UN OCEANO DI PROTESTE LONTANE
di Barbara Spinelli
(La Stampa, 10/07/95)
É diffusa l'idea che un drappello di uomini romantici, dall'etica ferrea, sia salpato sul battello ebbro di Greenpeace per fermare il mostro freddo che é la Francia nucleare di Jacques Chirac. E' diffuso il rapimento esotico, suscitato non solo dalla navigazione ma anche dall'aggressione che i naviganti hanno dovuto subire, ieri nei pressi di Mururoa, da parte della Marina francese. L'operazione di Greenpeace affascina le menti, le cattura: ecco dunque una nuova utopia internazionalista e esotica, ma animata questa volta dalla bontà e da sentimenti veramente innocui. Ecco finalmente un'idea e un'azione, di nuovo, che danno luce al grigio quotidiano della politica e hanno la forza di strapparci al presente che viviamo, vediamo, soffriamo. Greenpeace ha piegato l'orgogliosa Inghilterra, impedendole di far immergere in mare la piattaforma Brent Spar, della compagnia petrolifera Shell. Adesso vuol piegare l'ancor più superbo Chirac, e metter sotto accusa non solo e non tanto gli esperimenti nucleari quanto
l'intera strategia francese della dissuasione atomica. Alcuni dicono che Greenpeace ha già vinto: perché è stata vittima dell'arrembaggio, perché la morale è dalla sua parte, e perché quasi tutte le società europee l'appoggiano, con l'influente opinione tedesca in prima fila e subito dopo l'italiana.
Greenpeace è inconfutabile eticamente, dicono ancora i difensori della multinazionale di Amsterdam, e non senza -ragione puntano il dito sulla natura immorale dell'atomica, sulla coincidenza infausta, tenebrosa, fra la decisione di Chirac e il cinquantenario della bomba su Hiroshima e Nagasaki. Ma che si sappia Greenpeace non ha mai navigato lungo il fiume Dniepr, per soccorrere a Kiev i bambini irradiati che ancor oggi muoiono a decine per gli effetti dell'esplosione di Chernobyl. Che si sappia non c' stata mobilitazione degli europei, per salvare o curare questi bambini sicuramente contaminati: l'Unione Europea ha inviato a Kiev materiale costoso ma non utilizzato n utilizzabile, e il commissario italiano per gli affari umanitari (sempre molto sensibile alle questioni ecologiche) si rifiuta di rispondere al telefono all'organizzazione francese che si occupa dei bambini di Chernobyl, sotto la direzione di Marie-Laurence Simonet. Che si sappia non c' stata azione alcuna, da parte degli italiani che hanno
scalato la facciata di Palazzo Farnese a Roma, contro la produzione di mine che distruggono per secoli le terre coltivabili d'Africa e d'Asia: mine che uccidono o mutilano i popoli non solo in tempi di guerra ma anche di pace, e di cui gli italiani sono massimi produttori ed esportatori. N c' stata azione protestataria di Greenpeace quando l'Armenia ha annunciato la riattivazione di una centrale nucleare che è veramente costruita su una terra vulcanica, di sicuro perigliosa. Subito dopo l'esplosione di Chernobyl, nell'86, l'organizzazione ecologista avviò una stretta collaborazione con il ministro della Sanità Romanenko, famigerato in Ucraina per aver negato e nascosto alla popolazione le minacce mortali connesse all'esplosione. Greenpeace ha un'etica ferrea, ma dell'ambiguità. La ebbe durante gli anni della guerra fredda, e l'ha ancor oggi.
Man mano che passa il tempo, l'organizzazione e gli ecologisti che la sostengono si interessano sempre più all'ecologia e sempre meno alla pace che sanno ferita. Sembrano soffrire più della morte dei pesci nei mari del Sud che della morte dei bambini e dei vecchi in Europa: in Bosnia o in Cecenia o a Kiev. Il battello ebbro salpa romanticamente verso mari lontani e tutta la sua condotta è una condotta di fuga: fuga dalle guerre contro i civili che devastano l'ambiente umano e cittadino in ex Jugoslavia, in Algeria o Grozny. Fuga dalle guerre civili descritte dal tedesco Enzensberger, che devastano le nostre periferie urbane e che anche in questo caso trasformano gli occidentali in esseri umani altamente ambigui: armati d'etica quando si tratta di partire lontano per proteggere popoli esotici del Pacifico, sprovvisti d'ogni etica quando si tratta di proteggere lo straniero qui, ora, dentro le nostre frontiere. E' una fuga dalle vere responsabilità e dalle colpe presenti dell'Occidente, che non si vogliono
ammettere n assumere. E' una fuga da realtà che mettono paura, che creano smarrimento, che sono troppo fastidiose da ricordare per le nostre delicate coscienze.
E' una fuga anche dalle azioni di protesta contro i diritti umani calpestati, che non son più di moda in occidente e che son soppiantati dai diritti ecologici della natura: tema più vasto quest'ultimo e soprattutto più fondamentale, che cancella la breve peripezia che è la vita d'un uomo, d'un bambino o d'un vecchio che muore di fame a Bihac o Srebrenica. Cohn Bendit ha detto una volta che i tedeschi tremerebbero per la vita di sei milioni di alberi, come non hanno mai tremato per la vita di sei milioni di ebrei, e questa distorsione culturale sembra diffondersi in Europa, tranne in Francia e Inghilterra. Anche per questo la scelta di Chirac è giudicata con un metro che spesso è fondamentalista, più che politico o veramente etico' Anche per questo si ripete, a suo proposito: ecco un Presidente che prende le sue decisioni solo per resuscitare un nazionalismo invecchiato, solo perché ha scambiato il mondo di oggi con quello di ieri.
In realtà il mondo non sembra molto cambiato, il pericolo si è diffuso e disordinato, ma resta grosso modo quello che era. Negli Stati dell'ex Urss sono installate le stesse atomiche d'un tempo, e nessuno può escludere che un Karadzic russo conquisti un giorno il Cremlino e punti le bombe contro l'Occidente: Occidente che non pochi dirigenti russi tengono nel massimo disprezzo, da quando hanno constatato la sua inconsistenza in ex Jugoslavia. Una serie di altre nazioni aspirano inoltre ad avere la bomba, o l'hanno gi: come Israele, India, Pakistan, e Iran, Iraq, Siria, Algeria. Nessuno di questi Paesi, e in particolare quelli dove esiste l'integralismo islamico, compie le sue scelte prendendo come modello gli occidentali: i loro programmi nucleari sono proseguiti o interrotti sulla base dei propri specifici interessi, senza badare all'esempio, buono o cattivo, che verrà dalla Francia o da altri Grandi. A questo mondo di guerre ha pensato Chirac, a questi possibili avversari e a un'Europa che non sembra più p
rotetta dall'ombrello americano, quando ha annunciato i nuovi esperimenti. La bomba è un mostro d'immoralità, fin da principio, ma ancora non esiste un modo diverso dalla dissuasione nucleare, per tenere a freno le bombe che ci possono annichilire. Non il pacifismo ma la decisione di installare gli euromissili Nato, nonché la volontà Usa di perfezionare le tecnologie antimissili hanno infine piegato l'Urss, e indotto Gorbaciov a ridurre gli armamenti, a liberare poi l'Europa Orientale. Non per questo Chirac è innocente, i suoi errori sono molteplici spesso macroscopici. Nell'annunciare gli esperimenti non ha spiegato le ragioni politiche e etiche della scelta che faceva, né ha indicato gli avversari che minacciano l'Europa e la Francia in questo finire del secolo. Ha annunciato il come, e ha dimenticato che occorreva, di fronte a un'opinione europea smarrita, angosciata, spiegare soprattutto il perché. Si è comportato piuttosto come un tecnico, anche se il suo messaggio aveva un connotato politico.
I tecnici militari lo hanno convinto, e non è escluso che alla fine del '95 lo persuaderanno addirittura a continuare con altri esperimenti aggiuntivi, fuori programma. Ma i tecnici non bastano per fare una buona politica, e ancor meno per spezzare l'isolamento francese nell'Europa continentale: anch'essi sono a loro modo fondamentalisti.
Anch'essi sembrano non aver intuito che il mondo, per l'appunto, non è cambiato: che ancora è necessario un discorso politico-filosofico della guerra, che ancora occorre esplicitare un'etica della difesa, indicare dov'é l'avversario e per quali valori ci si difende, oggi non meno che negli anni della guerra fredda.