Scritto il giorno 2-Lug-95 da D.Quinto:
DQ> Iscrizioni
DQ> Credo che meriti qualche riflessione - e spero che da
DQ> parte di tutti ve ne siano - la tabella delle
DQ> iscrizioni pervenute dal 10 aprile al 29 giugno:
DQ> Albania 1. Azerbaigian 6. Belgio 1. Bulgaria 9. Bielorussia
DQ> 4. Bosnia Erzegovina 4. Brasile 1. Repubblica Ceca 1.
DQ> Croazia 4. Germania 1. Italia 131. India 1. Kazakistan 2.
DQ> Monaco 1. Paesi Bassi 1. Polonia 1. Romania 1. Russia 31.
DQ> Ucraina 9. Stati Uniti 2.
Nonè per niente facile rispondere, ma mi permetto una riflessione.
Non è tanto lunga....
1.
Un "italiano" mangia italiano, parla italiano, pensa
italiano, finisce per credere che la "par condicio" sia una cosa seria e
che votare per 12 referendum sia una disgrazia. E analogamente un "francese",
un "belga", un "tedesco" ecc...
2.
Abbiamo messo alcuni anni noi radicali, per esempio in questa conferenza,
ad estromettere il CSM, la CGIL e le convergenze parallele, e a parlare e
pensare transnazionale. E credo, ancora non completamente.
Adesso ci vorrebbero degli anni, se ce ne sono per noi e per il mondo,
per predicare in linguaggio transnazionale tanto da *far parlare
transnazionale* il cittadino di Marsiglia, di Firenze, di Varsavia, che
dopo questo parlare transnazionale, potrebbe scegliere il PR. Ma
non ci possiamo permettere tanta attesa.
3.
Ha scritto M.Boselli, poche settimane fa, di aver potuto organizzare
una manifestazione pro-Bosnia grazie a pochi esperantisti.
Non c'è da stupirsi: malgrado tutti i loro difetti, gli esperantisti sono
degli "strani" che vivono in parte nella transnazionalità: amici a Budapest,
fidanzate a Varsavia, problemi incomprensibili al vicino di casa: raumismo,
letterature....
Un pezzo di gente che vede, respira, transnazionale si è incontrato con
lo strumento adeguato. E mi sembra, che i documenti del partito tradotti
in Esperanto siano ancora una rarità.
4.
Domanda: esiste, in europa, meglio se occidentale e benestante, una fetta di
mercato che possa essere interessata al prodotto "politica transnazionale"?
5.
Un autorevole esponente dell'autonomismo catalano, Aureli Argemì, disse:
"Per esempio sia in Catalogna che nei Paesi Baschi si sviluppa, ogni volta
di più, una coscienza europea, la consapevolezza che i nostri problemi
non passano per Madrid, non si devono risolvere a Madrid, ma in un ambito
molto più grande, a livello europeo.
Noi tutti ci sentiamo molto più europei che spagnoli."
Io non dico affatto che il PR debba dedicare un briciolo delle sue energie
ai problemi della Catalogna o dell'Euskadi, paesi ricchi e senza guerre.
Ma credo che sia il tempo di dire "iscrivetevi al PR" non a francesi e
spagnoli, ma esplicitamente, a catalani, sardi, corsi, occitani. Perché
solo l'ordine internazionale che permetterà ai Tibetani di essere tibetani, e
ai Bosniaci di essere quello che vogliono, sarà anche l'ordine in cui non
sarà obbligatorio volere bene alla bandiera e parlare con l'accento della
capitale.
Segni di questo possibile aspetto del transpartito li abbiamo già
avuti: esponenti di diversi partiti etnici si sono iscritti, non solo
ultimamente, al PR: dal partito dei ROM cecoslovacchi, al partito degli
ungheresi di Vojvodina...
**** mimmo