ANCHE A NEW YORK TORNA IL BOIA. FORSE
Torna il boia anche nello Stato di New York, che da diciotto anni aveva sospeso la pena di morte. Il nuovo governatore George Pataki è corso a ratificare la decisione del Parlamento locale, firmandola "appena otto ore dopo che era stata emessa", come ci ha detto il vescovo Thomas J. Costello (vedi l'intervista in questo stesso numero). E usando per la firma, aggiungono le cronache, due penne appartenute a due poliziotti uccisi dai criminali, ha dichiarato: "Adesso faremo giustizia". Giustizia o vendetta?
Tanta fretta, e le penne simboliche come contorno, sembrano applicare la seconda etichetta sul sinistro rituale delle esecuzioni capitali. Così fa un balzo all'indietro l'America che amiamo, quella delle libertà democratiche, dei diritti civili, delle campagne di coscienza, della ricerca e delle tecnologie d'avanguardia che danno una mano al mondo; l'America dei coniugi Green con il loro indimenticabile esempio di generosità. Il faro si appanna e l'ombra si allunga sul resto del pianeta, se è vero che gli Stati Uniti sono lo specchio del prossimo futuro, soprattutto di noi europei. Dovremmo ripetere il luogo comune che l'America è l'unica nazione passata dalla barbarie alla decadenza senza attraversare la civiltà? Convincerci che laggiù l'acqua è stata trasformata direttamente in aceto? Che il progresso tecnologico corre tanto veloce da lasciarsi indietro la maturazione morale delle coscienze?
No, ragioniamo con la ragione, non con l'emozione. Dietro il ritorno della pena di morte, anche nello Stato considerato all'avanguardia tra tutti quelli dell'Unione, c'é anzitutto una società in cui l'aumento della violenza criminale non ha pari. E con essa la paura, sempre pessima consigliera. E c'è un altro aspetto da sottolineare, illustrato bene dal New York Times in un articolo intitolato: "Il grande imbroglio". La pena di morte, scrive l'autorevole quotidiano, non è un deterrente per i criminali, tanto che negli Stati che la applicano il numero degli omicidi supera del 56 per cento quello degli altri; e i cittadini di New York non sono più sanguinari degli altri. Ma una "distorsione legale" li sospinge verso la soluzione estrema. La legge, cioè, costringe in qualche modo cittadini e giudici a ricorrere alla pena di morte perché l'alternativa non è la condanna alla prigione a vita (l'ergastolo), ma la possibilità per il condannato di uscire dopo vent'anni, sotto 'parole', cioè in libertà condizionata. Q
uesto "imbroglio" presenta l'indubitabile rischio che vengano riammessi nella società soggetti pericolosi, nei quali il morbo della violenza è sempre pronto ad esplodere. Se, come pensava l'ex governatore Mario Cuomo che ha sempre posto il veto alla reintroduzione della pena di morte nello Stato di New York, venisse applicato l'ergastolo vero, i giudici sarebbero meno propensi a comminare la condanna capitale e la gente meno favorevole ad essa.
Al gelo provocato dalla notizia che adesso gli Stati americani che stipendiano un boia sono saliti a trentotto, si contrappone una speranza. I procuratori generali di quattro distretti sui cinque di New York hanno detto di no al Death Bill, dichiarando che, al posto della condanna capitale, applicheranno "ergastoli senza appello", per una giustizia non ispirata dalla vendetta dell'occhio per occhio. Speriamo davvero che l'America ci sorprenda ancora; in bene questa volta.