Rubrica 'Colloqui col padre - la lettera della settimana'
(seguono due lettere di lettori e la risposta)
LA PENA DI MORTE? MAI PIU'
Inutile dirle che condivido appieno le sue riflessioni sulla pena di morte pubblicate nel n. 3.
Bella la frase: "La pena di morte disonora sempre i codici e i poteri del mondo che ancora la contemplano, anche quando questa è comminata contro il più ripugnante dei delinquenti". Peccato che essa non figuri neanche lontanamente, come senso, nel 'Catechismo della Chiesa cattolica', nella sezione seconda: "I Dieci Comandamenti", al n. 2266 sulla "legittima difesa". Vorrebbe chiarire questa contraddizione, se di contraddizione si tratta?
Giovanni
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Non trovo più negli articoli e nelle rubriche portanti e formative della nostra rivista quella sostanziale obiettività, lucidità di ragionamento, assenza di tendenziosità nelle valutazioni, un tempo sua caratteristica principale e oggi, a mio avviso, ancor più possibili, caduto com'è ogni collateralismo politico dei cattolici.
Questa volta però il blando dissenso politico si estende anche a materia dottrinale. Infatti, con l'occasione dell'esecrabile esecuzione capitale di un innocente in Texas, nell'articolo di apertura del n. 3 si espone un'opinione sulla pena di morte che non mi pare in sintonia con la Bibbia e la tradizione e con l'insegnamento della Chiesa, richiamato nel 'Nuovo Catehismo'.
Trovo inopportuno e tardivo l'appiattimento dei cattolici sulle posizioni dei radicali i quali, dal loro punto di vista, hanno tutte le ragioni per perseguire l'abolizione della pena di morte.
Un punto di vista a-religioso, il loro, dal quale mi parrebbe opportuno distinguersi evidenziando gli elementi che, sul tema specifico, sono peculiari del cattolicesimo, e cioè: l'ammissibilità della pena di morte, legittimamente irrogabile dall'autorità riconosciuta, anche se fortemente inopportuna nella realtà degli Stati moderni; il valore espiativo della morte stessa e non solo della pena scontata in vita.
Io non sono favorevole alla pena di morte, tuttavia mi ha addolorato l'adeguamento della rivista a posizioni non "nostre", che accetto e stimo nei radicali, ideatori e sostenitori di "Nessuno tocchi Caino" (l'esegesi di questo passo indica davvero l'inammissibilità della pena di morte?), in quanto frutto della loro cultura, priva però di quei riferimenti che rendono noi, senza merito alcuno, il "sale della terra".
Con affetto e un po' di fiducia...da ricostruire. (U.d.m.)
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Verrebbe voglia di chiedere, con tutto il rispetto dovuto alle gerarchie: ma perché non chiariamo una volta per tutte, anche ritoccando se del caso qualche formula poco felice del Nuovo Catechismo, questo tormentoso equivoco sulla pena di morte, che pesa sulla coscienza di tanti credenti e di tante persone di buona volontà come un macigno insopportabile? Lo chiediamo affettuosamente al cardinale Ratzinger: "Si può, Eminenza? E se sì, perché non subito?". E lo chiediamo guardando verso la Settimana Santa, che ricorda la più ingiusta e atroce condanna a morte della storia umana.
Noi ci permettiamo qui alcune considerazioni che ci paiono pertinenti, come risposta ai due lettori che interpellano, e a quanti, assai più numerosi e a più riprese, lo hanno fatto dall'uscita del Catechismo.
Da tempo ormai la riflessione teologica segue due strade, e tutte e due portano alla conclusione che la pena di morte è immorale.
La prima analizza criticamente le cosiddette giustificazioni (che sono in realtà dei luoghi comuni) della pena di morte, osservando che paradossalmente esse provano il contrario di quanto vorrebbero dimostrare.
"La giustizia va ristabilita", si dice. Giusto, ma la pena di morte non è la modalità adeguata. E' più giusto obbligare il colpevole di delitti atroci a ricostruire, per quanto può, quel che è stato distrutto. Con la morte data cresce invece il capitale della violenza, non quello della giustizia.
Si dice anche: "La pena di morte ha un valore deterrente". Questo ragionamento non corrisponde alle conclusioni di dati scientificamente accreditati. L'indice di criminalità non si abbassa con la minaccia del patibolo. L'effetto deterrente della pena di morte non è per nulla dimostrato; la sua prospettiva può anzi accrescere la determinazione del delinquente che si vedesse "incastrato" all'ultimo momento: "Pelle per pelle: allora sparo!".
Perché, in realtà, chi progetta un delitto presume l'impunità, la prepara, se ne convince e agisce. Se non pensasse di farla franca, al "delitto perfetto", non avvierebbe mai il suo disegno criminale. A meno che si tratti di un pazzo, per il quale la forca non fa più senso di tutto il resto. La seconda strada è più religiosa. I cristiani credono in un Dio che "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva". Nel disegno di Dio, lo spazio dell'intera esistenza è tempo di ritorno sulla via del bene. Nessun potere umano può interrompere questa possibilità. I cristiani e le chiese devono perciò riappropriarsi più decisamente della verità evangelica che Dio, e soltanto Dio, è il Signore della vita. Nessuno, meno che meno lo Stato, può disporre della vita di un altro essere umano. (Questo è sostanzialmente il senso del comando biblico: "Nessuno tocchi Caino". E se questo slogan non piace, se ne può adottare un altro: "La pena di morte? Mai più". Ma la sostanza non cambia).
La liceità della pena di morte non è dunque razionalmente e teologicamente sostenibile. La legittima difesa della società non può essere addotta nemmeno come scusa, per il semplice fatto che il delinquente, una volta catturato, non aggredisce più nessuno. La privazione della libertà è già salvaguardia più che sufficiente, e dev'essere tale da lasciare spazi concreti alla dignità umana del carcerato e alla speranza di redenzione.
L'insegnamento tradizionale della Chiesa sulla pena di morte si collega alla dottrina di San Tommaso. Egli la ammette e la giustifica se e in quanto risulta necessaria per difendere la collettività da persone socialmente pericolose. L'obiettivo è valido ancora oggi; ma non siamo più nel XIII secolo. Ormai ogni Stato civile ha a sua disposizione mezzi diversi per raggiungere questo fine: se ricorre alla pena di morte, non attua la giustizia ma la vendetta.
L'insegnamento tradizionale della Chiesa su questo punto poteva dunque essere abbandonato. Era maturo il tempo per farlo; e nutriamo la speranza - lo ribadiamo - che si faccia presto. Nessun cattolico può tuttavia avvalersi del 'Nuovo Catechismo' per sottrarsi all'impegno per l'abolizione della pena di morte. E' vero che la posizione tradizionale viene richiamata nel n. 2266, ma subito dopo si dice che è meglio fare altrimenti (n. 2267). Quell'insegnamento va ulteriormente indebolito e finalmente accantonato, perché frutto di condizionamenti socio-culturali d'altri tempi.
I cristiani, singoli e associati, possono appoggiare e partecipare attivamente a gruppi di pressione democratica per l'abolizione della pena di morte nelle legislazioni degli Stati che ancora la prevedono? Certamente. Anzi i cristiani e le Chiese sono chiamati a interpretare, alla luce del Vangelo, i movimenti di liberazione che si originano nella storia degli uomini, e, tra questi, anche il movimento abolizionista della pena di morte. Non è la prima volta che cause giuste sono difese da persone e gruppi sociali laicamente e diversamente motivati. Il cristiano, Vangelo alla mano, più di ogni altro deve piuttosto preoccuparsi di offrire il suo contributo di idee e di azioni, perché i valori scritti in quel Libro siano trascritti anche nelle leggi dello Stato. Prima però è necessario che siano calati nelle coscienze. Bisogna operare perché il pensiero e la prassi della Chiesa siano chiaramente a favore della vita in modo globale, dall'aborto ad ogni altra situazione, ovunque la vita è arbitrariamente messa in
questione. La morte data dall'uomo, privato o pubblico che sia, non è la soluzione per nessun problema individuale o sociale. Tanto meno può esserlo per chi si dichiara cristiano e cattolico. (d.l.)