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Partito Radicale Paolo - 1 giugno 1995
DIRITTO INTERNAZIONALE

Inserisco qui un testo che propone una ipotesi, che non è ad oggi più che una ipotesi, anche se sta girando in alcune zone del pianeta, in vari ambienti.

Preciso che nonostante io sia il Rappresentante presso le Nazioni Unite della IRU - Unione Internazionale dei Rom - questo testo e la proposta che contiene sono per ora esclusivamente un mio contributo, e non investono né coinvolgono la politica dell'IRU.

Commenti e comunicazioni saranno bene accetti.

Paolo Pietrosanti

PER UN PROGETTO DI REPUBBLICA NON TERRITORIALE DELLA NAZIONE ROM

Il pianeta e' privo di punti di equilibrio. In questa affermazione non v'e' nulla che non sia sotto gli occhi di tutti, a tutti evidente.

Crollato l'equilibrio del terrore, che per decenni ha governato il pianeta, a costi elevatissimi, stenta ad affermarsi un nuovo equilibrio. Nessun valore, nessun pensiero, nessuna spinta sociale o culturale sembra essere tanto forte da potere affermarsi come aggregatore di forze, energie, idealita'.

L'equilibrio del terrore e' costato e costa tuttora. Centinaia di milioni di persone hanno sofferto la privazione dei diritti civili e umani, e la privazione della vita, per fame, per guerre, per sete. Nulla di tutto questo e' ancora scomparso, in verita'.

Ma il pianeta aveva un punto di equilibrio, un tragico e assassino punto di equilibrio. Oggi il pianeta ne e' privo. E nulla sembra in grado di governare, se non di fermare, le decine e decine di conflitti armati che infestano il mondo, che infestano il villaggio globale. Il pianeta che e' gia' un villaggio, in cui tutti conoscono quanto accade pressoche' ovunque, non riesce a governare i conflitti. E' privo di regole, di meccanismi che siano in grado di portare i conflitti su piani e terreni diversi da quelli dello scontro armato. Tanto piu' la situazione e' terrificante in quanto e' a ciascuno noto, nel villaggio globale, quanto accade ai partecipi di un destino che sempre piu' e' comune.

Quello della proliferazione degli scontri, delle guerre, e' poi uno solo degli aspetti. Non e' qui il caso di affrontare analiticamente il problema; ma un esempio relativo ad un altro aspetto fondamentale della vita del pianeta puo' essere illuminante, e puo' rendere ulteriormente evidente il difetto di regole adeguate a cio' che il mondo e' oggi.

E' noto che i CFC contribuiscono a danneggiare la fascia di ozono che protegge la terra da radiazioni solari pericolose. Esistono in materia trattati internazionali che ne limitano l'uso e la produzione. Ma vari sono i paesi che a quei trattati non si adeguano. Tra questi il gigante cinese, con il suo miliardo e passa di persone. Noi - dicono in buona sostanza i Cinesi - siamo in piena crescita economica. Sappiamo che i CFC sono dannosi, ma produrre frigoriferi senza CFC costa troppo, e noi abbiamo bisogno di frigoriferi, per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Voi, Europei occidentali e Nordamericani avete per decenni usato CFC, e con quelli raffreddato quanto volevate. Oggi avete scoperto i costi del non rispetto dell'ambiente, e chiedete a noi di pagarne il prezzo, dopo aver fatto il vostro comodo per decenni. Ci occuperemo di CFC quando tutti i cinesi avranno un frigorifero. Non possiamo essere noi a pagare i costi del vostro aver depauperato le risorse ambientali del pianeta.

Si puo' dar torto ai cinesi, in questo caso? Difficilmente. Il pianeta ha un unico ambiente, che non puo' che essere governato da direttive, direttrici comuni. Ma cosi' non e'.

Manca il punto di equilibrio. Questo puo' essere il diritto, la regola, le regole. Cioe' istituzioni e autorita' in grado di applicare norme e diritto.

Il diritto internazionale e' fallito, semplicemente perche' non e' mai stato realmente Diritto.

Secondo la piu' banale e la piu' calzante e vera delle definizioni di norma giuridica, il Diritto e' una regola fissata in un dato momento storico, da un'autorita' legalmente abilitata a farlo, che prevede una sanzione per chi non rispetti tale disposizione, e una autorita' riconosciuta abilitata ad irrogare la sanzione prevista. Il diritto internazionale e' strutturalmente diverso e per questo non ha mai realmente funzionato.

Soltanto in questi ultimissimi mesi il pianeta e il sistema delle Nazioni Unite si e' dotato per la prima volta di una istituzione giurisdizionale sovraordinata, capace di irrogare sanzioni a singole persone a prescindere dagli stati e dal loro consenso. Con la creazione del tribunale internazionale sui crimini di guerra commessi nella ex-Yugoslavia il pianeta si e' dotato di una corte di giustizia certo creata solo grazie ad una convergente volonta' di stati, ma abilitata a pronunciare sentenze al di fuori e al di sopra della volonta' dei singoli stati. E' la prima istituzione di diritto in senso proprio che si esplica a livello non piu' solo nazionale. A partire da questa istituzione, e a condizione che il suo lavoro possa effettivamente essere sostenuto dagli stati membri delle Nazioni Unite, puo' sorgere il diritto internazionale, o sovranazionale: un complesso di regole che con forza di legge si affermi come sovraordinato rispetto alle istituzioni e alle entita' statali.

Il tribunale sulla ex-Yugoslavia e' prodromico al tribunale internazionale permanente sui crimini contro l'umanita', su cui le Nazioni Unite stanno lavorando, e che avocherebbe a se' il giudizio su ogni violazione di norme giuridiche comprese sotto questo titolo, sottraendole alla giurisdizione dei singoli stati.

Si tratta di decisioni letteralmente rivoluzionarie, che aprono spazi di iniziativa straordinari e assolutamente senza precedenti nella storia del pianeta.

Di fronte a istituzioni di questo tipo la stessa locuzione di istituzioni internazionali e' probabilmente insufficiente. Gia' dovrebbe parlarsi di diritto sovranazionale, o ultranazionale.

Esiste dunque gia' un processo di evoluzione, che tuttora e' in corso, e che si scontra con le resistenze dei governi nazionali: comunque. Almeno finche' il sistema delle Nazioni Unite, il sistema giuridico o pseudogiuridico dell'ONU, rimarra' vincolato alla volonta' dei singoli stati, nonche' al diritto di veto, la cui pratica e' ora meno opprimente soltanto per le mutate condizioni politiche, non potra' parlarsi propriamente di diritto a livello internazionale.

Gli sforzi nell'affermazione di un nuovo diritto internazionale sono dunque notevoli, e costanti. Si scontrano certo con gravi opposizioni, ma procedono.

Certo, sono inadeguati alla necessita' del mondo di oggi.

Mai, nelle analisi dell'assetto del mondo si pone in discussione l'esistenza dello stato, degli stati nella loro forma attuale, quali soggetti pressoche' esclusivi del diritto o pseudodiritto internazionale. Il grande, drammaticamente significativo fenomeno del mondo di oggi e' costituito dalla progressiva, fisiologica depauperazione della forza e quindi del valore dello stato. Dello stato inteso come unita' di popolazione e territorio, dello stato come lo conosciamo e lo viviamo ogni giorno. Tale depauperazione non investe affatto soltanto il dato concettuale dello stato. Questo sembra intoccabile, immutabile. Tutta la costruzione giuridica o pseudogiuridica dei rapporti tra le comunita' chiamate stati e' fondata su presupposti di fatto che non esistono piu'. Non esistono piu' se non nella fantasia - fantasia radicata e quindi difficile ad essere rimpiazzata da una visione realistica e oggettiva - gli stati come enti sovrani, in cooperazione con altri enti sovrani e di pari livello, in grado di interveni

re sulle dinamiche dell'economia. Oggi l'economia e' globale: e' di una ovvieta' lampante. Il senso degli stati e dei loro confini era fino ad un non piu' recentissimo passato quello di un complesso di istituzioni e di regole atte a governare un territorio, e, piu' o meno rigidamente, gli scambi che su di esso avvenivano; su un territorio da cui proveniva, che produceva una gran parte della ricchezza del paese governato dallo stato medesimo. Oggi non e' piu' cosi', evidentemente. Nell'ambito dell'economia mondiale, strettissimamente interconnessa, a tutti i livelli, sempre piu' labile e' il rapporto tra territorio e attivita' economica, che pure nel passaggio da economia agricola a quella industriale aveva mantenuto un valore importante: un rapporto stretto e di vitale importanza con il territorio, in cui anche gli opifici mantenevano il fondamentale bisogno di rapportarsi al territorio su cui sorgevano. Gli opifici e la distribuzione mantenevano una relazione stretta e di vitale importanza con il territori

o. Oggi non e' piu' cosi'. Nel corso di una notte, nel corso delle ore di buio in Europa avvengono nel mondo scambi per tre milioni di miliardi di dollari... mentre in Europa dormono tutti. Il rapporto tra economia e territorio e' sovvertito, e ne risulta sovvertito il senso stesso dello stato come noi lo conosciamo, e il suo ruolo.

La grande sfida di oggi e' quella dell'adeguamento del diritto, delle regole di convivenza, alla nuova conformazione del pianeta. Le strutture istituzionali presenti sul pianeta appartengono ad un mondo che non esiste piu'. Mentre l'economia procede - lo si gradisca o no, procede - le altre forme dell'attivita' umana stazionano, inadeguate sempre piu' alle esigenze di un mondo che e' cambiato. La Politica, intesa come attivita' funzionale a regolare i rapporti tra le persone e i gruppi sociali, scompare. Se la politica - democratica o non che fosse - ha governato i destini dell'umanita' fino ad ora, mantenendo visibile il volto dei detentori delle leve del potere politico, oggi il potere e' totalmente mutato di volto.

Se e' dubbio che sia finita la storia, come c'e' chi sostiene, e' indubbio che sia finita, o che sia prossima e comunque certa la fine della politica, cioe' almeno della capacita' di governare e fissare regole da parte di un potere visibile operante su un territorio dato.

Sono notevoli gli sforzi, che prima abbiamo evocato, verso il rafforzamento del diritto internazionale o, come meglio dovrebbe dirsi, verso la trasformazione di cio' che e' chiamato diritto internazionale in un sistema che del diritto abbia intanto le caratteristiche di scuola, le caratteristiche fondamentali, essenziali perche' di diritto possa parlarsi.

Il diritto non solo deve, ma puo' essere il nuovo punto di equilibrio del pianeta, della convivenza tra le persone che lo abitano.

Gli sforzi dunque non mancano, ma quanto i mezzi di comunicazione ci portano in casa ogni giorno dimostra una insufficienza, e la incapacita' conseguente del diritto, per quello che oggi e' a livello internazionale, di dare una risposta alle palesi esigenze dell'umanita'. Il diritto non e' se non e' cogente, se nella sua applicazione non e' altro che il prodotto di mediazioni politiche tra entita' statuali e sovrane. In una parola, il diritto non esiste se non esiste una autorita' sovraordinata alle parti (cio' vale anche nel diritto penale) dotata di autorita' e potesta', del potere e degli strumenti per far rispettare le proprie decisioni e pronunce.

Non occorre andare lontano per rendersi conto della necessita' e del bisogno di diritto vero, cogente nell'àmbito, adeguato all'àmbito in cui ciascuno nel mondo di oggi vive e opera; non serve andare troppo lontano per comprendere quanto sia impellente il bisogno di trasformare il diritto internazionale quale attualmente e'. Basta guardare all'Unione Europea. Questa vive una crisi profondissima, una crisi della politica, cui non e' permesso di esplicarsi per la non volonta' degli stati membri di perdere quote della propria sovranita'. Oggi l'Unione Europea e' un esempio di non democrazia: il potere e' saldamente nelle mani dei governi e delle burocrazie governative, e su di essi i cittadini non hanno alcun potere, nemmeno di controllo. L'Europa dell'Unione che si avvia alle sue quarte elezioni a suffragio universale rimane un'entita' priva dei fondamenti della democrazia politica che proprio nei paesi membri hanno raggiunto il massimo livello nella storia dell'umanita'. Nell'UE il processo in atto e' esclus

ivamente quello che porta ad un abbassamento del livello e del grado di democrazia politica: tanto piu' e' sovrana l'Unione in materie economiche, tanto meno i cittadini hanno il potere di controllo democratico sulle scelte che riguardano la loro esistenza. L'Europa rafforza e amplia le competenze in materia di politica economica, e queste si concentrano progressivamente nelle mani dei governi, con riduzione dei poteri dei parlamenti eletti dai cittadini. In Europa occidentale e' indubbio ed evidente che si stia verificando una involuzione strutturale e istituzionale dal punto di vista della democrazia, fortunatamente contenuta dal permanere fortissimi i poteri degli stati. Il sogno europeo e' fallito, si potrebbe dire. Paradossalmente, dunque, per come oggi le istituzioni europee funzionano, la democrazia e' assicurata dalla non Europa, poiche' quanto piu' si rafforzano le istituzioni dell'Europa di oggi, tanto meno democratica e' l'Europa, dal punto di vista del sistema istituzionale - considerando il fatt

o che la Comunita' europea, oggi Unione, ha abbandonato ogni prospettiva realmente federale, in quanto tale, soltanto potenzialmente in grado di favorire aggregazioni progressivamente piu' ampie.

L'Europa unita e' forse, potrebbe azzardarsi adesso, anacronistica: inadeguata alle necessita' istituzionali del mondo di oggi.

Non sembra necessario avere tendenze millenaristiche per giungere alla conclusione che l'assenza di equilibri portera' a deflagrazioni forse nemmeno immaginabili nella loro intensita' e gravita'. Alla perdita dei punti di equilibrio di tipo pseudoistituzionale si associa la permanenza degli squilibri sociali gravissimi: la fame e lo sterminio per fame, le epidemie, la miseria che uccide milioni e milioni di persone ogni anno. La fine dell'equilibrio del terrore porta alla caduta progressiva delle regole che non siano fondate su fattori esclusivamente economici. E' interessante un dato: il secondo motivo per cui vengono spostate ricchezze nel mondo e' oggi costituito dalle rimesse di denaro verso i paesi di origine da parte degli emigrati. Piu' che il petrolio o gli alimenti, e' il denaro guadagnato all'estero dagli emigranti che fa muovere denaro nel mondo.

Ma non e' una analisi economica che qui occorre, quanto una generale e superficialissima analisi di alcuni dati, che porta al bisogno di punti di equilibrio, o meglio alla individuazione di quel bisogno, che e' bisogno di diritto, quale bisogno essenziale per il mondo di oggi.

Oggi come forse mai prima la convivenza delle persone non e' regolata da norme, ma e' regolata dall'economia e dal commercio. In assenza di regole e di poteri democratici. E', questa, la fine della democrazia. La fine del piu' formidabile sistema di potere autoritario porta con se' la fine della democrazia, che e' esistita in alcune zone del pianeta soltanto grazie ad un equilibrio tragico e costosissimo, ma comunque in grado di governare i rapporti.

Rinascono e si rafforzano i nazionalismi, fisiologicamente, e quasi prevedibilmente. E, ancora, quanto piu' si riduce il territorio su cui operano le varie sovranita' politiche, tanto meno queste sono effettivamente sovrane, democratiche o non che siano.

E' dunque impellente la ricerca di nuove forme di organizzazione delle e della societa' del villaggio globale. Organizzazione che non esiste chi sia in grado di imporre.

Quale elemento, quale agente puo' portare ad un nuovo punto di equilibrio? Una guerra mondiale? un cataclisma sociale? l'emigrazione incontrollata? L'affermazione del diritto, delle norme, dell'autorita' delle norme, di nuove norme democratiche e giuridicamente vincolanti deve essere il nuovo punto di equilibrio, la nuova possibile fonte dell'equilibrio che rimpiazzi il tragico e fallito equilibrio che ci ha retti fino a pochi anni fa.

L'IPOTESI

Potrebbe qui esporsi il punto di arrivo di un processo di progressivo dotarsi da parte del pianeta di istituzioni giuridiche. Ma quel che invece piu' conta e' il punto di partenza, che qui si passa a disegnare, con una consapevole, convinta, calcolata parzialita', e superficialita'.

Il punto di partenza puo' essere un'opera, una iniziativa capace di ottenere consenso in se', e di palesare la necessita', non solo logica, di passi ulteriori nella medesima direzione. Il primo passo deve rendere evidente il deficit del pianeta causato dalla assenza del diritto, del diritto internazionale, dalla mancanza di regole e istituzioni. L'ipotesi e' fondata su un passo: una prima iniziativa che non solo affermi, ma rechi la dimostrazione della necessita' di adeguare l'assetto istituzionale del pianeta alle nuove realta'. Si tratta di mettere in moto azioni che impongano reazioni e che progressivamente rendano imprescindibile, inevitabile l'ideazione e la messa in pratica di nuove forme di organizzazione delle persone in entita' statuali, istituzioni, comunita'.

C'e' un popolo che e' nazione e non ha territorio: gli zingari. Non e' certo l'unico senza territorio riconosciuto e senza stato; ma la differenza e la grande capacita' anticipatrice della tradizione e della storia zingara sono nel fatto che il popolo rom non ha mai voluto un territorio, pur vivendo nel mondo qualche decina di milioni di Rom.

L'ipotesi puo' essere formulata come segue, brevemente, in quanto e' semplicemente una ipotesi di lavoro e di azione. L'ipotesi e' quella della proclamazione della Repubblica dei Rom.

Una Repubblica non territoriale dei Rom, se proclamata provocherebbe una serie di reazioni a catena, che andranno previste, programmate e progettate.

I Rom si costituiscono in stato, senza rivendicare territorio alcuno, dandosi istituzioni non conflittuali con le esistenti, almeno nella fase iniziale, e chiedono il riconoscimento alle Nazioni Unite come Nazione, come fecero i Palestinesi. Ma senza rivendicare territorio, perche' gli zingari mai sono stati legati a un territorio, se non a quello del mondo intero.

Decine di milioni di persone palesemente unite da radici, cultura, etnia comune rivendicano il diritto ad essere riconosciuti e rappresentati come nazione, o come stato, senza territorio. Nessuno potra' obiettare che sul pianeta non c'e' posto per un nuovo stato, perche' gli zingari non vogliono un territorio, e vogliono aprire il dibattito nel mondo sull'adeguatezza della attuale forma di stato rispetto al mondo di oggi. Noi zingari vogliamo uno stato, una repubblica, ma senza territorio, ne' confini.

L'aspirazione ad essere rappresentati e' universalmente riconosciuta come legittima, come dimostra anche la storia di questi anni. Ecco una grande contraddizione da far scoppiare nel mondo: gli zingari sono un popolo, una nazione, che non e' riconosciuta come tale, e vuole esserlo. Senza dovere piegarsi alla necessita' di rivendicare un territorio perche' tale legittima aspirazione sia riconosciuta. Si costituiscono in repubblica, con un parlamento, una costituzione, un governo, un apparato diplomatico...

Esiste tra l'altro l'esperienza dei Cavalieri di Malta, riconosciuti e con relazioni diplomatiche, nonostante siano una entita' statuale senza territorio. Ma l'esempio dei Cavalieri di Malta soccorre soltanto tangenzialmente, come e' intuibile.

Il popolo degli Ebrei ha avuto il suo stato, il popolo palestinese sta avendolo, dopo che l'OLP e' stato comunque una entita' statuale riconosciuta anche in sede ONU, e non solo bilateralmente, pur non essendo dotata di territorio. Gli zingari non lo vogliono, giacche' questo e' inadeguato alla loro storia e alla loro cultura. Ma non e' pensabile che siano rappresentati da stati che il piu' delle volte li rifiutano e li emarginano; gli zingari vogliono uno stato, una nazione, senza territorio fisso, rivendicano uno status.

Gli zingari sono di nazionalita' zingara. Il nuovo stato degli zingari avra' i suoi passaporti, riconosciuti sulla base del diritto internazionale. I cittadini dei vari stati che siano di nazionalita' zingara, residenti negli stati piu' diversi, avranno il passaporto dello stato zingaro, e non potranno prestare servizio militare in un paese di cui non sono cittadini, visto che gli zingari rivendicheranno il fatto che non solo sia riconosciuto il loro diritto alla identita' nazionale, alla nazionalita' zingara, ma che questa comporti l'acquisizione della cittadinanza zingara.

Questo non evitera' agli zingari in eta' di leva di prestare un servizio militare o civile: essi vorranno che si svolga un servizio militare o civile nell'ambito dei caschi blu dell'ONU. I caschi blu sono oggi truppe prestate all'ONU dai singoli stati. Una delle leve piu' forti in funzione del rafforzamento delle Nazioni Unite e del sistema che costituiscono e' proprio il divenire le truppe autonome dagli stati, direttamente dipendenti dalle Nazioni Unite. Gli zingari possono rivendicare il diritto, una volta cittadini di uno stato zingaro non territoriale, di svolgere il servizio militare come caschi blu, come polizia del mondo, con tutto quanto questo puo' significare.

Il popolo degli zingari dovra' darsi strutture istituzionali, costituzionali democratiche, cioe' un parlamento e un governo, che non domini un territorio, ma che rappresenti una nazione, un popolo nell'ambito del pianeta. E strutture diplomatiche e consolari.

Puo' immaginarsi quanto civilmente dirompente potra' essere un approccio di questo genere di fronte al risorgere dei nazionalismi che si esplica attualmente soltanto in termini pericolosi e dannosi. Nel risorgere dei nazionalismi gli zingari praticano la strada del risorgere delle nazionalita', del diritto di appartenenza nazionale, che diviene una gigantesca provocazione culturale di elevatissimo valore civile e morale. Dirompente, in grado di mettere in discussione l'intero assetto istituzionale attuale del pianeta: un assetto che tra le altre cose, e' tale da rendere gli zingari una delle nazionalita' piu' emarginate in assoluto.

L'atto compiuto dagli zingari sarebbe di qualita' e di impatto dirompenti, proprio perche' per la prima volta una rivendicazione di identita' nazionale sarebbe orientata a fare in modo che il mondo si doti di istituzioni che diminuiscano la centralita' dello stato nazionale: da una rivendicazione nazionale e in quanto tale legittima sorgerebbe la rivendicazione e la domanda di nuove istituzioni che portino alla diminuzione dell'anacronistico potere degli stati.

L'interesse che gli zingari avrebbero a far partire una tale iniziativa e' evidente, e non serve dilungarsi in proposito; basti dire che essi avrebbero una rappresentanza e una garanzia in un mondo che nel migliore dei casi li emargina e li relega a posizioni bassissime nella scala sociale, proprio per essere sempre stati, gli zingari, privi di una entita' statuale che li rappresentasse e difendesse.

Gli zingari, come gli italiani, o i tedeschi, sono tali etnicamente, come nazionalita', omogeneita' linguistica e culturale, ovunque si trovino.

E' necessario, oggi, tornare a rendere chiara la fondamentale diversita' dei concetti di nazionalita' e cittadinanza, il primo dei quali designa la appartenenza del soggetto ad un gruppo etnico, e il secondo ad una comunita' dotata di ordinamento giuridico, ad un soggetto statuale riconosciuto come tale. I piu' orribili massacri di democrazia e di diritto, come di vite umane, sono nella storia quasi costantemente dipese dalla volonta' di far coincidere, almeno in Europa, i due concetti, in stati-nazione etnicamente omogenei. Gli zingari hanno, ben piu' di altri popoli, pagato questa tendenza, nei pogrom dimenticati e rimossi che hanno spesso portato il mondo in prossimita' della perdita della nazione zingara in quanto tale.

L'identita' storicamente affermata tra i concetti di nazionalita' e cittadinanza e' stata la causa principale delle guerre del passato, come dei massacri di oggi, il cui esempio piu' noto e riferito dagli organi di comunicazione e' la guerra nella ex-Yugoslavia.

L'identita' tra nozione di stato e di nazione ha governato il mondo a partire dal secolo scorso, producendo cambiamenti fondamentali e storicamente comprensibili, ma oggi tali da inibire, nell'ambito del complessivo evolvere della storia, lo sviluppo delle istituzioni e delle regole di convivenza tra i popoli, che potesse essere adeguato allo sviluppo degli altri aspetti delle attivita' umane.

Oggi e' dunque necessario ripensare la relazione anche concettuale tra le nozioni di stato e di nazione, proprio mentre la volonta' cosi' diffusa di ricercare unita' di popolazioni omogenee raccolte sotto governi ad esse omogenei, si riafferma con tanta potenza. L'autogoverno e l'autodeterminazione dei popoli riacquistano oggi forza straordinaria, che non necessariamente deve risultare orientata verso la conquista e la costituzione di poteri statuali sovrani, se l'assetto istituzionale del pianeta ne consentisse diversi da quello che oggi appare l'unico ricercato e praticato. A ben guardare, la nozione di stato appare essere una delle pochissime nozioni rimaste identiche a se stessa da secoli.

Questa e' una proposta, piu' che un progetto. E' una ipotesi di lavoro. Su questa ipotesi, appena abbozzata, su questo abbozzo di ipotesi, si lavori. Possiamo coinvolgere decine di giuristi internazionali, istituti universitari, fondazioni, intelletti e intelligenze del mondo intero, e governi, anche.

La soggettivita' della nazione, sul piano internazionale, non e' necessariamente esclusiva: puo' esservi, deve esservi la nazione al posto dello stato, quale soggetto. Ma per oggi, puo' esservi intanto la convivenza del soggetto stato con il soggetto nazione: almeno per il tutt'altro che marginale motivo per cui il popolo Rom e' privo di rappresentanza e soggettivita'.

E' questa sfida, che parte come sfida culturale, che puo' aprire il grande dibattito mondiale sullo stato, ma soprattutto sulla necessita' del diritto, del diritto vero, cogente, di autorita' dotate di potesta' democratica a livello planetario.

Le guerre che infestano il mondo nascono in luoghi dove nazioni, nazionalita' non trovano una loro rappresentanza, non la trovano in uno stato perche' non esiste, o perche' in esso sono minoranza.

Il piano e' quello di studiare il modo di scatenare e rendere evidente la necessita' di far nascere il diritto, il vero diritto internazionale; e di attribuire al popolo zingaro il merito storico di aver donato al mondo il punto di equilibrio nuovo del diritto, delle regole del villaggio globale, come nuovo valore e nuovo, appunto, equilibrio.

Il popolo rom puo' quindi farsi carico di un grande progresso planetario, di un grande processo di affermazione della necessita', del bisogno di diritto e di regole, chiedendo, rivendicando null'altro che quanto altri popoli rivendicano, ma a costo di migliaia e decine di migliaia di morti e distruzioni terrificanti. E questo a partire dalla propria esigenza, dal diritto del popolo zingaro, come di tutti i popoli, a vedere riconosciuta una identita' negata, che cosi' spesso, nella storia dei Rom, ha significato negazione della vita stessa.

Il diritto, la creazione del diritto internazionale, in senso propriamente e letteralmente internazionale, e non piu' interstatuale, si afferma grazie alla rivendicazione legittima di un popolo che vuole sia riconosciuta la sua identita', come tutti gli altri popoli, ma non vuole territorio, ma ha bisogno di diritto, di leggi, di regole per vivere.

Il legame tra popolazione che vi abita e territorio, si accennava, e' fondamentalmente mutato, dacche' il territorio non e' piu' la fonte esclusiva delle risorse della collettivita' che su quel territorio risiede. L'amministrazione del territorio progressivamente cambia natura, e gia' conosciamo esperienze lungimiranti di paesi in cui concorrono ad eleggere, per esempio, i sindaci e i consigli comunali, non soltanto i residenti che sono cittadini del paese di cui quel comune e' parte, ma tutti i residenti, quale sia non soltanto la loro nazionalita', ma anche la loro cittadinanza. E' una delle chiavi di un sistema di amministrazione per nulla centralizzato, ma fondato su forti autonomie locali, il governo delle quali discenda dalle persone che nel luogo risiedono e operano, e non, ovviamente, in una societa' progressivamente piu' multietnica, dall'appartenenza nazionale. Si appartiene, come e' nella vita di ciascuno, a citta' che ospitano sempre piu' persone di etnie diversissime, e si partecipa alla propria

etnia, ovunque i soggetti che quella etnia compongono risiedano.

Il disegno non puo', fisiologicamente, non essere un disegno federale, con autonomie locali fortissime, bilanciate dalle diverse appartenenze nazionali.

Ma non ha senso addentrarci in un disegno che va interamente costruito, con l'impegno e le competenze gigantesche necessarie. Ora occorre lavorare, a partire da quella che sembra essere una esigenza vitale e palese degli zingari, e da quella che e' soltanto meno palese, ma ugualmente impellente, del pianeta intero.

Ma c'e' da partire da un lavoro profondissimo da effettuare tra i Rom. Un dibattito su cui coinvolgere le massime intelligenze. Un dibattito e una riflessione ampia e senza limiti di tempo, perche' questi non sarebbero adeguati ad un disegno cosi' ambizioso.

Insomma, si tratta di lavorare in silenzio, almeno fino al momento in cui avremo chiara, grazie al contributo di intelligenze ed esperienze dei tanti e qualificati che su temi analoghi hanno lavorato, se la prospettiva e' praticabile, e come essa possa essere praticabile.

Gli interessi che una tale ipotesi puo' sollevare, interessi di ogni genere, sono assai numerosi. Sta a tutti noi raccoglierli, in un impegno che e' si' ambiziosissimo, ma e' probabilmente assai piu' oneroso. Quel che e' importante e' intanto riflettere liberamente su una tale ipotesi; e poi trovare eventualmente sedi intanto informali per discuterne, coinvolgendo i molti che certamente possono e vogliono unire ad un interesse culturale o accademico un contributo fattivo di idee e elaborazione.

 
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