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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Paolo - 8 febbraio 1995
Marco Sappia
è morto alcune ore fa, alle 2,00 di qesta mattina. Era a metà del quarto decennio di vita, gran parte della quale spesa appresso alle cose che ci mettono insieme, alle ragioni per cui giorno per giorno preferiamo gli altri a noi, mentre altri cerchiamo, con l'uso dell'intelligenza.

Le amicizie si ricercano; di rado si scopre che esistono. E anche in quei pochi casi in verità si ricercano. Altrimenti sarebbero misere, e al massimo soltanto utili.

Ogni tanto, con Marco, ci si cercava. Confesso che avevo bisogno della sua intelligenza, mi serviva. Mi serviva spesso, e la cercavo meno spesso, per la lontananza fisica, per l'esserci ad un certo punto persi, a fare cose diverse, pur tentando di riprendere a farne di comuni nella quotidianità. Perché poi, se c'era uno che sempre nello stesso modo ha fatto le cose, se c'era uno che sapeva vedere sempre con la lente forte dei suoi occhi, se c'era uno che sapeva adeguare a se stesso il metodo del suo guardare era proprio Marco.

Quel mese di prima estate, quasi otto anni fa, fu la fine del mondo. Marco era un mago, a fare un sacco di cose. Ci sapeva fare, a fare il radicale - il nonviolento, l'antimilitarista, l'ecologista, l'internazionalista... il tutto senza articoli, però.

Ci conoscevamo piuttosto poco, prima di quel mese, in cui abbiamo vissuto come fratelli, o come coppia, o come amanti o come quel che si vuole: in coppia, più di venti ore al giorno insieme, in media. Nel tugurio che era la sede del Partito a Cagliari, che poi Marco volle dismettere, perché la sede non aggrega se è una sede e basta. E quindi anche se costa poco più di niente è meglio non averla, per aggregare di più.

Il radicale vero non esiste. Se dici a uno che è un vero radicale, o un radicale vero lo prendi in giro, bene che vada. Marco era un radicale perfetto in tutto, nello stare sempre a chiedersi - e magari un po' troppo a macerarsi nella domanda - come esserlo, come essere radicale e antimilitarista, nonviolento e gandhiano, verde e ecologista.

E aveva nello spreco di sé una delle dimensioni del suo essere. Nella spendita delle proprie energie. Non ricordo di avere mai conosciuto uno più generoso del Sappia. Generoso anche nelle sue prudenze, e generoso senza sconti, con i rischi dello spreco, che se non c'è suggella il non spendersi, lo sterile risparmiarsi.

Noialtri è proprio nella spendita che comporta rischi grossi di spreco che siamo mosche bianche, e l'esserlo costa. Marco era mosca bianca ovunque, credo. E gli è costato assai. E la dimensione della felicità, nei suoi giorni, era nella insoddisfazione, pervicace e non ripiegata. In una ritrosia sovente insopportabile; in primo luogo per lui stesso.

Per un po' negli ultimi anni, scrisse, e credo in pochissimi abbiano letto Marco. Forse nessuno. Infatti.

Io lo ringrazio per un sacco di dritte che mi ha dato. A partire da quella per cui è il cervello il pezzo più importante che abbiamo.

Roma, 7 febbraio 1995

 
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