza delle Nazioni Unite e della Nato, che ha permesso ai serbi bosniaci di devastare Bihac, apre la reale possibilità di trascinare la Croazia in una nuova guerra. Fino a questo momento la Croazia ha collaborato con l'Europa e gli Stati Uniti. Cedendo alle pressioni di questi, in febbraio, la Croazia ha accettato una nuova federazione con la Bosnia. Ora l'attacco dei serbi bosniaci a Bihac rischia di far riunire i serbi di Croazia con quelli della Serbia e della Bosnia. La Croazia, nel timore di non riavere mai indietro i territori perduti nel 1991, è pronta a rientrare in guerra. Vedendo la processione di pacificatori che si recano a Belgrado, la Croazia chiede giustamente perché lei debba continuare a stare al gioco diplomatico mentre i serbi bosniaci ottengono quello che vogliono - i carri armati.
Che cosa bisogna fare allora? Da quando la guerra è cominciata, 32 mesi fa, è stato dimostrato più di una volta che l'unica lingua che i serbi bosniaci hanno mai capito è stata quella di una vera minaccia di intervento. L'educato bombardamento del campo di Ubdina di due settimane fa non è una reale minaccia. Nel febbraio del 1993, dopo il bombardamento al mercato di Sarajevo, il presidente Clinton inviò un messaggio agli uomini di Karadzic in cui chiedeva loro di ritirare gli armamenti pesanti o prepararsi ad affrontare le conseguenze di un rifiuto. Faceva sul serio e lo ascoltarono. Douglas Hurd, che tre giorni prima a Londra aveva detto ai corrispondenti diplomatici che non si poteva fare più niente per la Bosnia, scattò improvvisamente sull'attenti e si allineò con l'iniziativa di Clinton, e lo stesso fecero i francesi.
I soli aerei della Nato non possono ristabilire l'equilibrio di forze che costringerà i serbi bosniaci a negoziare un accordo giusto per la Bosnia. La dura realtà è che ci vorrà la guerra, ci
vorrà la sospensione dell'embargo sulle armi, il sostegno degli aerei della Nato alle truppe del governo bosniaco, e la creazione di un equilibrio di paura perché i serbi capiscano che devono negoziare.
Le truppe delle Nazioni Unite, come ha detto il generale Michael Rose, non possono entrare in guerra su veicoli dipinti di bianco. Saranno costretti a ritirarsi e questo significherà la fine del programma di aiuti umanitari, almeno a breve termine. La settimana scorsa, in un deposito dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il responsabile di un convoglio che tenta da agosto di portare aiuti alla popolazione di Bihac ha detto: "Non riesco a fare il mio lavoro". Dai tempi dell'attacco aereo al campo di Ubdina, i serbi bosniaci hanno bloccato quasi tutti i rifornimenti umanitari, stanno tenendo in ostaggio centinaia di rappresentanti delle Nazioni Unite, hanno installato nuovi missili antiaerei intorno a Bihac e a Sarajevo, e stanno per conquistare un'altra "zona di sicurezza" dell'Onu.
I Chamberlain della situazione sostengono che sospendere l'embargo sulle armi incoraggerebbe una recrudescenza di violenza da parte dei serbi, che ucciderebbero tutta l'opposizione. E' una preoccupazione legittima, ma anche un rischio che le forze del governo bosniaco - che combattono in trincee a cielo aperto con razzi fatti in casa - sono chiaramente pronte a correre. E non esiste altro modo per armare un paese che quello di annunciare il numero di volo e l'ora di arrivo dei rifornimenti di armi?
Infine, si continua ancora in malafede a tirar fuori la vecchia storia da tempi di Guerra fredda che la Russia potrebbe entrare in guerra dalla parte dei serbi. Il ministro degli Esteri russo, nonostante si sia schierato con i serbi per fare contenta l'opinione pubblica interna, ha cose più importanti da fare in Occidente che non sacrificare gli interessi del suo paese sull'altare ortodosso dei fratelli serbi.
Quando si venisse al dunque - come è accaduto per l'attacco aereo di Ubdina e la costituzione di una zona di sicurezza intorno a Sarajevo - la Russia non sfiderebbe mai l'Occidente.
Il senatore Bob Dole, il nuovo leader del Senato degli Stati Uniti, che avrà enormi poteri nel decidere la politica estera americana, è emerso dal numero 10 di Downing Street dicendo ai giornalisti televisivi: "Ho il massimo rispetto per le forze di protezione che sono sul terreno. Ma per quanto tempo potrà continuare? Quando tenteremo un'altra strada?".
Quando capiranno i leader occidentali che non può esserci pace in Bosnia se non si permette alle forze del governo bosniaco di combattere per ottenere il loro Stato multietnico? Quando accetteranno l'idea che l'Occidente ha il dovere di aiutarle e che, 56 anni dopo Monaco, la politica delle concessioni ancora non funziona?