Piero Sinatti(IL SOLE 24 ORE, Giovedi', 22 dicembre 1994)
Forse i tank russi riusciranno tra breve a conquistare Grozny, grazie anche a bombardamenti che si sono rivelati non quell'operazione di "bisturi" o di "scalpello" limitata agli obiettivi strategici ceceni, promessa del vertice operativo politico-militare russo, ma colpi discure assestati indiscriminatamente all'intera capitali e ai villagi vicini. Si poteva comprendere la necessita' di Mosca - istituzionale, politico-strategica ed economica - di risolvere in tempi rapidi lacrisi russo-cecena: difficile, pero', accordare la stessa comprensione ad azioni belliche che distruggono abitazioni civili e uccidono innocenti (cifre ufficiali 120 vittime). Non si puo' capisce perche' "il blocco di Grozny effettuato con successo non sia stato usato per un ulteriore tentativo di trovare una soluzione politica", ha scritto a ragione sulle "Izvestija" il notissimo politologo democratico Otto Latsis. Testimoni russi di indiscutibile attendibilita', come Sergej Kovalev (consigliere di Eltsin per i diritti umani, gia' strett
ocollaboratore di Andrej Sacharov, con sette anni di lager brezhneviano alle spalle), parlano, da Groznyj, di "tragedia umana su larga scala", denunciano "l'uso del linguaggio dei bombardamenti e delle sparatorie" e rivelano una realta' angosciosa: contro i soldati russi, cosi' apertamente male in arnese e demotivati di fronte alla primitiva fierezza dei ceceni, combatte un popolo, e non (o non solo) le "formazioni banditesche", di cui parlano i vertici russi. Dopo un primo momento di "comprensione" dell'intervento russo e delle sue ragioni obiettive, sarebbe opportuno che gli occidentali passassero ad una pressione su Mosca perche' ponga fine al massacro e, con cio' stesso, si salvi da una prospettiva di guerra partigiana cecena che ormai comincia a svilupparsi fuori Grozny con il primo tributo di morti dell'esercito russo e l'inizio di un afflusso di volontari da altre regioni del Caucaso, dall'"estero vicino"(abchazi, azeri, persino ucraini) e forse anche da paesi islamici: una sorta di Afghanistan intern
o che finirebbe per travolgere la gia' logorata democrazia russa.
Un grave problema, del resto, si pone immediatamente e riguarda il presidente Eltsin: Sergej Kovalev, che in un drammatico messaggio lo scongiura di mettere fine all'intervento e di riaprire le trattative senza condizioni, si chiede con angoscia chi diriga effettivamente la politica russa in Cecenia. Pensiamo, ad esempio, che ieri il premier Cernomyrdin, in una situazione che secondo le fonti ufficiali si e' fatta "piu' acuta" (oltre 30 i soldati russi uccisi), e' volato in India per una visita ufficiale. L'operazione al naso di Eltsin, le sue apparizioni televisive (e'immobile e gonfio) di questi giorni ricordano gli anni finali di Brezhnev e i raffreddori di Andropov e di Cernenko. E quando sentiamo un grigio burocrate come il capo dell'amministrazione presidenziale Sergej Filatov usare (come il plenipotenziario presidenziale per la Cecenia Egorov) parole come "spietato", "spietata-mente", riferendosi ai fini e ai modi dell'intervento russo, ricordiamo quanto leprediligessero e le mettesero in pratica i ma
ssimi dirigenti bolscevico-sovietici. Va aggiunta un'altra singolare circostanza: il Tg della Tv di Ostankino (il maggior canale statale russo) ha rispolverato, lunedi' scorso, la testata dei vecchi tempi sovietici, "Vremja". Negli ultimissimi giorni, le sue informazioni sul conflitto sono i comunicati ufficiali e il silenzio sulle voci d'opposizione o di critica, mentre (e' successo ieri) l'ufficio stampa del vertice operativo ha accusato di "attivita' di disinformazione" persone e giornali che criticano l'intervento (un fronte assai ampio che va da quelli liberali come le "Izvestija" alla comunista "Pravda"). Fa "disinformatsija" anche Sergej Kovalev, animatore della controinformazione del samizdat nell'epoca di Brezhnev?