CLINTON, RIBALTONE IN BOSNIA
Il Presidente cerca la pace a ogni costo, Sarajevo furente.
"Ora voglio trattare con Karadzic"
La Stampa, domenica 22 gennaio 1995
di Paolo Passarini
Washington. Gli Stati Uniti hanno annunciato l'intenzione di aprire un negoziato diretto con i serbo-bosniaci, disattendendo una precisa risoluzione dell'ONU e provocando forte irritazione nel governo di Sarajevo. L'ennesima svolta americana è stata annunciata ufficialmente con una lettera consegnata dal segretario di Stato Warren Christopher al presidente dei bosniaco-musulmani Alija Izetbegovic e ottenuta dal "New York Times". Secondo Christopher, si sarebbero aperti alcuni spiragli per rilanciare il negoziato, "che non dovremmo permetterci di non cogliere". Ma, mentre non è ben chiaro a quali nuovi "possibili opportunità" il capo della diplomazia americana si riferisca, sembra che Bill Clinton lo abbia spinto a prendere l'iniziativa per evitare una sconfitta in Congresso.
Il Senato, infatti, ha approvato una mozione, presentata dal capogruppo repubblicano Bob Dole, che prevede la vendita diretta di armi ai musulmani bosniaci se i serbi non firmeranno l'accordo di pace entro il 1· maggio. In passato, la rottura dell'embargo sulla vendita delle armi ai musulmani era la proposta di Clinton, che poi la ritirò quando si rese conto dell'insormontabile opposizione di francesi, inglesi e russi. Da allora, la posizione dell'Amministrazione è che l'embargo potrebbe essere rotto solo "multilateralmente", cioè con l'accordo dei Paesi alleati della Nato e della Russia. Vista la tensione creata dalla proposta americana, Clinton, pur senza rinnegarla, riconobbe che sarebbe "disastroso" applicarla unilateralmente. Di conseguenza, per evitare una nuova rottura all'interno della Nato e con i russi, Clinton si potrebbe trovare presto nella condizione di dover porre il veto contro la proposta Dole. E rischierebbe di venir sconfitto dal Senato.
L'estremo bisogno di Clinton di una svolta veloce nei negoziati lo ha spinto, oltre che a vedere spiragli che nessun altro per il momento vede, a distanziare la posizione americana, ammorbidendola, da quella del "gruppo di contatto" dei Paesi incaricati della trattativa. Nella sua lettera, infatti, Christopher parla della necessità di mostrare una certa "flessibilità" con i serbi. Questo accenno ha riproposto davanti agli occhi del governo bosniaco-musulmano il fantasma dello smembramento della Bosnia in una confederazione.
Il piano di pace messo a punto dal "gruppo di contatto" prevede la divisione della Bosnia in due parti: il 51% del territorio a una confederazione croato-musulmana e il 49% ai serbi. In questo modo, la Bosnia sarebbe un'entità nazionale unica e con i propri confini. Ma i serbi, oltre che a respingere le percentuali della divisione, chiedono dei corridoi per collegare i loro pezzi di territorio. Questo potrebbe portare a una Bosnia smembrata in una specie di confederazione comprendente anche i serbi ed à ciò che il governo di Sarajevo non vuole.
Christopher, nella lettera, fornisce ai bosniaco-musulmani assicurazioni formali che "la decisione di riprendere il dialogo con il governo di Pale non significa in alcun modo che il governo degli Stati Uniti non sostenga più il piano del gruppo di contatto". Un alto funzionario del governo bosniaco, intervistato dal New York Times ha risposto: "L'ultimo messaggio dell'Amministrazione Clinton è 'State tranquili, ci pensiamo noi a voi'. Il mio messaggio è: 'Qualche anno fa vi avremmo potuto credere. Adesso no'."