- La Bulgaria include nelle restituzioni i non residenti,
il gruppo di Visegrad no -
("Il Piccolo" - 03.03.95)
Articolo di A. Masotti Cristofoli (*)
Dopo cinque anni consecutivi di crescita economica negativa,
l'uscita dalla crisi appare ancora incerta per la Bulgaria,
anche a causa dell'estrema lentezza con cui sono state poste
le basi minime per l'avvio di una economia di mercato,
mentre le tensioni sociali e l'instabilità politica sono
andate crescendo.
Il netto successo ottenuto nelle elezioni anticipate del
dicembre scorso dal Partito socialista (ex comunista,
coalizzato con gli ecologisti e con uno dei partiti agrari),
che nelle precedenti consultazioni dell'ottobre 1991 era
stato sconfitto soltanto di misura dall'Unione delle forze
democratiche, conferma la tendenza a una sorta di "riflusso"
in atto nei paesi dell'Est in transizione, ma non appare di
per sé una garanzia di maggior stabilità. Nello stesso
Partito socialista convivono infatti più anime, mentre il
deterioramento dei rapporti tra forze politiche sembra aver
sensibilmente ridotto i margini di collaborazione
parlamentare. Il supporto determinante del Fondo Monetario
Internazionale è tuttavia subordinato a un più deciso
impegno nell'attuazione delle riforme di struttura, in
particolare delle privatizzazioni, che costituiranno uno
dei banchi di prova del nuovo governo, guidato da Zan
Videnov.
A procrastinare l'adozione della normativa sulle
privatizzazioni hanno concorso anche il lungo dibattito
sulle restituzioni e l'elaborazione delle leggi che le
regolano. Limitatamente ai terreni agricoli, la questione
delle restituzioni era stata parzialmente risolta nel
febbraio 1991, dopo aspre polemiche in un Parlamento anche
allora dominato dal Partito socialista, nel quadro della
Legge sulla proprietà e l'uso della terra. I proprietari
colpiti dalla collettivizzazione avviata nel 1948 e ancora
residenti nel paese, o gli eredi, venivano autorizzati a
chiedere, entro un anno dalla pubblicazione della legge, la
restituzione dei loro terreni (escluse però le foreste),
impegnandosi peraltro a non cederli prima di tre anni se non
ai propri familiari, a eventuali comproprietari, alle
municipalità o allo Stato. Agli aventi diritto residenti
all'estero, che non avessero intenzione di rimpatriare per
coltivare direttamente i terreni riaccquisiti, veniva invece
imposto di rivenderli entro il termine di tre anni.
Gli emendamenti introdotti nel marzo 1992 dalla nuova
maggioranza parlamentare, costituita dall'Unione delle forze
democratiche con il sostegno del Movimento dei diritti e
delle libertà (espressione della minoranza turca), avevano
successivamente eliminato una parte di questi vincoli e
cercato di risolvere alcune delle implicazioni giuridiche e
tecniche della legge. Ad esempio, nel caso che sui terreni
di cui venga chiesta la restituzione siano stati realizzati
degli immobili (strade, ferrovie, edifici pubblici, ecc., o
anche dimore per la "nomenklatura" del passato regime), i
legittimi proprietari hanno diritto a ricevere degli
apprezzamenti di dimensioni o di valore equivalenti o a
essere indennizzati in denaro, suscitando problemi la cui
complessità è facilmente immaginabile in un paese
praticamente privo di catasto, di mercato fondiario, ecc.
Lo sconvolgimento indotto dall'imponente processo di
ristrutturazione della proprietà agricola avviato con la
restituzione e, più in generale, con la ridistribuzione
delle terre delle cooperative e delle aziende statali, è
comunque profondo. Nell'ottobre scorso, su circa 3,9 milioni
di ettari già privatizzati, il 21% era il frutto di
restituzioni vere e proprie (entro i confini originari o
facilmente ripristinabili) e il 50% di compensazioni.
Complessivamente, la superficie rivendicata dagli ex
proprietari o dai loro aventi diritto interessa circa 5,3
milioni di ettari, pari all'85% circa dell'intera superficie
coltivabile nel paese.
In precedenza, fra il dicembre 1991 e il febbraio 1992,
erano state promulgate altre leggi quadro sulla restituzione
dei beni espropriati dal passato regime. In particolare,
esse consentivano ai proprietari di circa 100.000 fra
negozi, officine, depositi, ecc., che arano stati obbligati
a cederli a imprese statali a prezzi più o meno simbolici,
di riacquistarne la titolarità previa restituzione della
somma ricevuta allora come "indennizzo". Inoltre davano il
via libera al ripristino della proprietà privata sugli
immobili espropriati e diventati di proprietà statale
comunale sulla base delle leggi speciali promulgate negli
anni 1947-52 e anche successivamente (nel caso di espropri
effettuati in applicazione delle leggi sul monoplio statale
su tabacchi, petrolio e alcolici; sulla nazionalizzazione di
miniere e imprese produttive; sull'editoria e l'industria
cinematografica, ecc.), a condizione che le loro
caratteristiche non siano mutate e che non siano già stati
ceduti a privati o affittati a cooperative. Nel caso in cui
gli immobili non siano più di proprietà pubblica o non
esistano più, è previsto che i proprietari vengano risarciti
con l'attribuzione di buoni di privatizzazione di
determinate imprese. Le domande presentate dagli ex
proprietari e dai loro eredi verso la fine del 1992 erano
più di 51.000, riferite a un patrimonio immobiliare del
valore complessivo di circa 8 miliardi di lev
(indicativamente, 470 miliardi di lire dell'epoca), e alla
metà dello scorso anno ne risultavano soddisfatte circa
24.000.
A differenza di quanto previsto dai paesi del "gruppo di
Visegràd", ma sulla falsariga della normativa tedesca, anche
in questi casi i non residenti possono avanzare richiesta di
restituzione delle loro proprietà. Le implicazioni
giuridiche e non di queste leggi sono in ogni caso meno
complesse di quelle poste dalla restituzione delle terre
agricole, anche perché l'industrializzazione del paese
risale agli anni '50-'60 e la maggior parte delle grandi
imprese non sono quindi toccate dalle restituzioni. Restano
però ancra irrisolti i nodi relativi al riconoscimento delle
quote di partecipazione straniera alle società anonime
dell'anteguerra (che costituivano il 30-40% del capitale
sociale complessivo dell'epoca) e alla restituzione dei beni
nazionalizzati nel 1942 ai cittadini di origine ebraica
(mentre è stata decisa la restituzione di quelli appartenuti
alle comunità).
(*) Angelo Masotti Cristofoli è ricercatore all'Istituto di
documentazione sull'Europa comunitaria e l'Europa orientale
Isdee - Trieste
--- MMMR v3.60unr