"NOI, VITTIME DELLA CINA"
Parla Samdong Rimpoche, Presidente delParlamento tibetano in esilio
"Siamo un popolo religioso e nonviolento. E' questa la nostra storia"
"Noi continuiamo a sperare che si possa andare ad un tavolo negoziale. Ma un tale esito non è affatto prevedibile. E' una situazione difficile"
di Paolo Pietrosanti
Il Prof. Samdong Rimpoche è il Presidente del Parlamento tibetano in esilio, con sede a Dharamsala, in India. Ha trascorso alcuni giorni in Italia, nel corso dei quali ha incontrato i vicepresidenti delle due Camere del Parlamento italiano. E stato in audizione davanti all'Ufficio di presidenza della Commissione esteri di Montecitorio, e una mozione parlamentare promossa anche in Italia dal Partito Radicale, simile a quella approvata a grande maggioranza dal Parlamento Europeo nel luglio scorso, sta raccogliendo molte adesioni tra i parlamentari solidali con la causa tibetana.
Paolo Pietrosanti ha avuto con Samdong Rimpoche un lungo colloquio, per Radio Radicale. Eccone alcuni passaggi.
PP: Lei è tra i promotori del Satyagraha dei Tibetani per la liberazione del Tibet.
SR: Satya significa Verità in Sanscrito, e graha significa insistere, affermarla.
Oggi c'è gente che soffre di assenza di verità, e anche se sono nella verità non insistono su quella verità. Ciò comporta gravi conseguenze negative. Il popolo tibetano è fondamentalmente religioso e nonviolento, ma negli ultimi 100 anni questo impegno nella verità e impegno nella nonviolenza è stato in molti modi e per molte ragioni deteriorato. Questa è la causa della occupazione cinese, e la Cina ha occupato il Tibet con molta facilità.
PP: Se si guarda alla questione tibetana sembra evidente che il vero grande ostacolo ad una presa di posizione seria e effettiva è costituito dall'essere il miliardo e duecento milioni di Cinesi un mercato potenziale gigantesco...
SR: Questo è un grande problema di oggi, ovunque. Ma quel che vorrei dire è che dopo tutto la dignità non può essere valutata sulla base di valori commerciali, da valori economici o di denaro. Per amore del mercato può una nazione o un individuo dimenticare tutti i suoi obblighi e tutte le sue responsabilità morali? Se la risposta è sì, non ho nulla da dire, da aggiungere. Se c'è un piccolo dubbio nella tua mente, dovrai pensarci due volte. Se scegli soltanto i valori economici, e sacrifichi i valori umani e morali sull'altare dei valori economici, non ho voce per appellarmi a te, e tu seguirai la tua strada e io andrò sulla mia.
PP: Sembra che dalla sua visita possa sortire la creazione anche in Italia di un Intergruppo parlamentare.
SR: Il foro parlamentare è un foro di primaria importanza nelle democrazie. Per questo puntiamo alla creazione di Intergruppi parlamentari per il Tibet, cui si aderisca senza tener conto della propria appartenenza di partito.
PP: Come vede le relazioni dei prossimi anni tra Tibet e Cina?
SR: Non ho molte speranze che fruttuose e genuine relazioni possano essere stabilite nel prossimo futuro, nel prossimo o nei prossimi due anni. Le autorità cinesi dicono sempre che sono pronte a parlare con Sua Santità il Dalai Lama, ma mai hanno avanzato alcuna proposta specifica, e pongono precondizioni impossibili per un dialogo utile. Ma noi continuiamo a sperare che la Cina possa capire la realtà e che si possa andare ad un tavolo negoziale. Ma non è realisticamente prevedibile un tale esito.
PP: E dunque, cosa accadrà?
SR: Siamo di fronte ad una situazione molto particolare, perché il tempo sta correndo. Il Tibet è occupato da - non mi piace usare questa parola, ma è un fatto - da una forza molto incivile che è determinata a distruggere completamente la esistenza stessa del Tibet. Per questo stiamo pensando di lanciare il Satyagraha all'interno del Tibet, e tutti i tibetani che avranno i requisiti per il Satyagraha dovrebbero tornare in Tibet e dovremo morire nel Tibet. Perché il Tibet sta scomparendo.
Molti pensano che contro la repressione cinese un Satyagraha di un piccolo popolo sarà semplicemente un suicidio. Ma anche se questo si dimostrerà un suicidio, e se saremo del tutto distrutti, è meglio essere distrutti mentre conduciamo il movimento Satyagraha per il diritto e la giustizia.
Dobbiamo attuare il nostro dovere. E dopo averlo attuato possiamo o meno ottenere risultati, ma non ci preoccupiamo dei risultati.
Se si giudica la nostra azione sulla base della sua possibilità di raggiungere il risultato, potrebbe non esserci alcuna azione che noi potremmo intraprendere nel futuro immediato. Dobbiamo agire tempestivamente, e soli. Noi non chiediamo nulla a nessuno. Non possiamo. E non abbiamo nulla da offrire: né mercati, né ricchezze, né allineamenti politici. Aiuto e collaborazione sono i benvenuti, ma non riceveranno alcuna ricompensa. Non abbiamo nulla da offrire.